Indagine Eurispes, il vaping alla luce della nuova regolamentazione fiscale
SINTESI RICERCA
Verso la riduzione del danno.
Il mondo del vaping alla luce della nuova regolamentazione fiscale
Vaping: diecimila addetti, un giro d’affari di 800 mln di euro. Secondo gli operatori, oltre 4 consumatori di e-cig su 10, grazie alla sigaretta elettronica, smettono di fumare.
Un settore con più di 10.000 addetti ai lavori, 2.500 rivendite specializzate e un giro d’affari di circa 800 milioni di euro, il 4% di ciò che gli italiani spendono per il fumo tradizionale.
Il mondo del vaping e i suoi operatori, i consumatori e la politica fiscale, spesso poco chiara, che ha caratterizzato l’ultimo decennio: la ricerca dell’Eurispes “Verso la riduzione del danno. Il mondo del vaping alla luce della nuova regolamentazione fiscale” ricostruisce lo stato dell’arte, in una fase politica delicata per l’intero comparto.
Il lavoro comprende una indagine campionaria che traccia l’identikit degli operatori, rivela le loro opinioni circa lo stato di salute e le prospettive future e le loro esperienze nel contatto con gli acquirenti di sigarette elettroniche. Vengono inoltre proposte venti interviste in profondità a medici, esperti e professionisti di grande spessore.
I numeri del mercato
Il mercato del vaping in Italia comprende circa 2.500 rivendite specializzate. Questo numero è ricavato sommando i 1.800 “esercizi di vicinato”, che hanno richiesto, nel 2018, l’autorizzazione ai Monopoli, a quelli che ancora non lo hanno fatto e/o che nei mesi passati non intendevano farlo, superando l’obbligo attraverso la vendita di componenti singole, e non di liquidi preparati. Partendo da qui, si può fare il primo passo per tentare di produrre una fotografia del settore, in attesa che il processo regolatorio insito nel decreto fiscale, attualmente all’esame del Parlamento, produca i suoi effetti anche attraverso l’identificazione di uno specifico codice di attività (Ateco), ad oggi inesistente. La media di addetti agli esercizi di vendita è calcolabile intorno ai 3,2-3,3 per singolo negozio. Da ciò si ricava un numero complessivo di addetti di poco superiore a 8.000. Sommando a questi la media degli occupati delle piccole e grandi aziende della produzione e della distribuzione dei liquidi (valutate in un range tra le 150 e le 200), che potrebbe assestarsi intorno alle 20 unità, appare corretto affermare che gli attuali addetti al settore vaping superano abbondantemente le 10.000 unità.
Per quello che riguarda i consumatori, le rilevazioni Eurispes riportate nella IIª Sezione della Ricerca, si avvicinano alle ultime proiezioni fornite dall’Istituto Superiore di Sanità: un mercato di circa 1,5 milioni di consumatori, in parte esclusivi, in parte “duali”, ovvero anche tradizionali consumatori di tabacco.
Per quanto riguarda il volume d’affari che si genera intorno al vaping, prendendo come base il costo sostenuto per i circa 10.000 addetti, che si ipotizza intorno ai 300 milioni di euro, e aggiungendovi una quota di costi generali pari al 150% del costo del lavoro, ovvero 450 milioni di euro, si raggiunge un totale tra i 700 e gli 800 milioni di euro: un valore tutt’altro che disprezzabile, che si assesta intorno al 4% di ciò che gli italiani spendono per il fumo tradizionale. Da segnalare, poi, che anche le tabaccherie e le farmacie e parafarmacie possono vendere i prodotti del vaping, ampliando così il ventaglio dell’offerta.
Il sondaggio presso gli operatori del settore
Il sondaggio che la Ricerca presenta è stato realizzato nello scorso mese di novembre, nelle settimane che hanno preceduto l’approvazione dell’emendamento sulla sostanziale defiscalizzazione dell’area vaping. Conseguentemente, prevale una programmatica sfiducia verso l’operato del legislatore; la burocrazia (16,7%) e la tassazione (46,3%) sono considerati gli elementi che frenano lo sviluppo del settore, insieme all’impossibilità di comunicare in merito alla riduzione del danno (31,5%). Gli interventi del Governo negli ultimi anni risultano contraddittori (52,8%), e non opportuni (37,7%).
