Eurispes: risultati del Rapporto Italia 2020

COMUNICATO STAMPA

EURISPES

32° RAPPORTO ITALIA

UNO STATO DA “RI-COSTITUIRE”

Un Progetto ambizioso per il Paese: la Politica ha la responsabilità
di affrontare una nuova fase costituente e ricollegare Sistema e Paese

Il Rapporto Italia, giunto quest’anno alla 32a edizione, come da tradizione, ruota attorno a 6 dicotomie, illustrate attraverso altrettanti saggi e 60 schede fenomenologiche. Vengono affrontati, quindi, attraverso una lettura duale della realtà, temi che l’Istituto ritiene rappresentativi della attualità politica, economica e sociale del nostro Paese.

Le dicotomie tematiche individuate per il Rapporto Italia 2020 sono:

Valori/Comportamenti • Creazione/Distruzione • Episteme/Doxa

Eguaglianza/Disuguaglianza• Libertà/Soggezione • Hostis/Hospes

Ad arricchire il Rapporto, le indagini campionarie che, nell’edizione di quest’anno, hanno sondato alcuni dei temi tradizionalmente proposti dall’Eurispes e altri di recente interesse: la fiducia nelle Istituzioni, l’opinione su alcune delle misure proposte o introdotte dal Governo, la situazione economica delle famiglie e i consumi, l’immigrazione e l’accoglienza, la legalizzazione della cannabis, il mondo degli animali, le nuove abitudini alimentari, il carico fiscale e i servizi al cittadino, l’evasione, l’uso delle sigarette elettroniche e dei nuovi dispositivi senza combustione, i consumi alimentari di qualità, la sicurezza nelle città, lo stalking e il revenge porn, la sensibilità ambientale, la salute e l’uso dei farmaci, l’informazione attraverso i media, l’antisemitismo, l’educazione e la memoria storica.

Nel Rapporto vengono, inoltre, affrontati attraverso le schede fenomenologiche diversi altri temi di stretta attualità come, ad esempio, il caporalato e la tratta degli esseri umani, i fenomeni migratori, la capacità di innovazione del Made in Italy, la moda sostenibile, l’evoluzione tecnologica in medicina e i suoi riflessi sulla salute delle persone, l’agricoltura 4.0, l’artigianato, le energie rinnovabili “condivise”, il fenomeno dell’usura, la digitalizzazione del mercato dei giocattoli, l’editoria, i giovani e la musica, i cambiamenti climatici, la comunicazione veicolata attraverso i Social Network, gli investimenti Italia-Cina, gli E-Sport, la questione meridionale.

Due anni fa avevamo affidato al Rapporto il concetto di RESPONSABILITÀ, scelto come “parola chiave”, per sottolineare, in particolare per la sua mancanza, ciò che ci pareva contraddistinguere le tendenze sociali, economiche, politiche e culturali in atto nel Paese. Oggi più che mai questo concetto rimane di estrema attualità.

Non solo, il concetto di “responsabilità” chiama in causa ognuno di noi, tutti devono sentirsi chiamati ad averne. Responsabilità verso se stessi, i propri figli, il Paese nel suo insieme.

Secondo il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara: «La frattura tra Sistema e Paese che abbiamo segnalato nei precedenti Rapporti stenta a trovare elementi di ricomposizione; anzi, si è allargata nel corso dei mesi e pone nuovi problemi che rendono ancora più complessa ed incerta la prospettiva generale. Una frattura che produce numerosi danni anche sul piano economico e mette in discussione la stessa tenuta sociale del Paese. Ciò richiama l’urgenza di affrontare i nodi che sono all’origine di un disagio diffuso, che alimentano il pessimismo e il qualunquismo, che delegittimano la politica, che frenano la capacità di costruzione del futuro, che impediscono la possibilità di mettere a frutto le enormi potenzialità possedute dall’Italia».

E il Presidente Fara immagina e traccia una possibile via d’uscita: «È necessario che la Politica possa contare su fondamenta rinnovate e, quindi, su una sua “nuova” Costituzione. Ci si confronta oramai con la mancata crescita del Paese che è divenuta strutturale, con l’imbarbarimento del clima del pubblico dibattito, con la sterile litigiosità che si rispecchia in un sistema dei media il quale si nutre più di elementi distruttivi che costruttivi, con l’inefficienza della Pubblica amministrazione, con i fenomeni endemici della corruzione, con l’illegalità diffusa, con la sostanziale irresponsabilità della classe dirigente».

«Manca una cornice – prosegue il Presidente dell’Eurispes –di regole riformate e condivise in cui tutti possano riconoscersi, che permetta di rimboccarsi le maniche e di identificare soluzioni. Ciò che ci divide lo conosciamo bene, e spesso le contrapposizioni non rappresentano un esito ineluttabile, ma appaiono il fine stesso dell’azione politica. Ciò che ci unisce, invece, è latitante. Un latitante che nessuno vuole concretamente ricercare.

Per riportare la politica al centro dell’attività dello Stato, e perché ritorni ad ispirarne l’azione, la Politica deve fare una cura “ri-costituente”, cioè deve affrontare una nuova fase costituente.

Malgrado il clima d’odio e di reciproco disprezzo che anche negli ultimi mesi ha caratterizzato gli scambi tra i leader e le fazioni politiche, da più parti, senza enfasi e sottovoce, anche recentemente si è rilanciata l’opzione di una Assemblea che riformi la seconda parte della Costituzione.

Una nuova Costituente, dunque. In questo modo si darebbe un segnale al Paese: stiamo lavorando, tutti insieme, e per voi, e anche il singolo cittadino, con ogni probabilità, sarebbe disponibile a dare credito al tentativo.

Un progetto ambizioso, che potrebbe essere tacciato di illusorietà. Ma un dato è certo: è solo con la composizione tra diversi e distanti che si superano gli scogli contro cui ci stiamo progressivamente squassando. Ancora più illusorio e, quindi, nefasto, è invece ritenere che si possa riprendere un accettabile assetto di navigazione grazie alla vittoria di una minoranza sull’altra, e “senza fare prigionieri”. La politica bellicista sa distruggere, ma non è in grado di ricostruire».

Dai dati e dalle rilevazioni del Rapporto Italia 2020 emerge l’identikit di un Paese che “galleggia”, lontano dalla politica, dal Governo e dal Parlamento; di una popolazione che si è adattata allo stato di perenne crisi ma che continua a “bruciare” ricchezza e risparmi. Un Paese “incattivito” che guarda con diffidenza e poca tolleranza gli stranieri e che, in molti casi, giustifica episodi di razzismo e antisemitismo. Un Paese che non genera figli ma, nello stesso tempo, ama sempre di più la compagnia degli animali e mostra una cresciuta sensibilità nei confronti dei problemi dell’ambiente.

FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI, IL TREND POSITIVO SI ARRESTA. CALANO I CONSENSI PER GOVERNO E PARLAMENTO, RESTA LARGO L’APPREZZAMENTO PER MATTARELLA, SALE LA MAGISTRATURA. TRA LE FORZE DI POLIZIA PRIMEGGIA LA GUARDIA DI FINANZA

Meno del 15% esprime fiducia nel sistema delle Istituzioni del nostro Paese

Nel 2020, la quota di chi ha un atteggiamento positivo si ferma al 14,6% (-6,2% rispetto al 2019, anno in cui si era registrato il miglior risultato dal 2014); poco meno della metà (46,6%) indica che la fiducia non ha subìto variazioni (39% nel 2019). Gli sfiduciati, però diminuiscono dal 29,4% al 24,9%.

