Laboratorio Europa dell’Eurispes: le possibili nuove vie da intraprendere in tema di politiche sociali

A che punto è la questione sociale in Europa? E come si muoveranno in questo àmbito il neo Parlamento e la Commissione appena insediatasi? Se n’è parlato venerdì 29 novembre in occasione dei Colloqui del Laboratorio Europa dell’Eurispes; titolo dell’incontro “Il Laboratorio incontra i protagonisti europei e nazionali privilegiati”, moderato dal coordinatore, Carmelo Cedrone. È emersa innanzitutto la necessità inderogabile di una maggiore armonizzazione tra i Paesi membri e di individuare strumenti capaci di attutire gli effetti negativi che le crisi economiche e finanziarie della Zona Euro provocano, crisi peraltro divenute sistemiche.

Ad aprire i lavori offrendo una panoramica del quadro sociale a livello europeo è Cinzia Del Rio, Consigliere Cese (Comitato Economico e Sociale Europeo) e membro della Soc, che ha ricordato quanto sia stato fatto in questi anni, in particolare attraverso il “Pilastro europeo dei diritti sociali”, sottoscritto nel 2017 dai 28 Paesi membri, e composto da tre assi e venti princìpi. I tre assi riguardano: 1) le pari opportunità e l’accesso al lavoro; 2) le eque condizioni di lavoro e le modalità per affrontare le trasformazioni del mondo del lavoro; 3) la protezione sociale e l’inclusione. Anche a livello normativo, quattro provvedimenti principali sono stati adottati in questi anni: 1) la direttiva distacco, volta a riconoscere le stesse tutele a tutti i lavoratori; 2) la direttiva conciliazione vita-lavoro; 3) la direttiva condizione di lavoro trasparente e prevedibile; 4) la direttiva sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione da agenti cancerogeni.

Secondo Del Rio, occorre sottolineare che nel discorso di insediamento, la neo Presidente della Commissione, Von der Leyen, ha manifestato l’intenzione di voler delineare un piano di azione per il Pilastro per indicare le priorità di indirizzo. Per il sindacato vi è la necessità di creare un nuovo insieme di diritti sociali, allineati alle esigenze di una società e di condizioni lavorative mutevoli, e individua alcune linee guida principali: transizione del lavoro e forme di accompagnamento tutelate; child guarantee o tutela per l’infanzia; lotta alla povertà; sicurezza sociale; e sistema europeo di disoccupazione.

Andrea Mone, responsabile europeo della Cisl, nel definire il ruolo centrale dei sindacati e della Ces (Confederazione Europea dei Sindacati), delinea le grandi macro sfide che andranno affrontate e che coinvolgono i lavoratori: globalizzazione, crisi economica, digitalizzazione e cambiamento ambientale. La Ces ha individuato cinque principali aree di intervento per affrontarle: 1) a livello macro-economico, la necessità di correttivi strutturali e di nuovi indicatori che incidano sulle valutazioni delle politiche europee; 2) la creazione di convergenze, di cui il Pilastro sociale è certamente uno dei maggiori strumenti attuativi; 3) una migliore gestione di alcuni fenomeni, tra cui transizione climatica, energetica, ambientale e digitale, che necessitano di politiche adeguate; 4) un rafforzamento dell’approccio multilaterale – più inclusivo –  da contrapporsi a quello bilaterale al fine di meglio gestire la globalizzazione; 5) la necessità di una rivisitazione istituzionale per una migliore democratizzazione del processo decisionale europeo. La questione sociale è dirimente perché attraverso il lavoro è possibile ricostruire il contratto sociale tra le Istituzioni europee, quelle nazionali e i cittadini, assetto indispensabile per il progresso dell’Ue.

L’europarlamentare, membro della Commissione per l’occupazione e gli affari sociali, Daniela Rondinelli, pone l’accento su valutazioni di ordine politico affermando che ci sono le condizioni affinché i punti, individuati nel corso dell’incontro promosso dal Laboratorio, possano concretizzarsi. Secondo la Rondinelli, dopo anni di una politica improntata verso interventi di puro liberismo, nel corso della Presidenza Barroso, la Commissione Juncker – attraverso il Pilastro sociale – ha voluto intraprendere un percorso di recupero del distacco creatosi tra Europa e cittadini. Ed ora, con l’insediamento della nuova Commissione, ci si aspetta che si torni a parlare della dimensione sociale del mercato interno, attraverso una serie di politiche volte a favorire il buon andamento del mercato contro fenomeni quali il dumping salariale e la concorrenza sleale tra Stati membri, che facendo leva sul costo del lavoro e sulle condizioni di impiego, incrementano le disparità.