Per il 59% degli operatori il futuro risulta incerto, e per l’11,7% molto o abbastanza negativo. Malgrado ciò, il 62,5% degli operatori si definisce abbastanza soddisfatto. Anche se il settore è molto giovane, non mancano i “veterani”: il 40,6% dei soggetti vi opera da 4/6 anni, e il 21,3% da più di 6 anni. Ciò spiega l’importante tasso di adesione alle associazioni del vaping, al 68,3%: un mondo che ha imparato a organizzarsi e a darsi una rappresentanza.
Il sondaggio rende anche un profilo dei consumatori che, secondo gli operatori, al 60,6% entrano in una relazione confidenziale/amicale con gli addetti alla vendita, nel 33% li usano per informarsi a fondo, e quindi in una dimensione consulenziale, e solo per il 2,5% sono avventori occasionali.
È poi interessante riportare la percezione che gli addetti agli esercizi di vendita hanno dei loro clienti, rispetto a due aree fondamentali: gli elementi che spingono al passaggio dal fumo al vaping, e l’efficacia dello stesso in relazione alla cessazione del consumo di tabacco combusto.
Il 41,8% delle risposte fornite dagli operatori indicano che il vaping rappresenterebbe, per i clienti, un’alternativa assai meno dannosa per la salute; nel 22,5% dei casi, un utile strumento “di passaggio” per abbandonare il fumo; nel 23,9% una soluzione economicamente più sostenibile. Quanto ai risultati, nel 42,6% dei casi gli operatori affermano che, grazie alla sigaretta elettronica, i consumatori di e-cig smettono di fumare, nel 47,6% che diminuiscono fortemente il consumo di tabacco, nel 4,7% che diventano consumatori “duali”, e solo nel 5% che tornano al tabacco tradizionale.
Come si entra in contatto con l’area del vaping? Secondo l’esperienza degli operatori, sono soprattutto amici e parenti ad indirizzare verso l’e-cig (53,7%); il consiglio del medico è determinante secondo l’11% delle risposte; Internet per l’8,3%, mentre stampa specializzata e giornali solo per lo 0,4%, e radio e tv risultano totalmente ininfluenti. Di fronte a questa assenza di adeguati volumi di comunicazione, gli operatori ritengono che l’informazione sulla riduzione del danno nell’area del vaping dovrebbe essere affidata alle strutture sanitarie pubbliche (40,5%), alla pubblicità (33,8%), al giornalismo professionale (9,3%), alla Rete 3,1% e ad indagini indipendenti (13,3%).
In Italia, molto poco si sta producendo in questo senso, a differenza di ciò che avviene in alcuni tra i maggiori paesi europei, e soprattutto in Gran Bretagna. Da questo punto di vista il Paese appare sostanzialmente fermo, e i recenti provvedimenti fiscali vanno nel senso di un’apertura “di fatto”, ma non “dichiarata” e, anzi, osteggiata proprio dalle autorità dell’area sanitaria. Il mondo clinico e quello dei medici di medicina generale spingono, invece, perché alla lotta “senza se e senza ma” al tabacco si affianchino politiche realistiche di riduzione del danno.
Principio di precauzione e riduzione del danno: un più avanzato e produttivo dialogo tra queste due aree – di cui la Ricerca ha fornito ampia documentazione attraverso le interviste in profondità – è indispensabile perché si producano politiche efficaci, tenendo conto anche delle esperienze di altri paesi a noi vicini. Politiche che, inoltre, rispettino quel diritto dei cittadini ad essere informati, che rappresenta uno degli elementi non secondari che permettono di definire “moderna” e adeguata una compagine statale. L’Eurispes intende, da parte, sua contribuire a sollecitare queste necessarie evoluzioni, proseguendo nelle prossime stagioni il lavoro di ricerca e di comunicazione sulle alternative al tradizionale consumo di tabacco.