Mattarella, resiste come punto di riferimento

Il Presidente della Repubblica raccoglie il plauso di più della metà degli italiani e ottiene un tasso di consensi pari al 54,9% (era al 55,1% nel 2019).

Nessuno dei tre poteri dello Stato riesce a conquistare presso i cittadini una fiducia che vada oltre il 50%. Inoltre per Governo e Parlamento, calano i consensi. Più fiducia nella Magistratura

Poco più di un quarto degli italiani (26,3%) ripone fiducia nell’attuale Governo, oltre dieci punti in meno rispetto al 2019 (36,7%). Il Parlamento registra un decremento di cinque punti con solo uno su quattro che si fida (25,4%; erano il 30,8% nel 2019). La fiducia nei confronti della Magistratura continua a crescere, sebbene non riesca ad oltrepassare la soglia della metà dei consensi (49,3%, +2,8% rispetto al 2019).

Forze dell’ordine: Guardia di Finanza sul podio

La Guardia di Finanza si posiziona in alto nella classifica delle tre Forze di Polizia e arriva a guadagnare l’apprezzamento di sette italiani su dieci (70,4%, +2,1% rispetto al 2019). A seguire, si posiziona la Polizia di Stato con il 69% della fiducia (-2,5% rispetto al 2019). In lieve discesa l’Arma dei Carabinieri dal 70,5% al 65,5% (-5%).

La Difesa e l’Intelligence

La fiducia nei confronti di Esercito, Aeronautica e Marina si attesta intorno al 72%. Il sistema di Intelligence ottiene la fiducia del 64,1% degli italiani.

Gli “Angeli in tuta rossa”

Entrati a far parte della rilevazione Eurispes solo negli ultimi tre anni, i Vigili del Fuoco nel 2020 godono della fiducia dell’84,3% degli italiani, nonostante un calo di 3 punti di consenso rispetto al 2019.

Le altre Istituzioni, “volano” le altre confessioni religiose (+10%) e i sindacati (+8,5%)

Vanno oltre il 50% e seguono un trend positivo di consensi le associazioni dei consumatori (dal 53% del 2019 al 58,4%; +5,4%); le associazioni di volontariato (dal 64,2% al 70%; +6,2%); la Chiesa cattolica (dal 49,3% al 53,4%; +4,1%); il sistema sanitario (dal 62,3% al 65,4%; +3,1%). Di segno positivo anche i risultati delle associazioni degli imprenditori, passate dal 43,2% dei consensi nel 2019 al 49,4%. I sindacati avanzano di ben 8,5 punti (dal 37,9% al 46,4%); le altre confessioni religiose aumentano di 10 punti (dal 29,8% al 40,2%). In lieve calo, il sistema scolastico che passa dal 67,4% al 65% e la Protezione Civile dal 79,2% al 77,8%. Stabili partiti (dal 27,2% al 26,6%) e Pubblica Amministrazione (dal 34,7% al 34,3%).

LE “MOSSE” DEL GOVERNO. ITALIANI CRITICI SUL REDDITO DI CITTADINANZA, FLAT TAX, E SUGAR TAX. APPOGGIANO QUOTA 100, AUTONOMIA PER LE REGIONI E PLASTIC TAX. RIMPATRI E CONTENIMENTO DELL’IMMIGRAZIONE METTONO D’ACCORDO LA MAGGIORANZA

Tra le misure attuate o proposte dal Governo le più criticate sono il reddito di cittadinanza con il 67,1% delle indicazioni negative e la Sugar Tax (67,4%); anche la Flat Tax incontra la disapprovazione dei più (62,6%).

L’introduzione di Quota 100 è apprezzata da sei cittadini su dieci (59,2%) e un numero simile si esprime positivamente sull’autonomia delle Regioni (57,6%); conquista, anche se non in maniera netta, la tassa sulla plastica (51%).

ESSERE CARABINIERI OGGI: PROFESSIONISTI PER MISSIONE. SI SENTONO RISPETTATI MA PENSANO ANCHE CHE LA FIDUCIA DEGLI ITALIANI NEI LORO CONFRONTI NEL TEMPO SI SIA MODIFICATA, AUSPICANO INTERVENTI DURI PER I CARABINIERI CHE COMPIONO ABUSI O VIOLENZA E CHIEDONO PIÙ RISORSE E RICONOSCIMENTI PER L’ARMA

Secondo l’indagine condotta dall’Eurispes su un campione di 3.539 appartenenti all’Arma, quasi la metà del campione (46,6%) considera il proprio lavoro una “professione qualificata”; quasi quattro su dieci (39,5%) la reputano una “missione”. “Rispetto” (56% “spesso”, 9,8%, “sempre”) e “gratitudine” (51,8% “spesso”, 9% “sempre”) sono gli atteggiamenti riscontrati con maggiore frequenza dai Carabinieri da parte dei cittadini. Quasi un quarto (24,1%) afferma però di trovare sfiducia nei propri confronti e più di un quinto (21,8%) percepisce ostilità. Più della metà pensa che la fiducia dei cittadini sia diminuita nel corso degli anni (53,2%). Otto su dieci (78,4%) auspicano nessuna tolleranza per i carabinieri che compiono abusi o violenza, episodi, questi, che hanno toccato la sensibilità della maggior parte dei carabinieri intervistati (74,8%).

CONDIZIONE ECONOMICA DELLE FAMIGLIE: LIEVI SEGNALI DI RIPRESA MA LA METÀ DEI CITTADINI CONTINUA A “POLVERIZZARE” I RISPARMI. UN ITALIANO SU 10 VITTIMA DI USURA

Secondo la maggioranza degli italiani la situazione negli ultimi 12 mesi è rimasta stabile (37,9%), il 37,5% ha riscontrato invece un peggioramento netto o parziale. Circa un cittadino su dieci (14,3%) nota un miglioramento; il 10,3% non esprime una valutazione. Rispetto al 2019 aumentano, seppur timidamente, gli ottimisti (+1,6%) e diminuisce la percentuale di quanti ravvisano un peggioramento (-1,1%).  Nelle Isole il disagio di un’economia negativa è profondo e arriva al 72%, con una distanza con le altre aree geografiche del Paese che arriva a segnare un divario tra i 30 e oltre i 40 punti percentuali.  Quasi la metà delle famiglie (47,7%) è costretta ad utilizzare i risparmi per arrivare a fine mese (+2,6% rispetto al 2019); ma crescono seppur di poco quelle che riescono a risparmiare (23,7%; +1,7%). Saldare la rata del mutuo rappresenta un ostacolo per il 34,1% degli italiani (+1,4%), mentre migliora la situazione del pagamento degli affitti (38,7%; -11,3%); in lieve discesa anche la difficoltà a pagare le utenze domestiche (26,1%; -1,6%). Far fronte alle spese mediche è un problema per il 22,3% degli italiani (+1,2%).

Nel corso del 2020 oltre la metà non ce la farà a risparmiare

Il 27% degli italiani probabilmente non riuscirà a risparmiare nei prossimi dodici mesi e il 24,8% ne è certo; il 17,7% ritiene che ci siano buone probabilità di farcela e solo il 5,2% ne è sicuro.

