Le assurdità del Fisco e la riforma necessaria
A quasi trent’anni dalla pubblicazione della prima ricerca sulle distorsioni del Fisco, l’Eurispes torna a parlare della farraginosità del nostro sistema con lo studio coordinato dall’Avv. Giovambattista Palumbo, Direttore dell’Osservatorio Eurispes sulle Politiche fiscali, con la prefazione del Viceministro dell’Economia e delle Finanze, Maurizio Leo.
Si parlava, allora, di ben 837 leggi in vigore in materia fiscale e 46 tributi erariali, comunali, provinciali e regionali. Insomma, una alluvione legislativa. Basta aprire un qualsiasi quotidiano di oggi per capire che le stesse criticità individuate nel 1995 sono ancora tutte presenti ed anzi, in alcuni casi, peggiorate. Lo studio dal titolo “Il Fisco impossibile – Storie di imposte, tasse, cittadini ed imprese”, fotografa l’attualità in attesa della prossima, auspicata riforma fiscale.
L’Avv. Palumbo illustra così i nodi principali individuati dalla ricerca: «La legge delega fiscale è stata approvata lo scorso 16 marzo in Consiglio dei Ministri. Si riparte da dove era arrivato il precedente Governo, con alcune rilevanti novità, tra cui, ad esempio, una revisione delle sanzioni tributarie, laddove è stato ricordato che abbiamo sanzioni amministrative che oscillano dal 120 al 200% rispetto all’imposta dovuta, fuori linea rispetto agli altri partner europei. Una misura che prepara all’idea anche di una radicale revisione delle sanzioni penali tributarie, laddove, oggettivamente, non ha senso che per gli omessi versamenti si vada di fronte al giudice penale. È più ragionevole infatti che rappresentino una violazione da sanzionare sul versante amministrativo, pena il rischio di intasare le Procure senza portare ad alcun significativo risultato.
Uno dei grandi problemi della fiscalità restano le tax expenditures. Le tax expenditures, come noto, sono elencate nel Rapporto annuale sulle spese fiscali, che è allegato allo stato di previsione dell’entrata del Bilancio di previsione dello Stato, laddove però le tax expenditures per le quali sono possibili analisi e approfondimenti mirati, grazie alla disponibilità di tutte le informazioni interessate dalla rilevazione (effetti finanziari, frequenza dei beneficiari ed effetti finanziari pro capite), sono comunque solo una parte. Una pletora di sussidi pubblici, molti dei quali in forma di spesa fiscale, che rispecchiano un forte interventismo dello Stato nell’economia, e probabilmente un’ipertrofia stratificata dell’attività legislativa, spesso senza una coerenza sistematica.
Nell’ordinamento nazionale le spese fiscali sono definite come qualunque forma di esenzione, esclusione, riduzione dell’imponibile o dell’imposta, ovvero regime di favore derivante dalle norme in vigore. Centinaia di misure individuate come spese fiscali erariali, con una apposita sezione dedicata alle (anche queste centinaia) spese fiscali locali. Il valore complessivo delle misure (erariali e locali) è di quasi 100 miliardi di euro e tale valore è comunque solo una chimera, in quanto non tiene conto delle rilevanti incertezze nella individuazione della materia, dovute al fatto che vi è una serie di misure erariali (circa 1/3) non quantificate rispetto al totale e che vi è un’altra percentuale di misure (circa il 70%) rispetto alla quale non sono stati forniti tutti i dati quantitativi (onere, frequenze e importi pro capite).
Insomma, nessuno sa davvero quanto lo Stato spende in tax expenditures.
Ciò che sappiamo è che circa il 50% delle spese fiscali è destinato a un numero non elevato di beneficiari (max 30.000 soggetti) e che in assenza di tutti i dati quantitativi (onere, frequenze e importi pro capite), per circa il 70% delle misure non è nemmeno possibile svolgere analisi.
Ma i problemi non finiscono qui, anzi.
Peggio delle spese fiscali da trasferimenti operati con il sistema delle imposte dirette esiste solo una cosa: i sussidi. I sussidi, infatti, non tengono conto della situazione reddituale delle categorie sussidiate. Se l’obiettivo è aiutare un’azienda a investire e crescere, o tutelare il potere d’acquisto delle persone fisiche, è allora più trasparente e meno distorsivo un sistema di imposte sui redditi vantaggioso, anziché facilitazioni su determinati beni o categorie.
