Rapporto 2023 sulla precarietà sociale | Rete SUPI – Eurispes
La precarietà come la “nuova normalità” che caratterizza la società contemporanea. È questo l’elemento di fondo che emerge con chiarezza dal Rapporto 2023 sulla precarietà sociale che l’Eurispes ha elaborato in collaborazione con la Rete Europea sulla Incertezza, Precarietà, Disuguaglianza Sociale – SUPI*, coordinata dal prof. Rolf Dieter Hepp, sociologo della Freie Universitaet di Berlino e membro del Comitato Scientifico dell’Istituto italiano.
Il Rapporto intitolato “La nuova normalità. Elementi di una nuova precarietà strutturale e diffusa” presenta i risultati delle analisi e valutazioni di esperti europei ed extra-europei del fenomeno della precarietà che, emerso in un primo tempo soprattutto nel mondo del lavoro, si è diffuso sempre più negli ultimi anni nell’intero sistema sociale, fino a diventarne una caratteristica strutturale. Sociologi, economisti, psicologi, filosofi sono concordi nel ritenere che la precarietà ha manifestato un processo evolutivo; da lavorativa è diventata progressivamente un fatto sociale, culturale, esistenziale, con tutte le conseguenza negative che questa circostanza comporta nella vita delle persone, delle comunità, ed anche sulle Istituzioni, la politica, le pratiche democratiche.
Tra i temi sui quali si sono concentrate maggiormente le analisi del gruppo di ricerca internazionale, si segnalano: le condizioni del lavoro (con la proposta relativa all’aggiornamento degli indicatori di misurazione); i nuovi meccanismi di funzionamento dell’economia e gli effetti negativi dell’economia del debito; i limiti delle politiche sociali di fronte all’esigenza di correggere le disuguaglianze, promuovere la coesione sociale, perseguire la sostenibilità dello sviluppo; il ruolo correttivo dei servizi locali; la formazione di una vera e propria nuova classe sociale definita “Il Precariato”; la precarietà delle classi dirigenti; la precarietà che investe il mondo della scuola e della formazione; la precarietà psicologica causata dalle pratiche estetiche-pubblicitarie negative sul corpo umano; fino alle valutazioni etiche e filosofiche sulla necessità di impegnarsi a recuperare il senso vero di “una buona vita” come condizione per correggere la precaretà strutturale ormai affermata nei nostri sistemi.