Lotta all’evasione: questione etica o economica?
Nel discorso di fine anno il Presidente della Repubblica ha rinnovato l’invito ad una efficace, quanto imprescindibile, lotta all’evasione fiscale.
Spesso (purtroppo) il tema viene trattato in modo superficiale, sull’onda emotiva di giudizi soggettivi.
Spesso (purtroppo) si sentono anche commenti secondo cui l’evasione sarebbe la difesa naturale contro l’arroganza dello Stato. In base a tali semplicistiche proiezioni chi può evadere evade e chi non può farlo, si limita a pagare l’idraulico o il falegname in nero, pur di risparmiare l’Iva.
Questi erano (e ritengo che siano) commenti molto diffusi nella vita quotidiana.
Prima di esprimere la mia posizione sull’argomento, mi preme però fare una precisazione e premessa: le tasse non devono essere alte per sostenere una spesa pubblica sempre più alta. La pressione fiscale in Italia è oggi molto alta e andrebbe senz’altro abbassata. Uno dei passaggi fondamentali che, viste le cifre dell’evasione fiscale in Italia e visti i vincoli di bilancio comunitari, vanno però affrontati per consentire (realisticamente) l’abbassamento delle tasse (e la realizzazione del motto “pagare meno per pagare tutti”, sempre valido) è quello di contrastare efficacemente l’evasione fiscale. E nel parlare di contrasto all’evasione fiscale il primo nemico sono senza dubbio le grandi frodi, le elusioni fiscali, le operazioni inesistenti ecc. (tipiche delle organizzazioni criminali).
L’unica soluzione possibile (ancor più in un momento di crisi) è dunque una vera lotta all’evasione.
I concetti che mi preme evidenziare sono pertanto i seguenti:
– riportare lo stato dei fatti, citando le cifre stimate dell’evasione in Italia;
– non dare giudizi morali, ma esclusivamente giuridici ed economici sull’evasione;
– sottolineare che, comunque, l’evasione fiscale è una violazione di legge (e su questo credo che nessuno possa obiettare nulla), in quanto tale illecita;
– evidenziare infine che chi non evade dovrà sopportare, di fatto, un sempre maggiore carico fiscale, pagando quindi in prima persona la scelta di chi invece evade, in un inaccettabile contesto da homo homini lupus.
I punti sopra riportati non rappresentano giudizi, ma mere constatazioni di fatto, in quanto tali, a mio avviso, non contestabili.
Nell’affrontare la questione fiscale, non bisogna dunque farne una questione morale.
La morale è infatti un concetto molto soggettivo e soprattutto molto pericoloso quando applicato alla valutazione delle leggi.
In conclusione:
– ogni Stato non può esistere senza imposizione fiscale;
– l’imposizione fiscale viene stabilita con legge del Parlamento;
– la pressione fiscale è oggi troppo elevata e deve essere abbassata;
– evadere rappresenta una violazione di legge ed è quindi illegale;
– ciò che non viene pagato dall’uno sarà pagato dall’altro (che non vuole violare la legge o che comunque non la può violare);
– uno dei modi principali per abbassare la pressione fiscale passa necessariamente per un forte contrasto all’evasione fiscale.
La politica, ancor più quando è al Governo, ha la responsabilità dello Stato e della tutela di tutti i suoi cittadini e non solo dei più furbi, anche laddove fossero la maggioranza.
E che siano la maggioranza, in effetti, viene qualche sospetto, se è vero che lo scorso anno un cittadino su tre ha dichiarato meno di 10mila euro all’anno e se è vero che i contribuenti con oltre 100.000 euro di imponibile sono solo l’1% della popolazione (e 100.000,00 euro lordi corrispondono a circa 4.800,00e al mese per 13 mensilità, il che, seppur certamente non poco, non vuol dire essere milionari).
D’altra parte siamo in una sorta di cul de sac: non si possono aumentare le tasse (anche perché abbiamo una pressione fiscale già troppo alta) e non si possono diminuire, pena il rischio del dissesto finanziario.
La sola alternativa che resta, oltre naturalmente alla razionalizzazione della spesa pubblica, è recuperare quei 120 miliardi all’anno che mancano all’appello, o almeno una parte (lo scorso anno sono stati recuperati circa 14 miliardi di imposte non pagate).
