Agromafie
2° Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia
Documento di Sintesi
Capitolo 2 | La Catena del “dis-Valore”
Nonostante i dati generali mostrino una maggiore capacità del settore agroalimentare di sottrarsi alle dinamiche recessive del ciclo economico in atto, la spesa delle famiglie italiane comincia a mostrare una diminuzione significativa anche nei consumi alimentari, da sempre considerati immuni dalle difficoltà dei differenti cicli economici. Esaminando la catena del valore in agricoltura, emerge che in Italia, negli ultimi decenni, soprattutto nel comparto agroalimentare si è verificato un sospetto e preoccupante aumento di intermediari tra il produttore e il consumatore; un numero crescente di soggetti presenti nella realizzazione del prodotto finale (agricoltori/allevatori, industria di trasformazione, trasportatori, distributori, commercianti all’ingrosso e al dettaglio), che ha determinato un allungamento della filiera produttiva, con pesanti ricadute sulla competitività del settore e con evidenti problemi di trasparenza e legalità. Oggi siamo di fronte ad un doppio e contemporaneo impoverimento che interessa sia i consumatori italiani sia gli operatori del settore, entrambi danneggiati da una serie di fattori esogeni ed endogeni.
Lo studio Ismea. Da uno studio realizzato dall’Ismea è emerso che nel 2009 per ogni 100 euro spesi dalle famiglie in prodotti agricoli destinati al consumo fresco (principalmente prodotti ortofrutticoli) e negli altri beni e servizi della branca (prodotti alimentari trasformati dalle stesse aziende agricole e servizi agrituristici), 7 euro sono stati spesi in prodotti finali agricoli esteri, 20 euro nella branca agricola produttrice, mentre oltre il 70%, 73 euro, sono stati destinati sia al settore commerciale, distributivo e del trasporto, sia al pagamento delle imposte sul consumo. Esiste di fatto uno squilibrio evidente tra i diversi soggetti della filiera che tra il 2000 e il 2009 è andato anche ad aggravarsi ulteriormente; nel periodo preso in esame, la quota del margine distributivo lordo è aumentata di ben 4,5 punti percentuali, passando da 68,4 a 72,9 euro, a conferma del ruolo sempre più rilevante dei soggetti intermediari del commercio all’ingrosso e al dettaglio, del trasporto e per il pagamento di imposte indirette sui prodotti, come l’Iva. Queste dinamiche, oltre ad indicare l’evidente inefficienza della catena del valore, incidono in maniera sempre più importante sul settore agricolo che perde quote rilevanti all’interno della filiera agricola italiana, registrando una riduzione notevole del proprio valore aggiunto che, nello stesso arco di tempo, scende da 17,5 a 11,9 euro.
La crisi dell’agricoltura. Da qui la situazione di particolare difficoltà che sta attraversando, da anni, l’agricoltore italiano, stretto da una parte dalla concorrenza straniera, dall’altra dalla pressione delle voci di costo poco comprimibili come i salari e, infine, dall’aumento dei margini della distribuzione. Un combinato disposto che tra il 2000 e il 2009 ha determinato un vero e proprio crollo dei redditi degli agricoltori la cui quota per ogni 100 euro prodotti dalla filiera scende da 7,6 a 1,5 euro. Nel 2009 su 100 euro di spesa per le famiglie, 9,7 euro sono stati destinati ai prodotti d’importazione, 42,2 euro, alla remunerazione del lavoro e del