Nota metodologica
L’indagine campionaria è stata realizzata su un campione probabilistico composto da operatori del comparto della sigaretta elettronica. La rilevazione è stata realizzata tramite la somministrazione diretta ed on line di un questionario semistrutturato ad alternative fisse predeterminate.
Gli operatori che hanno partecipato all’indagine sono stati circa 750; i questionari considerati validi ed analizzati sono stati complessivamente 536. I questionari sono stati somministrati nel mese di novembre 2018.
Vaping, le novità del decreto fiscale
Il mondo del vaping, proprio in questi giorni, ha superato indenne un duro scoglio contro il quale avrebbero potuto infrangersi le sue prospettive di tenuta e di sviluppo. L’emendamento al decreto fiscale votato a Palazzo Madama che ha portato ad una riduzione delle accise nella misura del 95% per i liquidi senza nicotina e del 90% per quelli contenenti nicotina (mentre per il tabacco riscaldato la riduzione è salita al 75%), permette ai suoi operatori di guardare al futuro con maggiore ottimismo. Nel caso in cui il contenzioso sulla tassazione mutuata dal tabacco (precedentemente stabilita nella misura del 50%) si fosse risolto negativamente, sul settore si sarebbe abbattuto lo tsunami della piena ripresa fiscale (in capo ai produttori di liquidi relativamente alle imposte non applicate negli ultimi anni, che è stata, invece, ridotta del 95% e rateizzata), e dell’applicazione di imposte che avrebbero fortemente aumentato il prezzo dei liquidi per le e-cigarette, con prevedibile drammatica contrazione nelle vendite. Il prezzo medio del liquido in confezione da 10 millilitri è, infatti, intorno ai 5/6 euro, e con l’applicazione della tassa sarebbe balzato a circa 10 euro per i liquidi senza nicotina, e oltre i 13 per quelli con nicotina. In tal caso, se si considera che mediamente il consumo di liquidi per le e-cigarette è di circa 3 millilitri al giorno, il costo per i vapers si sarebbe avvicinato a quello sostenuto dai fumatori tradizionali.
Il settore, negli anni, si è dotato di organismi di rappresentanza con un buon tasso di partecipazione. Tra i maggiori vi sono: l’UNIEcig, l’Unione Italiana esercenti e-cig, che raccoglie più di un migliaio di esercizi commerciali; la Coiv, la Coalizione operatori italiani vaping, che rappresenta 22 aziende della produzione e della distribuzione dei liquidi; l’Anafe, l’Associazione Nazionale Produttori Fumo Elettronico, aderente a Federvarie di Confindustria, cui fanno riferimento altre 7 aziende produttrici e distributrici. Per la galassia vaping, in Italia, molto rilevante è poi il settore fieristico, che con Vapitaly organizza l’annuale fiera internazionale di Verona (la più importante in Europa), e quella B2B di Roma, riservata agli operatori. Tutti questi soggetti hanno espresso un sostanziale apprezzamento per l’evoluzione delle politiche fiscali nel settore e per la riapertura all’on line, anche se con l’obbligo, per gli operatori in rete, di costituire il deposito fiscale. Assolutamente minoritarie le critiche espresse da altre piccole sigle del settore, Anide e Eim. Non mancano, ovviamente, alcune riserve, la principale delle quali è relativa alla permanenza del mondo del vaping all’interno dell’area monopoli. Perché, chiedono gli operatori dell’e-cigarette, questo strumento, e i consumi che genera, devono rientrare nell’area del tabacco, quando nulla hanno a che vedere con i suoi prodotti, tanto più che, in parte, i liquidi venduti non contengono neanche nicotina? Altra eccezione avanzata è relativa al fatto che la tassa, seppure ridotta a 40 centesimi sulle confezioni dei liquidi da 10 millilitri senza nicotina, e a 80 centesimi per quelli che la contengono, rischia di creare problemi di concorrenza sleale da parte degli operatori dei paesi Ue con i quali esiste un mercato aperto, e che non applicano nessuna tassa specifica al vaping: risulta difficile, infatti, il controllo sulle importazioni irregolari. Infine, la stessa “equivalenza” tra tabacco tradizionale e liquidi, calcolata per generare la tassazione, viene contestata perché ritenuta fortemente “approssimata per eccesso”.