Un esempio è l’accisa agevolata su una fascia di consumo di energia elettrica nelle abitazioni di residenti (per 650 milioni all’anno circa) che avvantaggia il single ricco quanto una famiglia numerosa e indigente.
Miliardi di spesa fiscale sarebbero poi da eliminare in quanto dannosi all’ambiente e contrari a impegni interni e internazionali del Governo.
Insomma, ce ne sono di cose da fare.
A fronte di spese fiscali non sempre giustificabili, abbiamo inoltre anche entrate diciamo non sempre coordinate (per usare un eufemismo). Nel tempo, la mente creativa di chi doveva trovare risorse finanziarie per rimpinguare le casse erariali ha espresso infatti tutto il proprio estro.
E il problema non riguarda solo l’Erario nazionale, dal momento che il decentramento amministrativo, prima, e la riforma costituzionale del 2001, poi, hanno creato una vera e propria giungla tributaria locale.
I Comuni dispongono infatti oggi di decine di diverse fonti di entrata, tra tributi e canoni, addizionali e compartecipazioni. E spesso molte di queste appaiono delle vere e proprie duplicazioni, come, per esempio, nel caso dell’imposta comunale sulla pubblicità, dei diritti sulle pubbliche affissioni e del canone per l’autorizzazione all’installazione dei mezzi pubblicitari.
Per l’occupazione di suolo pubblico, invece, i Comuni possono scegliere tra la tassa e il canone; come, per esempio, anche la famigerata “tassa sull’ombra”, che colpisce l’ombra di balconi o di tendaggi sul suolo pubblico, indipendentemente dall’effettiva occupazione dello stesso.
Passando al livello provinciale (dato che le Province ancora esistono), si contano invece anche qui circa dieci fonti di entrata, tra tributi, canoni, addizionali e compartecipazioni. Anche in questo caso vi sono fattispecie non molto chiare, come l’addizionale sull’energia elettrica, che colpisce le utenze non domestiche e ha effetto regressivo (determinando la conseguenza di far pagare di più le piccole imprese che consumano meno), o quella dell’imposta provinciale di trascrizione, che sulla vendita dell’usato prevede un prelievo triplo rispetto al nuovo. Le Regioni, infine, dispongono di altre decine di tributi: dall’Irap alle tasse automobilistiche, fino all’addizionale Irpef; la compartecipazione all’Iva è poi assegnata in base ai consumi misurati dall’Istat.
Le tasse sono troppo alte e vanno abbassate. Uno dei passaggi fondamentali che, viste le cifre dell’evasione fiscale in Italia e visti i vincoli di bilancio comunitari, vanno però affrontati per consentire (realisticamente) l’abbassamento delle tasse è quello di contrastare in modo efficace l’evasione fiscale. Quello che è certo è che la Pubblica Amministrazione spende più di quanto incassa. Ed è dunque evidente che c’è qualcosa che non quadra. La riduzione della spesa pubblica “inutile” è quindi necessaria, magari seguendo i criteri di effiecienza, efficacia ed economicità: i pilastri di ogni buona Pubblica Amministrazione.
Come giustamente evidenziato durante una inaugurazione dell’anno giudiziario da un Presidente di Commissione Tributaria Regionale, “l’elite degli evasori fiscali è lungi dall’essere debellata, come dimostrano le statistiche sul numero degli evasori totali e sui miliardi di euro nascosti al fisco”.
Aumentare quindi l’aliquota sui redditi più alti, facendo pagare cioè ancora più tasse a quei pochi che le dichiarano davvero andrebbe proprio nella direzione inversa rispetto a quel principio costituzionale di equità e progressività che deve caratterizzare il nostro Ordinamento tributario.
E allora ben venga una (finalmente) ragionevole ed efficace riforma fiscale.
Anche per non ritrovarci, fra altri trent’anni, al punto di oggi e di ieri.
E anche con questa finalità la ricerca suggerisce alcune proposte.
Molte di queste indicazioni le possiamo peraltro ritrovare nella delega fiscale appena approvata che, si spera, possa finalmente porre le basi per un cambio di mentalità e un cambio di prospettiva nel rapporto Fisco/contribuente.
Il Fisco non deve essere visto infatti (solo) nella sua azione repressiva, ma anche in quella di servizio al contribuente, a favore del quale svolge anzi la propria azione di recupero delle imposte.
Bisogna quindi rivoluzionare il sistema tributario con visione strategica. E bisogna farlo anche velocemente. Un Paese senza un Fisco ordinato, efficiente e comprensibile non ha infatti un futuro».