Nella crisi la famiglia resta un porto sicuro. Non potendo accedere al credito bancario, 1 italiano su 10 vittima di usura

Un terzo degli italiani (33,3%) è dovuto ricorrere al sostegno economico della famiglia di origine per far fronte alle difficoltà economiche. Si affianca a questo dato il 12,4% di chi è stato costretto a tornare a vivere nella casa della famiglia di origine. Nel 14,9% dei casi un aiuto finanziario è arrivato da amici, colleghi o altri parenti (-0,2% rispetto al 2019). Pur di lavorare molti accettano impieghi senza contratto (21,5%) o svolgono più lavori contemporaneamente (23,9%). Almeno un italiano su dieci (11,9%) è caduto nelle maglie dell’usura non potendo accedere al credito bancario (erano il 7,8% nel 2018 e il 10,1% nel 2019).

Migrazioni interne e “fuga” all’estero: ne hanno esperienza indiretta 4 cittadini su 10

Il 41,2% del campione sostiene che qualcuno tra i propri familiari si è trasferito all’estero per migliorare la propria situazione economica/lavorativa: nel 22,9% dei casi si è trattato di trasferimenti in un’altra città italiana e nel 18,3% all’estero. Al Sud, nelle Isole e al Centro prevalgono i trasferimenti entro i confini nazionali (rispettivamente 39,4%; 34,4% e 19%); mentre al Nord sono più frequenti i trasferimenti all’estero (27,3% Nord-Est e 15,3% Nord-Ovest) rispetto a quelli verso altre città italiane (15,3% Nord-Est; 12,2% Nord-Ovest).

«Che cosa rimane, dunque, di quel “lavoro” così centrale nel testo e nello spirito della Costituzione, ma anche così determinante negli equilibri di una politica che per decenni ha fatto del “lavoratore” un protagonista a pieno titolo del palcoscenico politico e sociale?» si chiede il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara. «Siamo certamente davanti ad un cambio epocale che, nel combinato disposto degli effetti della globalizzazione e del clamoroso sviluppo tecnologico, necessita una ridefinizione del lavoro, della sua distribuzione, e della sua collocazione all’interno delle dinamiche della società».

Prosegue Fara: «La società si è frammentata, perdendo progressivamente due puntelli che ne avevano guidato lo spirito: il valore della democrazia rappresentativa e quello del lavoro come elemento basilare della cittadinanza. Il risultato si rintraccia nell’endemica crisi di identità e nell’impoverimento dei ceti medi, che hanno a loro volta generato e generano una diffusa percezione di insicurezza e l’impossibilità di immaginare un futuro migliore dell’oggi, o per meglio dire, di quello di ieri. Alla base di tutto, c’è stato e c’è uno sviluppo scientifico-tecnologico vorticoso che sembra rispondere solo a se stesso, producendo risultati allo stesso tempo irrinunciabili e invasivi, assistendoci fino a prevenire i nostri bisogni, ma di fatto disumanizzanti tale da comprimere l’intervento umano e rendendo l’individuo soprattutto “libero” di essere assoggettato ai ritmi e alle routine che la tecnologia incarna in una simbiotica giustapposizione tra contenitore e contenuto».

I CONSUMI DELLE FAMIGLIE. QUASI UN TERZO DEGLI ITALIANI RINUNCIA A CONTROLLI MEDICI E PREVENZIONE. LA METÀ HA RIMANDATO L’ACQUISTO DI UN’AUTO NUOVA

Per contenere le spese nell’ultimo anno, il 32,5% degli italiani ha rinunciato a effettuare controlli medici e di prevenzione e il 27,3% ha tagliato sulle spese dentistiche; il 24,8% ha fatto a meno di trattamenti ed interventi estetici. In misura minore, un italiano su cinque (20%) ha rinunciato a terapie ed interventi medici o a sottoporsi a visite specialistiche per la cura di patologie specifiche (20,1%). Il numero di residenti in Sicilia e Sardegna che hanno dovuto rinunciare a visite specialistiche per disturbi o patologie specifiche è quasi il doppio della media rilevata nelle altre regioni (40%, contro un dato nazionale del 20%).

Tra le rinunce nell’ultimo anno, al primo posto l’acquisto di una nuova auto (51,4%); il 44,2% invece ha rimandato lavori di ristrutturazione nella propria abitazione, il 38,2% ha rinunciato a sostituire arredi di casa ed elettrodomestici logorati, il 28,5% ha fatto a meno delle riparazioni del proprio autoveicolo e il 34,5% delle spese per un/una badante.

Riparati, usati, smarcati o contraffatti: i prodotti si adeguano ad un consumo alternativo

Per ridurre le spese, sempre più ci si orienta verso comportamenti come: la tendenza a riparare oggetti rotti invece di sostituirli con altri nuovi (63,9%); la propensione ad acquistare prodotti usati al posto di quelli nuovi (58,6%); la sostituzione di prodotti di marca con prodotti senza marca (58,9%); l’acquisto di prodotti contraffatti (42,1%) e compiere acquisti condivisi allo scopo di risparmiare (37,9%).

Acquisti online: abituè (30%), occasionali (48,5%) e refrattari (21,4%), un’Italia divisa in tre

Il 30,1% degli italiani fa acquisti online spesso o abitualmente. Il 48,5% si rivolge al web solo qualche volta o raramente, mentre il 21,4% dichiara di non acquistare mai online. La tendenza più diffusa tra i consumatori è quella di acquistare online un prodotto visto o provato precedentemente in negozio (53,9%). Il 50,9% degli italiani afferma di aver comprato, nell’ultimo anno, un prodotto visto solamente online mentre scende al 39,1% il numero di chi ha comprato in negozio un prodotto visto online. Infine, nel 38,8% dei casi l’acquisto online è avvenuto dopo aver visto un prodotto attraverso la pubblicità.

PER QUATTRO ITALIANI SU DIECI LE TASSE SONO AUMENTATE. TASSE PIÙ BASSE RILANCEREBBERO I CONSUMI (37,5%). PER METÀ DEI CITTADINI NON È INDISPENSABILE PAGARE LE TASSE PER AVERE UN LIVELLO ACCETTABILE DEI SERVIZI, IL 63,7% È CONTRARIO A PAGARLE PER GARANTIRE UNA DISTRIBUZIONE DELLE RISORSE TRA I CITTADINI APPARTENENTI A REGIONI DIVERSE. L’EVASIONE È GIUSTIFICATA IN DETERMINATE SITUAZIONI

Il carico fiscale sostenuto dalla propria famiglia nel corso del 2019 è aumentato secondo l’opinione del 42,2% degli italiani, facendo però registrare un dato del 27% in meno rispetto al 2013 quando a lamentare una maggiore tassazione era il 69,2%.

Se le tasse diminuissero…

Meno tasse rilancerebbero soprattutto i consumi mettendo più soldi in tasca ai cittadini (37,5%) e darebbero slancio all’economia e alle imprese (22,6%), mentre inciderebbero negativamente sulla disponibilità e qualità dei servizi per un altro 22,6% e farebbero aumentare il peso del debito pubblico per il 17,3%.