capitale e al pagamento delle imposte. Nell’Industria alimentare la quota destinata al commercio, trasporto e distribuzione è pari a 48,1 euro che, al netto delle imposte indirette. Anche esaminando la catena del valore dei prodotti dell’industria agroalimentare italiana, emerge che la distribuzione ha fatto registrare una crescita dei propri margini che, tra il 2000 ed il 2009, passano da 39 a 42 euro al netto delle imposte sul consumo; inoltre, si registra un aumento dell’incidenza del valore dei prodotti importati e una riduzione della quota complessiva destinata all’Industria alimentare, che passa da 45,8 euro a 42,2 euro. È possibile affermare che proprio a causa delle evidenti inefficienze della filiera agricola italiana, l’aumento dei costi ha peggiorato soprattutto la condizione degli agricoltori. Prendendo in esame l’incidenza delle varie fasi di scambio sul prezzo al dettaglio delle principali categorie di alimenti, emerge che per gli ortaggi freschi dal 2005 al 2012 l’incidenza del prezzo d’origine sul prezzo finale del prodotto si è considerevolmente ridotta passando dal 34,9% al 27,6%. La riduzione è avvenuta principalmente a favore dell’incidenza del prezzo al dettaglio, cresciuta dal 34,7% del 2005 a ben il 45,8% del 2012, con un’impennata particolarmente significativa dal 2010 (34,6%) al 2011 (46,8%). La quota riconducibile al prezzo all’ingrosso ha conosciuto una contrazione a partire dal 2010, in corrispondenza con la maggiore incidenza del prezzo al dettaglio; nel 2012 si attesta al 26,6% (era il 30,4% nel 2005). Negli ultimi anni l’incidenza del prezzo al dettaglio è divenuta quindi nettamente più rilevante nel determinare il prezzo finale degli ortaggi freschi. Per quanto concerne la frutta fresca, il trend degli ultimi anni evidenzia una sempre maggiore incidenza del prezzo al dettaglio sul prezzo finale degli alimenti. Nel 2012 il prezzo al dettaglio pesa infatti per il 38,2%, a fronte del 33,9% del prezzo d’origine e del 27,9% del prezzo all’ingrosso. La quota relativa al prezzo al dettaglio, che nel 2005 si attestava su un ben più contenuto 25,1%, si è impennata a partire dal 2011. L’incidenza del prezzo all’ingrosso è quella che negli anni ha conosciuto la riduzione più significativa (nel 2005 era del 37,4%). Nel caso della pasta di semola si può osservare che, tra le diverse fasi di scambio, quella che pesa maggiormente nel determinare il prezzo è l’origine (39,7%); segue il prezzo al dettaglio (36,4%). Dal 2005 al 2012 il peso delle varie fasi ha mostrato un andamento molto altalenante. Rispetto al prezzo finale del latte l’incidenza della fase al dettaglio ha sempre, dal 2005 al 2012, prevalso nettamente. Nel 2012 la quota si è attestata al 70,5% (nel 2005 era 61,5%), con la quota relativa all’origine ferma al 29,5%. Dal 2008 in poi si può notare una maggiore incidenza del prezzo al dettaglio. Tutti i dati confermano le distorsioni e gli squilibri presenti nella filiera agricola italiana: da una parte, emerge il profilo di una filiera fortemente squilibrata sia nella stessa fase agricola (ammortamenti e salari), sia nei rapporti con le industrie fornitrici, gli intermediari e i distributori; dall’altra, i dati mostrano una domanda crescente per i beni di origine estera, sia in termini di prodotti finali destinati alle famiglie sia per la fornitura di beni intermedi.
