Riparte l’Italia – L’Italia che scompare e il bisogno di un patto per il futuro | 9 settembre 2024
L’ha chiamata glaciazione demografica la Fondazione Nord Est: quella che, rielaborando dati Istat, scaturisce da una fotografia del nostro Belpaese.
Le previsioni sono impietose.
Nel 2080, la popolazione residente in Italia sarà di 46,1 milioni, con un calo complessivo, dal 2023, di 12,9 milioni di residenti.
Ma non tutti i territori sono uguali.
Lo spopolamento sarà significativo soprattutto nel Mezzogiorno, dove la popolazione potrebbe ridursi di 7,9 milioni di abitanti a causa di una spirale recessiva che comporterà migrazioni sempre più accentuate.
Non è un fenomeno nuovo, anzi, il futuro è in continuità col passato: nel nostro Paese alcuni territori si spopolano a vantaggio di altri, oltre che a beneficio di altri Paesi.
Infatti, negli ultimi 10 anni alcune regioni hanno registrato un incremento demografico.
È il caso del Trentino-Alto Adige (+4,6 per mille), della Lombardia (+4,4 per mille) e dell’Emilia-Romagna (+4,0 per mille).
Le regioni, invece, in cui si è persa più popolazione sono la Basilicata (-7,4 per mille) e la Sardegna (-5,3 per mille).
Secondo il Rapporto Mete 2024, realizzato dal Crei-Acli su basi Istat, nell’ultimo anno quest’ultima ha perso 8.314 abitanti: come se una cittadina come Dorgali fosse sparita dalla mappa geografica.
Dal 2016 al 2024, l’Isola ha perso oltre 88.000 abitanti ed il trend rimane negativo: ultimi in Italia per tasso di fecondità, con 0,91 figli per donna (media nazionale di 1,20) e per percentuale di giovani (0-14 anni): solo il 10,1% della popolazione.
Dunque, forte emigrazione verso l’estero ed altre regioni ma non solo: ampia polarizzazione demografica delle città a danno di altri territori: problema, questo, che riguarda tutta l’Italia e non solo.
Qualche anno fa, John Wilmoth, direttore della divisione “popolazione” dell’Onu, in un’intervista al Guardian, sosteneva che: “La crescente concentrazione di persone nelle città permette di fornire servizi agli abitanti di uno Stato in maniera più economica”.
Rispetto a coloro che vivono in zone rurali, gli inurbati “hanno un migliore accesso all’assistenza sanitaria e all’istruzione”.
Il che induce a pensare, concludeva, che la concentrazione della popolazione in grandi centri abitati possa contribuire a: “minimizzare il nostro impatto ambientale sul pianeta”, purché le amministrazioni sappiano gestire i flussi demografici evitando fenomeni di congestione.
Il problema è dunque globale: quasi sempre le grandi aree urbane determinano lo spopolamento di quelle periferiche e, tra queste, le isole pagano il prezzo più alto.
Alcuni sostengono che questo sia inevitabile: forse l’unica soluzione perché il pianeta possa ospitare 10 miliardi di persone che, secondo le stime, saranno raggiunti nel 2050.
E la nostra politica, nazionale e locale, cosa pensa al riguardo?
A brevissimo, nel silenzio di molti, si terrà un importante appuntamento.
Mi riferisco al “Vertice del Futuro”: un’iniziativa globale delle Nazioni Unite, in calendario per il 22 e 23 settembre, volta all’assunzione di impegni importanti per affrontare al meglio sfide cruciali, come la disparità digitale, la protezione delle generazioni future, la sostenibilità ambientale.
Al centro del vertice: il “patto per il futuro”, la cui prima bozza è stata concepita dai co-facilitatori Germania e Namibia.
Il patto è composto da cinque sezioni principali: supporto allo sviluppo sostenibile, pace e sicurezza internazionale, scienza, tecnologia, innovazione e cooperazione digitale, giovani e generazioni future, trasformazione della governance globale.
L’obiettivo è molto ambizioso: far assumere agli stakeholder impegni utili ad affrontare le grandi sfide del futuro, riaffermando la Carta delle Nazioni Unite, rivitalizzando il multilateralismo, implementando gli impegni assunti e concordandone di nuovi, recuperando la fiducia tra tutti gli attori in gioco.
Verranno anche adottate: il “Global Digital Compact” per superare i divari esistenti e promuovere un futuro digitale sicuro, a misura d’uomo e fondato sui diritti umani universali.
E la “Dichiarazione sulle Generazioni Future”, con l’obiettivo di includere gli interessi di queste ultime nei processi decisionali attuali.
Apprezzabile anche il metodo, inclusivo e trasparente, volto a garantire la partecipazione attiva di giovani, enti pubblici e privati, del terzo settore e del mondo accademico: tutti chiamati ad offrire proposte che siano considerate nella formulazione delle politiche globali.
Bene, come vogliamo porci dinanzi a questo appuntamento?
Quali posizioni intendiamo prendere in quella sede e soprattutto: che ruolo, diretto o indiretto, giocheranno i governi territoriali delle Regioni più periferiche e meno popolate?
Analisi del Prof. Aldo Berlinguer, coordinatore dell’Osservatorio Eurispes sull’Insularità ed aree interne