Più di un terzo chiede di abbassare l’imposta sui consumi

Il 36,4% degli italiani ritiene che sarebbe opportuno ridurre l’imposta sui consumi (+13,8% rispetto al 2007). Diminuisce, invece, del 22,2% rispetto al 2007, chi pensa che sarebbe opportuno ridurre l’Imu, arrivando al 21,1%. Il 22,4% è propenso a pensare che bisognerebbe ridurre Irap e Ires e due su dieci (20,1%) l’Irpef.

Pagare le tasse per… Il 63,7% degli italiani si dicono contrari a pagare le tasse allo Stato per garantire una distribuzione delle risorse tra i cittadini appartenenti a Regioni diverse. Sull’ipotesi di pagare più tasse agli Enti locali e meno tasse allo Stato perché è più facile verificare la qualità dei servizi erogati dalle Amministrazioni locali, la popolazione si divide a metà tra chi è d’accordo (47,6%) e chi non è di questa opinione (52,4%). Pagare le tasse allo Stato per avere un livello accettabile di servizi pubblici è indispensabile per il 49,8% dei cittadini (il 16,4% in meno rispetto al 2007).

L’Italia vuole futuro: otto su dieci chiedono più investimenti per ricerca e sviluppo

Al Governo i cittadini chiedono soprattutto di aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo (81%), le pensioni minime (80,6%), di introdurre meccanismi di redistribuzione (80%) e attuare nuove politiche di sostegno alle imprese (79%). Sette su dieci (70,7%) vorrebbero che il Governo modificasse i meccanismi di accesso al credito, il 63,3% che cambiasse la legge elettorale e sei su dieci (60%) che applicasse il condono fiscale per favorire il rientro di capitali dall’estero. Non manca chi caldeggia l’aumento della pressione fiscale sul sistema bancario (53,3%) e ancora meno sono i cittadini che vorrebbero l’introduzione della tassa patrimoniale (47%).

Tasse troppo alte, più della metà degli italiani tende a giustificare l’evasione in determinate situazioni

La maggior parte dei cittadini in qualche misura giustifica l’evasione fiscale: per il 25,1% non è grave solo se compiuta da chi fa fatica a sostenere la pressione fiscale; per il 19,6% è grave per chi possiede grandi patrimoni; per il 9% non è grave perché in Italia la pressione fiscale è eccessiva.

Evasione, giuste multe e sequestri di beni. Il 17,3% si spinge oltre e vuole il carcere come sanzione La sanzione più giusta per i grandi evasori è il sequestro dei beni per quattro italiani su dieci (40,9%), multe e sanzioni economiche e amministrative per tre su dieci (29,6%). Mentre il 17,3% crede il carcere sia la giusta sanzione.

IL MEZZOGIORNO AL DI LÀ DELLE FAKE NEWS

Spiega Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes: «Sulla questione meridionale, dall’Unità d’Italia ad oggi, si sono consumate le più spudorate menzogne. Il Sud, di volta in volta descritto come la sanguisuga del resto d’Italia, come luogo di concentrazione del malaffare, come ricovero di nullafacenti, come gancio che frena la crescita economica e civile del Paese, come elemento di dissipazione della ricchezza nazionale, attende ancora giustizia e una autocritica collettiva da parte di chi – pezzi interi di classe dirigente anche meridionale e sistema dell’informazione – ha alimentato questa deriva. All’interno di questo Rapporto si trova una descrizione della vicenda meridionale ricca di dati e di informazioni prodotti dalle più autorevoli agenzie nazionali ed internazionali che certificano come siamo di fronte ad una situazione letteralmente capovolta rispetto a quanto comunemente creduto».

Nel 2016 lo Stato italiano ha speso 15.062 euro pro capite al Centro-Nord e 12.040 euro pro capite al Meridione. In altre parole, ciascun cittadino meridionale ha ricevuto in media 3.022 euro in meno rispetto a un suo connazionale residente al Centro-Nord. Nel 2017, si rileva un’ulteriore diminuzione della spesa pubblica al Mezzogiorno, che arriva a 11.939 (-0,8%), mentre al Centro-Nord si riscontra un aumento dell’1,6% (da 15.062 a 15.297 euro). emerge una realtà dei fatti ben diversa rispetto a quanto diffuso nell’immaginario collettivo che vorrebbe un Sud “inondato” di una quantità immane di risorse finanziarie pubbliche, sottratte per contro al Centro-Nord.

Dal 2000 al 2007 le otto regioni meridionali occupano i posti più bassi della classifica per distribuzione della spesa pubblica. Per contro, tutte le Regioni del Nord Italia si vedono irrorate dallo Stato di un quantitativo di spesa annua nettamente superiore alla media nazionale.

Se della spesa pubblica totale, si considera la fetta che ogni anno il Sud avrebbe dovuto ricevere in percentuale alla sua popolazione, emerge che, complessivamente, dal 2000 al 2017, la somma corrispondente sottrattagli ammonta a più di 840 miliardi di euro netti (in media, circa 46,7 miliardi di euro l’anno).

Il Prodotto interno lordo al Nord Italia dipende molto poco dalle esportazioni all’estero e per grossissima parte invece dalla vendita dei prodotti al Sud, il quale a sua volta nei confronti dello scambio di prodotti con il Nord Italia mostra valori in perdita di diversa gravità.

La situazione di import-export tra Nord e Sud Italia, tutta a vantaggio del Settentrione è resa possibile, paradossalmente, proprio da quei tanto discussi trasferimenti giungenti da Nord a Sud, come frutto delle tasse pagate dal Settentrione. Se questi ultimi infatti fossero oggi annullati o semplicemente ridotti, il primo a farne le spese sarebbe proprio il Nord, subendone le conseguenze peggiori.

A conti fatti, a fronte dei 45 miliardi di euro di trasferimenti che ogni anno si sono spostati da Nord a Sud, ve ne sono stati altri 70,5 pervenuti al Nord compiendo il percorso inverso.

«Dunque, ogni ulteriore impoverimento/indebolimento del Sud si ripercuote sull’economia del Nord, il quale vendendo di meno al Sud, guadagna di meno, fa arretrare la propria produzione, danneggiando e mandando in crisi così la sua stessa economia». Conclude il Presidente dell’Eurispes.

Fondi utilizzati: al Sud performance migliore della media nazionale

I programmi di sviluppo regionali (e anche quelli nazionali) che si avvalgono del Fondo Sociale Europeo (FSE) e del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) per il ciclo 2014-2020, hanno potuto disporre di una dotazione di ben 35,5 miliardi di euro totali, stanziati per il 60% dal budget europeo e per il resto dal cofinanziamento nazionale.

Alla fine del 2019, le Regioni italiane hanno speso in totale 7,4 miliardi. I progetti investono un ammontare complessivo di 25,8 miliardi di euro, cioè il 69% del totale dei vari programmi regionali (IFEL, 2019).

Le regioni in ritardo di sviluppo (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) registrano una spesa che è mediamente minore di quella media nazionale (18% contro 23%). Tuttavia, se consideriamo gli impegni di spesa, le stesse Regioni raggiungono in media il 72% dell’intera programmazione, che è un dato più alto del 3% rispetto alla media nazionale. Questi dati smentiscono una performance peggiore di queste Regioni rispetto alle altre. Diverso, invece, è parlare dell’efficacia della spesa, cioè dell’impatto che questa spesa (piccola o grande) avrà sui territori.