La “storia” del vaping in Italia: l’effetto “fisarmonica” della politica
Facendo qualche passo indietro, può essere utile indicare alcune fasi, tra cronaca e storia, in cui è possibile suddividere la pur giovane vicenda della sigaretta elettronica in Italia, e alle quali corrispondono andamenti e problematiche inevitabilmente differenti e tendenze talvolta di segno opposto, fino a giungere all’oggi e alle nuove prospettive che si aprono dopo i recenti interventi di parziale defiscalizzazione.
All’inizio del decennio, la sigaretta elettronica passa da curiosità esotica a presenza comunque rilevante nel nostro Paese. Nessuna regolamentazione, e una vera e propria proliferazione di “negozi dello svapo”: una moda, dunque, che fa di questi variegati oggetti dalle forme e dalle dimensioni più diverse, una presenza diffusa nelle tasche e nelle mani di parecchi concittadini. Per altro verso, scarsa presenza nella pubblicistica, scarsa consapevolezza critica, qualche allarme sulla sicurezza dei liquidi, ma numeri crescenti che sono assistiti, oltre che da numerosi esercizi di vendita, dall’attivazione di preesistenti aziende del settore alimentare, che si lanciano sul mercato dei liquidi, e da nuovi soggetti creati ad hoc. Il settore degli “aromi” è, infatti, terreno tradizionale dell’industria alimentare, mentre la miscelazione con la nicotina rimanda al settore chimico e, dal punto di vista fiscale, a quello dei monopoli.
Con la crescita dei volumi di mercato sono proprio il settore chimico-farmaceutico e quello tradizionale del tabacco e dei tabaccai a rivendicare una sorta di paternità sull’area vaping e, certo, non per dinamiche affettive, ma di interesse. Anche i governi hanno colto la necessità di normare questo nuovo settore di consumo, all’unisono con l’opportunità di ricavarne risorse per la finanza pubblica.
Il 2013 è stato l’anno in cui sono stati ideati i provvedimenti fiscali che sarebbero dovuti entrare in vigore a gennaio 2014, e il solo “parlarne” aveva generato una forte inversione nel trend che aveva visto nascere come funghi i negozi del vaping. Da maggio a giugno chiudono ben 123 punti vendita, e ne aprono solo 2, mentre, nei primi 4 mesi dell’anno, le aperture sono state 370. Nel giugno, il Decreto legge n° 76 stabilisce una tassazione del 58,5% su tutto ciò che è attinente al vaping: device, componenti, cavi di collegamento, batterie, liquidi. Sommando queste percentuali all’Iva, lo Stato si assicura così un prelievo dell’80% sui consumi dell’area vaping.
Le proteste di piazza da parte di singoli operatori, non ancora organizzati in un coordinamento o in un sindacato, “vanno in onda” nell’estate 2013 davanti ai palazzi della politica, a Piazza Montecitorio, ma non modificano gli orientamenti del Governo. Più efficaci sono i ricorsi alla Magistratura amministrativa, con il Tar del Lazio che, nel 2014, avanza la questione di legittimità del provvedimento, e che, l’anno successivo – maggio 2015 – porta la Suprema Corte a dichiararlo incostituzionale sulla base di valutazioni del principio di discrezionalità anche in àmbito tributario. Obiettivo raggiunto, dunque, in chiave tecnica, anche se – come si vedrà dalle pronunce successive – la Corte non ha negato la legittimità del collegamento tra vaping, nicotina, tabacco e tassazione.
Consapevole che la tassazione introdotta nel 2014 difficilmente avrebbe retto al vaglio della giustizia amministrativa, già per l’anno successivo, il 2015, il Governo trasforma la tassazione sull’e-cig in una imposta di consumo fissa da applicarsi solo ai liquidi delle ricariche, nella misura di 4,7 euro ogni 10 millilitri.