La formazione dei prezzi. L’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli sui mercati internazionali, a partire dalla seconda metà del 2007, è stato molto rapido ed ha raggiunto un picco nella prima parte del 2008, per poi ridursi e stabilizzarsi nella prima metà del 2009 e riprendere di nuovo a crescere nella seconda metà del 2010 e nel 2011. Nell’anno 2012, i prezzi internazionali delle materie prime agricole, secondo l’indice FAO, hanno registrato un calo (-6,9%), dopo l’incremento particolarmente consistente del 2011 (+22,8%) e quello altrettanto elevato del 2010 (+18,1%). Osservando i dati in base alle diverse tipologie, tutte caratterizzate da un calo dei prezzi nel 2012, si può osservare che le flessioni maggiori hanno interessato gli zuccheri (-17,1%) i latticini (-14,5%) e gli oli (-10,7%). Per gli zuccheri si tratta della prima forte flessione dopo anni di significativa crescita. I dati Istat del 2011 relativi all’indice dei prezzi dell’Industria agroalimentare, hanno registrato un aumento del 5,9%, a fronte di un incremento per le bevande analcoliche del 2,5% e quello per le bevande alcoliche e tabacchi del 3,5%, mentre il tasso d’inflazione medio è stato pari al 2,8%. Nonostante nel periodo 2006-2011 la ragione di scambio sia rimasta sostanzialmente invariata, quando non addirittura diminuita, questo non sembra aver favorito gli agricoltori che non sono riusciti a trarre vantaggio dal recente recupero dei prezzi sui costi di produzione. Nell’ultimo decennio, la ragione di scambio dell’agricoltura ha registrato un peggioramento pari ad un tasso medio dello 0,9% l’anno; infatti, mentre i prezzi all’origine crescevano ad un tasso medio dell’1,8%, i prezzi dei mezzi di produzione subivano aumenti del 2,7% all’anno. Nel complesso, l’intera filiera agroalimentare sembra mostrare una difficoltà a mantenere stabile il rapporto tra la dinamica dei prezzi di vendita e la dinamica dei prezzi dei fattori produttivi di produzione, con una conseguente erosione dei margini di reddito. Come se non bastasse, il settore agricolo oltre a registrare una perdita tendenziale di redditività nel medio-lungo periodo, è stato fortemente penalizzato dalle repentine e intense variazioni dei prezzi alla produzione.
Agricoltori e consumatori: una povertà condivisa. L’aver sempre più allontanato i produttori agricoli dai consumatori ha comportato conseguenze rilevanti a carico di entrambi i soggetti favorendo, da una parte, l’esclusione dei piccoli produttori dal mercato perché poco competitivi e incapaci di garantire gli standard produttivi richiesti, dall’altra, impedendo al consumatore di poter conoscere il percorso dei propri acquisti e di poter effettuare un controllo diretto sulla qualità. Inoltre, lo sviluppo di questo tipo di mercato ha favorito la scomparsa delle risorse territoriali, in termini di biodiversità, ma anche l’erosione della cultura rurale, soprattutto gastronomica nei contesti locali. Recentemente, in risposta alla tendenza dominante delle filiere lunghe, i produttori hanno elaborato nuovi approcci volti alla ri-localizzazione dei circuiti di produzione e consumo e si è diffusa una concezione orientata maggiormente all’adozione della “filiera corta”. Questo, consente agli agricoltori di riconquistare un ruolo attivo nel sistema agroalimentare italiano, attraverso la collaborazione degli altri attori della filiera, della quale entrano a far parte, come soggetti attivi, anche i consumatori che possono conoscere il percorso del prodotto e monitorarne la relativa qualità.
Nel 2011, la contrazione della domanda interna ha determinato un calo dell’attività produttiva delle industrie alimentari. L’indice grezzo per l’industria alimentare ha registrato nel 2011 una flessione su base annua dell’1,9%. Tale dato è confermato dall’indagine Ismea sul clima di fiducia dell’industria alimentare: il confronto con il dato medio del 2010, fa emergere un peggioramento della fiducia degli operatori dell’industria alimentare italiana, con un indice che, pur rimanendo positivo, si porta su valori prossimi allo zero. Nel lungo periodo la produzione dell’industria alimentare italiana ha mostrato un trend positivo: tra il 2001 e il 2011 il tasso di crescita medio annuo è stato pari allo 0,7%, segno della capacità reattiva del settore e della sua natura anticiclica. L’export alimentare italiano ha registrato un andamento interessante. Con oltre 24 miliardi di euro, le esportazioni delle industrie alimentari, delle bevande e del tabacco hanno rappresentato nel 2011 oltre l’80% del totale export agroalimentare, circa il 18% del fatturato. Un dato in crescita ma che resta sostanzialmente inferiore alla media comunitaria (25%) e ai principali paesi competitor, come Francia (20%) e Germania (24%). È una quota modesta che mette in evidenza la stretta dipendenza dell’industria alimentare italiana con l’andamento della domanda interna, debole ormai da molti anni.
Fonte: www.eurispes.eu