UN QUARTO DEGLI ITALIANI HA UN RAPPORTO NEGATIVO CON GLI IMMIGRATI, VISTI COME UNA MINACCIA ALL’IDENTITÀ NAZIONALE DA UNO SU TRE. CRESCE LA CONVINZIONE CHE GLI STRANIERI TOLGANO LAVORO AGLI ITALIANI. CONTRASTARE L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA? “AIUTIAMOLI A CASA LORO”

Quattro italiani su dieci (40,3%) definiscono il proprio rapporto con gli immigrati “normale”, quasi uno su cinque (19,4%) parla di reciproca indifferenza, il 14,4% di reciproca disponibilità, mentre un decimo trova gli immigrati ostili (10,1%), l’8,1% li trova insopportabili, il 7,7% afferma di temerli.

Secondo il 45,7% degli italiani un atteggiamento di diffidenza nei confronti degli immigrati è “giustificabile, ma solo in alcuni casi”. Per quasi un quarto (23,8%) guardare con diffidenza gli immigrati è “pericoloso”, per il 17,1% (+6,7% rispetto al 2010) è “condivisibile”, per il 13,4% è “riprovevole” (-4,3% rispetto al 2010).

Cresce il senso di allarme e minaccia

Per la netta maggioranza del campione (77,2%) gli immigrati nel nostro Paese vengono sfruttati dai datori di lavoro italiani. Ma la convinzione che gli stranieri tolgano lavoro agli italiani rispetto a dieci anni fa è cresciuta dal 24,8% al 35,2% (oltre 10 punti); la percentuale di chi vede negli immigrati una minaccia all’identità culturale nazionale è aumentata dal 29,9% al 33% e di chi paventa un aumento delle malattie è passata dal 35,6% al 38,3%. Per contro, rispetto al 2010 crolla di 17 punti percentuali la posizione secondo la quale gli stranieri portano un arricchimento culturale: dal 59,1% al 42%; analogamente, diminuisce la convinzione che gli immigrati contribuiscano alla crescita economica del Paese dal 60,4% al 46,9%.

Aiutare gli stranieri “a casa loro”, la soluzione per uno su quattro

Per contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina, oltre un quarto ritiene che il Governo dovrebbe soprattutto erogare aiuti ai paesi di provenienza (26,2%, +7,7% rispetto a dieci anni fa), un altro quarto che dovrebbe inasprire i controlli alle frontiere e lungo le coste (24%, a fronte del 33,6% del 2010), per il 16% la priorità è agevolare la regolarizzazione dei clandestini (nel 2010 erano il 25,5%), per il 15,3% ridurre i visti di ingresso dai paesi dai quali provengono i flussi più consistenti. Il 18,6% considererebbe preferibili altri interventi.

Razzismo: per due su dieci è colpa degli immigrati

L’incremento di episodi xenofobi nel corso dell’ultimo anno sarebbe avvenuto per quasi due italiani su dieci (19,7%) per colpa del comportamento degli immigrati, per un altro quinto della popolazione (19,2%) per le politiche inadeguate dei governi. Il 18,3% assegna la responsabilità alla comunicazione aggressiva di alcuni esponenti politici, il 15,1% al modo con cui i media diffondono le notizie, il 13% all’atteggiamento degli italiani.

Ius soli, ius sanguinis e ius culturae, due passi indietro

Rispetto al 2010, sono diminuiti di oltre dieci punti gli italiani favorevoli allo ius soli (dal 60,3% al 50%) e sono aumentati notevolmente i sostenitori più rigidi dello ius sanguinis (dal 10,7% al 33,5%, quasi 23 punti in più). In calo coloro che auspicano la cittadinanza per chi è nato in Italia, purché educato in scuole italiane (dal 21,3% al 16,5%).

Il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, commenta: «Gli immigrati regolari in Italia sono circa cinque milioni (5.255.000 pari all’8,7% della popolazione) e gli irregolari, circa cinquecentomila, la loro presenza è decisamente inferiore a quella che si registra in molti altri paesi. I lavoratori immigrati in Italia producono il 9% del Pil, circa 139 miliardi di euro annui; il denaro che spediscono ai loro familiari (6,2 miliardi annui) è molto più importante per il sostegno ai paesi di origine di quanto non sia quello che l’Italia destina agli aiuti internazionali allo sviluppo. Chi dice “aiutiamoli a casa loro”, sostenendo che si debbano finanziare i paesi di origine, trascura il fatto che siano proprio gli immigrati, con le loro rimesse, che si aiutano da soli a casa loro. Inoltre, i dati ufficiali sono nettamente in positivo per lo Stato. Il bilancio tra costi e ricavi segnala un saldo attivo di 3,9 miliardi. I lavoratori stranieri in Italia sono il 10,5% degli occupati, tra loro vi è un numero crescente di lavoratori autonomi, le loro piccole imprese (oltre 700.000) assumono centinaia di migliaia di italiani e sono di origine straniera il 9,4% degli imprenditori “italiani”. Gli immigrati versano 14 miliardi annui di contributi sociali e ne ricevono solo 7 tra indennità di disoccupazione e pensioni. I loro contributi ci permettono di pagare oltre 600.000 pensioni. Di fronte a questa rassegna di dati inoppugnabili, quand’è che la Politica smetterà di cercare consenso sulla pelle (nera) dei profughi e sulla pelle del futuro economico del Paese

L’IMMIGRAZIONE VISTA DAI MEDIA. GLI SBARCHI CALANO MA LA COPERTURA MEDIATICA È DA RECORD

Al 30 dicembre 2019 sono stati 11.471 gli stranieri sbarcati sulle coste italiane, con un calo del 50,4% rispetto ai 23.122 arrivati del 2018. Nonostante la definitiva uscita da una fase emergenziale, il sistema dei media mainstream, come rilevato dall’Osservatorio TG Eurispes-Coris Sapienza Università di Roma, ha continuato a dedicare al fenomeno grande attenzione, trasformando il 2019 in un’annata record. Questa ulteriore crescita si manifesta soprattutto sugli articoli a stampa (1.091 contro gli 834 del 2018, +30%). Nei Tg del prime time l’attenzione resta altissima: 4.002 i servizi dedicati a questi temi, contro i 4.513 registrati nel corso di tutto il 2018.

Servizio Pubblico vs Tg Mediaset

Al 31 ottobre 2019 i Tg Rai avevano prodotto il 57% delle notizie sul fenomeno migratorio nelle edizioni di prime time (2.276), mentre le 3 testate Mediaset ne hanno gestite poco più di un terzo: il 34% per 1.364 servizi. Nel complesso, il 2019 presenta un “calo” di interesse da parte di più di metà delle testate nei confronti dei temi migratori, mentre 2 in particolare aumentano le proprie coperture: si tratta di Tg3 e Tg2, rispettivamente con 832 e 758 servizi, e in crescita dell’8% e del 9% rispetto al 2018.