L’eterogeneità della composizione dell’attuale Commissione lascia dei margini di incertezza nell’attuazione delle politiche sociali, data la diversa provenienza politica dei suoi membri. Le premesse sono comunque quelle di una Commissione che ha già individuato delle priorità in merito ad una serie di punti che riguardano il salario minimo – inteso sia come strumento di regolazione all’interno degli Stati membri sia come mezzo di contrasto al dumping fra Stati –, il tema dei lavoratori della piattaforma digitale che vivono in uno stato di incertezza e di precarietà, e il tema della digitalizzazione e del concetto di “diritto alla disconnessione”.

Il giornalista Giampiero Gramaglia, mette in evidenza l’assenza di voci nel Parlamento europeo in merito all’acceso dibattito sulla questione Salva Stati, laddove sarebbero stati necessari gli interventi dei parlamentari europei per portare elementi di competenza. Lamenta inoltre, negli italiani che operano nelle Istituzioni, un atteggiamento di chi si aspetta qualcosa dall’Europa senza dare, dunque, di mancanza di proattività che servirebbe invece ad ottenere fiducia e credibilità.

Anche Myrianne Coen, esperta europea e candidata al PE, si è chiesta a mo’ di provocazione, se davvero si vuole un’Europa unita e propone le parole chiave che, a suo avviso, saranno necessarie all’Europa del futuro: qualità della vita, utilità sociale delle persone, riduzione dello scarto fra ricchi e poveri attraverso nuovi indicatori. Gli Stati membri già oggi si trovano sempre più spesso a fronteggiare manifestazioni di strada – gilet jaunes e sardine in primis –, l’estrema destra, o un elettorato sempre più esiguo, e qualcosa va fatto al più presto se non si vogliono incrementare fenomeni socio-politici che, oltre ad esprimere dissenso, possono contribuire ad aumentare la distanza tra Istituzioni e cittadini.

Tra gli altri intervenuti, utili elementi di riflessione, come le disparità salariali, le disuguaglianze, gli ammortizzatori sociali anche in rapporto al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, sono stati individuati e proposti da alcuni giovani (Raddusa, Ferrigno, Lo Giudice).

Molte sono ancora le prerogative che, pur passando da una discussione a livello europeo, continuano ad essere di competenza nazionale. Tra queste la questione Salva Stati, il gap salariale e il tema degli ammortizzatori sociali. Pesa forte sull’Italia la carenza di disponibilità di fondi che non le permette di attuare un coordinamento delle politiche a livello nazionale, come ricorda Rondinelli.

In conclusione, quali i punti da portare all’attenzione delle nuove Istituzioni europee?

Indubbiamente, una maggiore valorizzazione nell’impianto dell’Europa sociale e misure di armonizzazione in linea con i cambiamenti in corso, nel mondo del lavoro e nella società.

Tenendo in conto il persistente aumento delle disuguaglianze, la questione che si pone è: capire come procedere per raggiungere questi obiettivi. Certamente, il tema del salario minimo a livello europeo non deve essere utilizzato come specchio per le allodole. La priorità dei sindacati deve essere, dunque, dare una protezione sociale a tutti e per tutte le forme di lavoro ed è all’ordine del giorno la proposta di un protocollo sociale che allinei le tutele sociali alle libertà imprenditoriali.

È necessario un cambio di paradigma che riporti il valore dell’uomo al centro della discussione, rispetto a dinamiche – quali la finanza – che sono state predominanti fino ad oggi. Sono indispensabili politiche di coesione e di investimenti che generino un’economia di sistema. E la partecipazione e la presenza dei sindacati nella governace e nei board non possono che andare incontro ad una maggiore giustizia salariale.

Nonostante le buone intenzioni, troppo spesso i costi sociali vengono riversati sui singoli Stati membri: per far sì che questo possa cambiare, tutti gli attori coinvolti dovrebbero individuare istanze precise e circoscritte, di cui l’Europa deve farsi carico.

Alla fine, è emersa la convinzione che ciò sarà possibile se e quando l’Unione farà dei passi avanti sul piano dell’integrazione o quando deciderà che almeno gli aspetti fondamentali della politica sociale diventino una politica europea, cosa che oggi non è, visto i limiti presenti nel Trattato. Ciò è ancora più urgente all’interno dell’Eurozona, ad esempio, per la tutela della disoccupazione causata dalle crisi e dagli squilibri ancora esistenti in quest’area, nonostante la presenza di una moneta unica.

 

 

Social Network