Lasciando da parte il complicato (e confuso) meccanismo di equivalenza con le sigarette tradizionali da cui si generava questo importo, è evidente che anche questa imposizione porta ad un raddoppio del prezzo medio di vendita, senza valutare la differente concentrazione di nicotina, oltre che l’assenza della stessa in molti liquidi in commercio: contraddizioni che hanno legittimato ulteriori ricorsi, sfociati nell’ordinanza del Tar del Lazio del luglio 2015 , la quale ne sospende l’applicazione per i liquidi senza nicotina, chiamando in campo ancora un volta (novembre 2015) la Corte Costituzionale.
Nel caos più totale passano i mesi, con il risultato che i 112 milioni di euro messi a bilancio dal Governo per il 2015, sono ridotti a 8, con esiti analoghi per il biennio successivo. La sentenza 240 del 15 novembre 2017 dà ragione al Governo, bocciando le questioni di legittimità sollevate dal Tar del Lazio.Secondo i giudici, finalità primaria del provvedimento «è data dal recupero di un’entrata erariale (l’accisa sui tabacchi lavorati) erosa dal mercato delle sigarette elettroniche», e «non contrasta con il principio di capacità contributiva di cui all’articolo 53 della Costituzione, anche nella parte in cui assoggetta i liquidi privi di nicotina alla medesima aliquota impositiva dei liquidi nicotinici». Ma la Consulta si spinge oltre, specificando che la tassazione «colpisce beni del tutto voluttuari, immessi in consumo dai fabbricanti e dai produttori, che per ciò stesso dimostrano una capacità contributiva adeguata, così come i consumatori finali sui quali viene traslata l’imposta. D’altronde, al legislatore spetta un’ampia discrezionalità in relazione alle varie finalità alle quali s’ispira l’attività di imposizione fiscale», mentre «la finalità secondaria di tutela della salute propria dell’imposta di consumo, che già di per sé giustifica l’imposizione sui prodotti nicotinici, legittima anche l’eventuale effetto di disincentivo, in nome del principio di precauzione, nei confronti di prodotti che potrebbero costituire un tramite verso il tabacco».
Forte di questa vittoria che, però, non produrrà in pratica alcun risultato, il Governo, a fine 2017, attua un ulteriore giro di vite, vietando le vendite on line e istituendo l’obbligo per gli esercenti di essere autorizzati, previa comunicazione all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Ma le scelte e i provvedimenti assunti alla fine della scorsa legislatura sono stati “ribaltati” dalle decisioni di queste settimane, e ciò ha configurato, per le politiche pubbliche nell’area del vaping, una sorta di “effetto fisarmonica”, che ora dilata, ora comprime i flussi, agendo sulla chiave della politica fiscale in termini assolutamente contraddittori.
Se si analizza in sequenza ciò che è avvenuto tra 2013 e 2018, e il ruolo interpretato dai diversi attori (Governo, giustizia amministrativa, Consulta, forze politiche), non si può che parlare di una “recita a soggetto”, per la quale l’improvvisazione la fa da padrona.
Paradossalmente, il reale mondo degli operatori e dei consumatori dell’area vaping, pur nelle contraddizioni che caratterizzano ogni stato nascente, ha mostrato una tendenziale maggiore coerenza. Certo, come ha rilevato Confindustria, migliaia sono i negozi che hanno chiuso i battenti tra 2013 e 2015, e questo solo in parte è imputabile all’incertezza e/o alle “minacce” di natura fiscale; va, infatti, riconosciuto che, a partire dal 2010, la “moda” delle boutique dello svapo aveva preso piede anche sulla base degli scarsi investimenti che le nuove aperture richiedevano (circa 10.000 euro), di fronte a incassi certi e accettabili. Così, molti imprenditori improvvisati non hanno retto alla concorrenza e/o si sono spaventati di fronte alla prospettiva di una regolamentazione del sistema, sul piano fiscale e non solo. Ma, anche nei momenti più duri, tra il 2014 e il 2015, la domanda e l’offerta del settore hanno tenuto, e ciò ha portato al consolidamento degli operatori più seri e professionali.
Verso la riduzione del danno. Il mondo del vaping alla luce della nuova regolamentazione fiscale (2019)
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