 

EBREI E STEREOTIPI: IL 15,6%% NEGA LA SHOAH E IL 16,1% NE RIDIMENSIONA LA PORTATA IN TERMINI DI VITTIME. DAL 2004 AD OGGI AUMENTA IL NUMERO DI CHI PENSA CHE L’OLOCAUSTO NON SIA MAI AVVENUTO (ERANO SOLO IL 2,7%). I CITTADINI DENUNCIANO L’ESISTENZA DI UN PROBLEMA DI UN LINGUAGGIO DIFFUSO BASATO SU ODIO E RAZZISMO E PENSANO CHE GLI ATTI DI ANTISEMITISMO IN ITALIA SIANO IL SEGNALE DI UNA PERICOLOSA RECRUDESCENZA DEL FENOMENO

L’affermazione secondo la quale gli ebrei controllerebbero il potere economico e finanziario, raccoglie il generale disaccordo degli italiani (76%), non manca però chi concorda con questa idea (23,9%). Gli ebrei controllerebbero i mezzi d’informazione a detta di più di un quinto degli italiani intervistati (22,2%), mentre i contrari arrivano al 77,7%. La tesi secondo cui gli ebrei determinano le scelte politiche americane incontra la percentuale più elevata di consensi, pur restando minoritaria: il 26,4%, contro un 73,6%. Rispetto all’affermazione che l’Olocausto degli ebrei non è mai accaduto, la quota di accordo si attesta al 15,6%, a fronte dell’84,4% non concorde. Invece, l’affermazione secondo cui l’Olocausto non avrebbe prodotto così tante vittime come viene sostenuto trova una percentuale di accordo solo lievemente superiore: 16,1%, mentre il disaccordo raggiunge l’83,8%.

A distanza di oltre 15 anni, nel confronto con l’indagine condotta dall’Eurispes su questi stessi temi, la percentuale di italiani secondo i quali gli ebrei determinano le scelte politiche americane è oggi più bassa: dal 30,4% al 26,4%. Nel 2004 per oltre un terzo del campione (34,1%) gli ebrei controllavano in modo occulto il potere economico e finanziario, nonché i mezzi d’informazione, mentre oggi la percentuale risulta inferiore ad un quarto. Aumenta invece il numero di cittadini secondo i quali lo sterminio degli ebrei per mano nazista non è mai avvenuto: dal 2,7% al 15,6%. Risultano in aumento, sebbene in misura meno eclatante, anche coloro che ne ridimensionano la portata (dall’11,1% al 16,1%).

Antisemitismo: episodi violenti sono casi isolati, ma esiste un problema di un linguaggio diffuso basato su odio e razzismo. L’allarme arriva dai giovani

Secondo la maggioranza degli italiani, recenti episodi di antisemitismo sono casi isolati, che non sono indice di un reale problema di antisemitismo nel nostro Paese (61,7%). Al tempo stesso, il 60,6% ritiene che questi episodi siano la conseguenza di un diffuso linguaggio basato su odio e razzismo. Per meno della metà del campione (47,5%) gli atti di antisemitismo avvenuti anche in Italia sono il segnale di una pericolosa recrudescenza del fenomeno. Per il 37,2%, invece, sono bravate messe in atto per provocazione o per scherzo.

L’anima politica dell’italiano

Al campione è stato chiesto quali affermazioni esprimono al meglio l’anima politica della maggioranza degli italiani. Trova un discreto consenso l’affermazione secondo cui “molti pensano che Mussolini sia stato un grande leader che ha solo commesso qualche sbaglio” (19,8%). Con percentuali di accordo vicine tra loro seguono “gli italiani non sono fascisti ma amano le personalità forti” (14,3%), “siamo un popolo prevalentemente di destra” (14,1%), “molti italiani sono fascisti” (12,8%) e, infine, “ordine e disciplina sono valori molto amati dagli italiani” (12,7%). Oltre un italiano su quattro (26,2%) non condivide nessuna delle opinioni presentate.

SICUREZZA: UN ITALIANO SU DUE SI SENTE SICURO NELLA PROPRIA CITTÀ. STALKING E REVENGE PORN: LE DONNE NEL MIRINO

Il 53,2% degli italiani ritiene di vivere in una città abbastanza o molto sicura; sul versante opposto, il 30,4% giudica la propria città come poco o per niente sicura. La paura di subire reati negli ultimi due anni nella maggior parte dei casi è rimasta invariata (68,5%); sono diminuiti coloro che hanno più paura (dal 30% al 24,5%), ma solo il 7% afferma che la paura sia diminuita (-10,9% rispetto al 2019).

In difesa e non all’attacco: come ci si protegge

I provvedimenti adottati negli ultimi due anni per sentirsi più sicuri hanno visto la maggioranza degli italiani installare grate alle finestre (28,7%), un sistema di allarme (28,6%) o una porta blindata (27,3%). Alcuni (11,1%) portano con sé, per sentirsi al sicuro, uno spray al peperoncino, un coltello (9,2%) o hanno acquistato un’arma da fuoco (8%).

Stalking: l’ex-partner responsabile delle molestie in circa un caso su quattro

Il 7,9% degli intervistati ha riferito di essere rimasta vittima stalking, l’87,4% non ha subìto questo reato e il 4,7% ha preferito non indicare alcuna risposta. Le vittime di stalking sono soprattutto persone tra i 45 e i 64 anni (9,7%) e giovani tra i 18 e i 24 anni (9,5%). Sono le donne ad essere più spesso vittime di atti persecutori, con l’8,9% di risposte affermative rispetto al 6,8% registrato per gli uomini. E l’ex partner si conferma come il primo responsabile di atti persecutori (24,1%).

Revenge porn: almeno uno su dieci conosce qualcuno rimasto vittima

Il 12,7% degli italiani intervistati conosce qualcuno che è stato/a vittima di revenge porn, mentre il restante 87,3% non conosce persone le cui immagini o video intimi siano stati diffusi e veicolati senza consenso. Più spesso a riferire di conoscere vittime di revenge porn sono i giovanissimi under 25 (18-24enni) con il 21% delle indicazioni. Nella metà dei casi sarebbero state messe in atto anche forme di ricatto (47,9%). Questi i dati rilevati dall’Osservatorio Cybersicurity dell’Eurispes che da tempo studia questo fenomeno.

 

SCUOLA: PIÙ DELLA METÀ VUOLE ESTENDERE L’OBBLIGO. TRA LE AGENZIE EDUCATIVE, LA SCUOLA RELEGATA AD UN RUOLO DI SECONDO PIANO. I RAGAZZI CHIEDONO DI APPROFONDIRE LA STORIA PIÙ RECENTE

Estendere l’obbligo scolastico fino alle scuole medie superiori trova d’accordo il 52,4% degli italiani. Sei mesi di servizio civile obbligatorio finita la scuola dell’obbligo è un’idea che piace nel 54,1% dei casi. Molti meno (48,2%) concordano sull’opportunità di introdurre nel sistema scolastico un criterio meritocratico per la retribuzione degli insegnanti più bravi e preparati. Solo il 32,9% degli intervistati ritiene una proposta valida il prolungamento dell’anno scolastico fino a luglio; accolta in maniera negativa anche l’eventualità della riduzione del numero delle Università presenti in Italia (il 33,3% si dice favorevole).

Tra le agenzie educative, la scuola viene relegata ad un ruolo di secondo piano e considerata formativa per la propria esperienza di vita solo nel 6,5% dei casi. È la famiglia, al contrario, ad aver influito maggiormente sull’educazione degli italiani intervistati (47%). Più dell’approfondimento dei grandi eventi storici (47,6%) i programmi scolastici relativi allo studio della storia dovrebbero privilegiare i fatti della storia recente (52,4%). Questa richiesta arriva soprattutto dai giovani (il 57,1% dei 18-24enni e il 65% dei 25-34enni).