Anche l’evasione sui consumi del resto è altissima se solo si pensa che abbiamo un’Iva evasa per circa 50 miliardi di euro.
Insomma una situazione davvero insostenibile.
Avere una notevole evasione fiscale, del resto, per assurdo, in questo momento di crisi può essere addirittura un’arma in più a favore dell’Italia, che, a differenza di altri Paesi, può infatti permettersi di aumentare il gettito senza dover aumentare le tasse, facendo emergere l’economia sommersa e il lavoro nero e senza colpire i settori “sani” dell’economia
E dunque, non questione morale, ma semplice questione economica.
Il confine tra etica e giustizia non è del resto sempre ben individuabile.
Ma ciò non toglie che, in particolare in una materia quale quella fiscale, caratterizzata da rilevanti risvolti sociali e politici, anche una certa visione “etica” dell’importanza del contrasto all’evasione possa comunque accompagnarsi (senza certo sostituirsi) alla valutazione giuridica.
Alla base dell’applicazione della normativa tributaria, infatti, vi è comunque la realizzazione di quel principio di cui all’art.53 della Costituzione, secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, laddove la capacità contributiva si manifesta con la produzione del reddito e il possessore del reddito concorre alla spesa pubblica mediante il pagamento delle imposte.
Secondo la dottrina economica la “convenienza” dell’evasione tiene del resto anche conto dei costi morali, sociali e psicologici che la scelta di evadere le imposte comporta.
Quindi, a ben vedere, tali componenti, morali e sociali (oltre che giuridiche ed economiche), non sono mai completamente scisse dall’analisi del rapporto tributario.
Già una delle primissime sentenze (nel caso di specie della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte) in tema di contratto nullo per causa illecita e disconoscimento dei relativi effetti fiscali riconosceva, per esempio, che il dividend washing (operazione societaria spesso frutto di mera “pianificazione” fiscale) era contratto esclusivamente motivato dal fine di elusione fiscale, ed era pertanto nullo “per contrarietà della causa contrattuale ai principi del buon costume”.
La Commissione Tributaria citata sottolineava come l’elusione fiscale, a differenza dell’evasione fiscale tout court, fosse definibile come quel comportamento del contribuente volto a sottrarsi scaltramente ad un obbligo d’imposta, pur non violando apertamente una determinata norma imperativa.
La Commissione Tributaria citata concludeva poi affermando che “resta comune ad entrambi i concetti” (elusione ed evasione, nda) “la qualità del risultato finale del comportamento, pur diversamente qualificato, del contribuente: la perdita di entrate spettanti allo Stato con corrispondente “ingiusto” lucro del contribuente”.
La Commissione Tributaria prima citata, con incursione a dire il vero più sul filosofico che sul giuridico, ma con espressioni che possono fare senz’altro (e giustamente) “riflettere”, rinviava “a modelli di comportamento etico-sociale od al costume proprio del contesto sociale”.
Secondo tale impostazione, pertanto, l’elusione fiscale ieri e l’abuso del diritto oggi coinciderebbero in sostanza con quell’“interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico” che il codice civile (articolo 1322) pretende come condizione d’efficacia del contratto, laddove l’elusione e l’abuso si pongono comunque in contrasto (usando ancora le parole della Commissione tributaria più volte citata) con quei “principi ed esigenze etiche della coscienza morale collettiva che costituiscono la morale sociale in quanto ad essi uniforma il proprio comportamento la generalità delle persone corrette, di buona fede, di sani principi” (sani principi che, appunto, come già ricordava la Suprema Corte in una ormai lontana sentenza del 1981, “integrano il concetto di buon costume”).
Questo a dimostrazione che, in particolare nel tributario, diritto, politica, filosofia ed etica sono spesso fin troppo “intrecciati”, rendendo difficile una visione “oggettiva” ancorata a principi di diritto chiari ed incontrovertibili.
Ma senza una visione asettica ed oggettiva si rischiano solo sterili polemiche politiche, perdendo di vista, invece, il solo ed unico obiettivo: una efficace lotta all’evasione fiscale per una opportuna riduzione della pressione fiscale.
5 gennaioo 2016
Giovambattista Palumbo, Direttore Osservatorio Eurispes sulle Politiche fiscali