I GIOVANI E LA LORO IDEA DI FUTURO. UN CONFRONTO INTERNAZIONALE TRA ITALIA, GERMANIA, POLONIA, RUSSIA

I valori della vita considerati prioritari tra i giovani 18-30enni di Italia, Germania, Polonia e Russia sono: il lavoro, la salute, gli amici, l’amore; in declino la politica, i figli, la religione. Questo quanto emerge da un’indagine internazionale condotta da un pool di esperti appartenenti a diversi enti: per l’Italia, l’Eurispes. Più di sette tedeschi su dieci (73,8%) hanno piena o abbastanza fiducia nel futuro, a fronte del 55% dei giovani italiani, di metà dei russi (49,1%) e solo del 39,4% dei polacchi. Le difficoltà finanziare sono considerate un problema dal 36,8% dei tedeschi, dal 35,7% dei russi, dal 22,9% degli italiani, dal 22,5% dei polacchi; gli affitti elevati lo sono per quasi la metà dei tedeschi (48,2%), quattro polacchi e russi su dieci (rispettivamente 41,9% e 40,2%) e tre italiani su dieci (30,5%). Tra i criteri principali che i giovani indicano per definire cosa sia il successo nella vita prevalgono i motivi di realizzazione personale: il successo nella carriera (30,6% Russia, 27,8% Germania, 20,7% Polonia, 18,6% Italia); la possibilità di vivere una vita interessante (40% Germania, 39,9% Russia, 25,2% Polonia, 10,2% Italia); di avere amici (37,5% Polonia, 37,3% Russia, 36,6% Germania, 30,4% Italia); o una buona salute (38% Germania, 37,9% Polonia, 36,7% Russia, 36,2% Italia).

MEDIA: LA TV È LA PIÙ CREDIBILE, MENTRE I SOCIAL NON SONO AFFIDABILI. PER FORMARE L’OPINIONE DI VOTO GLI ITALIANI SI RIVOLGONO ALLA TV

Gli italiani considerano ancora la televisione il mezzo più attendibile (64,6%); seguono giornali radio (59,8%), quotidiani (55,3%); quotidiani online (51,1%); talk televisivi (42,4%); forum o i blog (41,1%) e Social Network (35,4%).

Opinione di voto, la Tv perde dieci punti in 12 anni. Un quarto degli italiani non si affida ai mezzi di informazione

Quasi tre italiani su dieci (28,6%) formano la loro opinione di voto sulla base delle informazioni che apprendono in Tv (nel 2008 il dato era al 38,3%); un quarto (24,6%) non si basa su alcun mezzo, in quanto ha idee proprie. Pochi si affidano a Social (12,2%), quotidiani (10,1%), quotidiani on line (8,5%), radio e comizi dei candidati (5,2%).

Valori e ideali orientano le scelte politiche per un terzo degli italiani

Ad influenzare maggiormente le scelte di voto sono i valori e le opinioni personali (32,6%). Seguono la propria situazione economica/lavorativa (16,8%), la propria visione del futuro (14,8%), la situazione familiare (10,5%), la tradizione familiare (9,6%) e l’opinione di parenti ed amici (8,8%).

ANIMALI, 4 ITALIANI SU 10 NE ACCOGLIE ALMENO UNO. LA LORO DIETA SI “UMANIZZA”. E LA LORO PERDITA È UN VERO TRAUMA: SI DIFFONDONO CREMAZIONE E CIMITERI PER ANIMALI

Quattro italiani su dieci (39,5%) accolgono almeno un animale in casa (erano il 33,6% nel 2019 e il 32,4% nel 2018). In particolare, nel 20,7% dei casi un animale, nel 9,6% dei casi due pet, nel 5,6% tre, nel 3,6% più di tre. In quasi la metà dei casi si tratta di un cane (48,8%). A scegliere un gatto sono il 29,6%. Il restante 21,6% si divide tra i possessori di uccelli (3,5%), tartarughe (3,4%), pesci (2,9%), criceti (2,4%), conigli (2,3%), cavalli (1,8%), rettili (1%), animali esotici (0,8%) e asini (0,4%).

Aumenta la spesa e la salute diventa pet friendly

La spesa media mensile per la loro cura è aumentata negli anni: uno su dieci investe tra i 100 e i 200 euro. In particolare, il 32,8% spende “da 31 a 50 euro”, il 28,7% “da 51 a 100 euro”, il 22,4% “meno di 30 euro”, il 9,7% “da 101 a 200 euro”, il 4,3% “da 201 a 300 euro” e il 2,1% “più di 300 euro”. Tra le nuove tendenze, da segnalare l’uso degli integratori alimentari: un quarto (25,8%) di chi possiede animali li aggiunge alla loro dieta; degli alimenti biologici (22,2%) e dei farmaci omeopatici (13,1%).

Affrontare la perdita. Il trauma del lutto

Quando l’animale di casa muore, la perdita è vissuta come un vero e proprio trauma. Il 38,1% di chi ha dovuto affrontare questo dolore ha scelto la cremazione, il 25,6% la sepoltura in un cimitero per animali, il 27,8% ha deciso di non prendere più animali per evitare la sofferenza legata alla perdita.

UNA SCELTA DI BENESSERE E AMORE PER GLI ANIMALI: VEGETARIANI E VEGANI AUMENTANO ANCORA FINO ALL’8,9%. SEMPRE PIÙ SPESSO SI MANGIA SENZA GLUTINE (14,6%) O LATTOSIO (18,7%). IL 5% DEGLI ITALIANI USA ALIMENTI ALLA CANNABIS LIGHT. COMPRARE CIBO DA ASPORTO (70,3%), A DOMICILIO (54%) O PRODOTTI INDUSTRIALI CHE RICHIEDONO QUALCHE MINUTO PER ESSERE PRONTI (61,9%) SONO ORMAI ABITUDINI CONSOLIDATE

Di fronte alla domanda “è vegetariano?” il 6,7% degli italiani intervistati afferma di esserlo, il 2,2% dichiara invece di essere vegano, mentre il 6,3% dice di non essere più vegetariano. Nel 2020, dunque, con l’8,9% delle indicazioni, vegetariani e vegani sono in aumento rispetto al 2019 e al 2018, quando questa percentuale era rispettivamente al 7,1% e al 7,3%. Tra le motivazioni alla base della scelta troviamo soprattutto la salute e il benessere (23,2%) e l’amore e il rispetto nei confronti del mondo animale (22,2%).

Le alimentazioni “senza”

Il 18,7% degli italiani che hanno partecipato all’indagine ha un’alimentazione priva di lattosio, il 14,6% mangia cibi senza glutine, e il 16,3% segue un’alimentazione arricchita regolarmente da integratori.

Alimenti alla cannabis: molti li hanno sperimentati o vorrebbero farlo. Il 5% li usa nella propria dieta

Il 23,1% degli italiani sarebbe curioso di provare alimenti a base di cannabis light, il 16,4% li ha già sperimentati e il 5,1% ha inserito questi alimenti all’interno delle proprie diete.

Un settore di potenziale crescita economica

Dall’entrata in vigore della legge 242/2016 nel gennaio del 2017 le superfici coltivate a canapa in Italia erano passate da 950 ai quasi 4.000 ettari nell’ultimo triennio; erano nate 800 partite IVA agricole specializzate, 1.500 nuove aziende di trasformazione e distribuzione, e 1.000 shops. Il settore contava 10.000 addetti e un fatturato di 150 milioni di euro per il 2018. Ventotto miliardi previsti per il 2021 era il potenziale giro di affari del settore a livello europeo.

Vite frenetiche, cibo a portar via o a domicilio. Le nuove tendenze. Un bambino su tre è obeso

Il 54% degli italiani compra cibo a domicilio. L’abitudine di acquistare alimenti già cucinati destinati all’asporto è assai diffusa e riguarda ben il 70,3% degli italiani. Anche coloro che acquistano sui banchi del supermercato e della grande distribuzione organizzata prodotti industriali che richiedono qualche minuto per essere pronti sono in molti (61,9%).

Accanto al consolidarsi di nuovi stili alimentari, si evidenzia un dato preoccupante: i tassi di obesità infantile nel nostro Paese sono considerati tra i più alti. Il sovrappeso in Italia interessa circa 1 bambino su 3. Ci troviamo al secondo posto in Europa per diffusione dell’obesità infantile maschile (21%) e al quarto per obesità infantile femminile (14%).

CLIMATE CHANGE, LA GENERAZIONE GRETA SMUOVE IL CAMBIAMENTO, ANZIANI PIÙ PIGRI ED EGOISTI. UN TERZO DEGLI ITALIANI DISINTERESSATO A CAMBIARE ABITUDINI PER FAR FRONTE AL RISCALDAMENTO TERRESTRE. PER MIGLIORARE L’AMBIENTE SONO DISPOSTI AD ACQUISTARE LAMPADINE A BASSO CONSUMO E DIMINUIRE L’USO DELLA PLASTICA, MA NON RINUNCIANO AI VIAGGI.

La temperatura globale è aumentata di 0,8 gradi celsius e, se la situazione non dovesse cambiare, si potrebbe registrare una crescita di 1,5 gradi centigradi tra il 2030 e il 2052. Se il riscaldamento globale non si arresterà, nel 2100 il Pil mondiale subirà una variazione negativa del 23%. Tuttavia, l’alzamento delle temperature non influenzerà tutto il mondo allo stesso modo: l’economia dei Paesi freddi come Svezia, Norvegia e Canada, sta registrando aumenti del Pil pro capite dal 25 al 34%. L’Italia è tra i paesi più vulnerabili: i cambiamenti climatici ridurranno il Pil pro capite italiano dello 0,89% nel 2030, del 2,5% nel 2050 e del 7% nel 2100.

Più di un quarto degli italiani (26,6%) considera il riscaldamento globale il problema più urgente relativo all’ambiente. Seguono: gestione dei rifiuti (20,7%), inquinamento atmosferico (16,4%), dissesto idrogeologico (11,3%) e problema energetico (11,2%). A giudicare più urgente una soluzione al riscaldamento globale sono i giovani tra i 18 e i 24 anni (34,3%), più del doppio rispetto agli over 65 (16,1%).

Riscaldamento terrestre. Un terzo non è disposto a cambiare abitudini o crede che non serva o che sia un problema troppo grande

Più di un terzo degli italiani (34,7%) è disposto a ridurre i consumi quotidiani per limitare il riscaldamento terrestre (nel 2018 erano il 23%,); un altro terzo (33,2%) crede possa servire se lo fanno in tanti tutti i giorni (41,1% nel 2018,); l’ultimo terzo (32,1%) si divide tra chi crede sia un problema troppo grande da risolvere attraverso i comportamenti dei singoli (17%; nel 2018 erano il 20,2%), chi è poco disposto a cambiare le proprie abitudini (9,7%; nel 2018 erano il 10,1%) e chi crede non serva a niente (5,4%; nel 2018 il 5,6%).

Usare lampadine a basso consumo è l’accorgimento preferito; quattro su dieci non vogliono rinunciare ai viaggi in aereo

Per ridurre i consumi molti sono disposti a utilizzare lampadine a basso consumo (79,4%), ad acquistare prodotti privi di imballaggio in plastica (74,4%), a ridurre l’uso dell’auto privata (72,2%), a usare meno i condizionatori d’aria d’estate (71%), e a consumare meno acqua quando ci si lava (70,1%). Meno apprezzata la possibilità di rinunciare il più possibile ai viaggi in aereo (59,7%), insieme all’acquisto di pannelli fotovoltaici per la propria casa (63,2%).

VAPING E TABACCO RISCALDATO. SIGARETTA ELETTRONICA PREFERITA DALLA DONNE. SI CAMBIA PER SENTIRSI PIÙ IN SALUTE

In Italia i tabagisti sono circa il 20% della popolazione di cui il 61,8% uomini e il 38,8% donne (ISS). Nonostante le sigarette tradizionali restino le protagoniste indiscusse del mercato del tabacco, negli ultimi anni si è assistito alla crescita del settore di prodotti senza combustione.

Poco più del 90% di chi consuma prodotti senza combustione usa la sigaretta elettronica; il 3,4% preferisce i prodotti a tabacco riscaldato; mentre il 4,9% li utilizza entrambi. Gli uomini più delle donne utilizzano prevalentemente la sigaretta elettronica (92,6% contro 82,6%); le fumatrici scelgono invece più spesso l’utilizzo combinato di entrambi i prodotti senza combustione (8,7% contro 4,1%).

Il 43,4% usa i prodotti senza combustione da 2-4 anni e il 23,4% da più di 4 anni; sono il 18,9% coloro i quali hanno iniziato da 6 mesi-1 anno e il 14% quanti li utilizzano da meno di 6 mesi.

Le motivazioni che spingono all’utilizzo: prima, la salute

La metà del campione (50,6%) ha scelto questi prodotti ritenendoli meno dannosi per la salute. Uno su 3 afferma di sentirsi meglio fisicamente; l’8,3% di aver riscontrato effetti positivi sul proprio corpo e il 6,8% vuole dare meno fastidio a chi gli è accanto.

Il 66,4% dei fumatori dichiara di aver completamente smesso di fumare le sigarette tradizionali dopo aver provato i prodotti senza combustione e il 22,6% ne ha diminuito il consumo. Solo il 5,7% ha mantenuto invariate le proprie abitudini nonostante utilizzi anche questi prodotti, l’1,1% fa un uso associato di entrambi i prodotti senza combustione, mentre lo 0,8% ha ripreso a fumare esclusivamente le sigarette tradizionali.

Tra i modi di fumare, la sigaretta elettronica giudicata la meno nociva

La sigaretta tradizionale è il prodotto considerato più nocivo (94,8%). Al contrario, la sigaretta elettronica è il prodotto al quale viene attribuito un minore effetto dannoso (9,1%). Sigaro (83,4%) e pipa (82,2%) sarebbero nocivi quasi quanto la sigaretta tradizionale. L’utilizzo dei prodotti a tabacco riscaldato è giudicato pericoloso per la salute nel 65,7% dei casi. Il consumo di hashish/marijuana invece viene giudicato in prevalenza molto dannoso, ma con una percentuale nettamente più bassa rispetto alle sigarette tradizionali, al sigaro e alla pipa (52,8%).

Tasse in fumo

Per il 64,2% dei consumatori tali prodotti dovrebbero essere esclusi dalla tassazione, mentre per il 14,3% devono essere tassati; in molti non hanno saputo o voluto esprimersi al riguardo (21,5%).

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