Eurispes Osservatorio Politiche fiscali: la tassazione degli youtubers, le nuove zone grigie del Web e il danno all’erario

La Guardia di Finanza di Firenze ha diramato alcuni giorni fa un comunicato con cui dà conto di un’indagine conclusasi a carico di un noto youtuber. Nel comunicato si legge che «L’attività investigativa e di intelligence delle fiamme gialle del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Firenze ha permesso di rilevare come il ‘professionista del web’, tra il 2013 ed il 2018, ha omesso di dichiarare ricavi per oltre 600mila euro e di versare Iva per oltre 400mila euro». Dal controllo delle Fiamme Gialle è risultato che l’attività dello youtuber era svolta in modo professionale e che i compensi ricevuti per le pubblicità inserite nei video, pubblicati quotidianamente sul proprio canale, non erano stati oggetto di dichiarazione ai fini imposte dirette e Iva.

Già da tempo l’Osservatorio sulle Politiche fiscali dell’Eurispes, attraverso le riflessioni proposte dal Direttore, l’avv. Giovambattista Palumbo, ha accesso i riflettori su questi temi, evidenziando come il Legislatore e il fisco debbano stare al passo con fenomeni tecnologici e sociali in continua evoluzione, quali, oltre appunto a quello degli youtubers (ma anche delle app e dei riot games), quello delle criptovalute e della tassazione del web. Nel caso degli youtubers che ricevono compensi da parte dei produttori di videogiochi in cambio di visibilità ai loro titoli, del resto, potevano esserci pochi dubbi rispetto alla conclusione che una tale attività fosse un’attività economica, commerciale, di tipo abituale, e come tale anche soggetta all’obbligo di apertura di una partita Iva.

Negli ultimi anni assistiamo del resto a vere e proprie campagne di advertising dei video all’interno di YouTube. In pratica il meccanismo è semplice: si inserisce un video all’interno della piattaforma video e poi, aderendo ad uno specifico programma di affiliazione pubblicitaria, vengono pubblicate, prima del video, varie inserzioni pubblicitarie. Più il video ottiene visualizzazioni, maggiori saranno i guadagni pubblicitari del proprietario. YouTube (detenuta da Google e con sede in USA) ha quindi creato un proprio programma di affiliazione “You tube Partner Program”, che permette agli utenti in possesso di determinati requisiti di accedere alle funzioni di monetizzazione pubblicitaria, consentendo però la partecipazione al programma soltanto agli utenti che possono vantare un certo numero di views. La pubblicità viene inserita sia all’inizio del filmato, sia durante l’esecuzione del filmato, con dei banner posizionati in basso per una trentina di secondi e i video vengono remunerati da Youtube in base al “Cost per Mile”, ossia la somma che gli sponsor versano al sito per visualizzare i propri banner o spot ogni 1.000 visualizzazioni del video. Se invece nessun utente clicca sui banner pubblicitari, i ricavi che si possono ottenere sono solamente quelli derivanti dalle impressions. Come detto, e come ora affermato anche dall’Amministrazione finanziaria, l’attività di gestione di banner pubblicitari all’interno di un sito web o di un video Internet, da un punto di vista fiscale, dovrebbe essere considerata un’attività economica di tipo abituale, e come tale dovrebbe essere necessariamente gestita attraverso l’apertura di una partita Iva. Questo poiché l’attività di gestione dell’advertisement avviene per 365 giorni l’anno, in quanto i video rimangono su Youtube per un tempo illimitato. Esercitare l’attività di gestione di campagne pubblicitarie online è considerata inoltre attività commerciale e come tale si dovrebbe essere tenuti a versare contributi fissi all’Inps.

Quanti Youtubers adempiono a tali obblighi? Probabilmente molto pochi (anche magari per mera “ignoranza”, dato che spesso stiamo parlando di poco più che adolescenti). E se si considera che ogni minuto vengono caricate sul portale YouTube circa 100 ore di video diversi, e che ogni istante milioni di persone da tutto il mondo si riversano sul portale per guardare i video che preferiscono, il fenomeno potrebbe anche valere parecchio, in termini di mancate risorse erariali. Ma non è il solo. In questo settore, sono stati registrati in questi ultimi anni incrementi esponenziali, laddove, ad esempio, proprio grazie al boom dei giochi sulle piattaforme mobile, aziende come Apple e Google hanno avuto aumenti di fatturato, rispettivamente, del 28% e del 30%. E tutti i “professionisti” del web si trovano spesso ancora in una sorta di zona grigia, soprattutto da un punto di vista fiscale. Per capire esattamente di cosa stiamo parlando basta porsi, ad esempio, alcuni quesiti in tema di tassazione delle attività degli sviluppatori di app per giochi on line (forse gli stessi che si sono posti i militari della Guardia di Finanza in occasione della recente inchiesta sullo youtuber) e cioè:

  1. È stata aperta partita Iva da parte degli sviluppatori di giochi per vendere le applicazioni?

La legislazione italiana prevede lobbligo di aprire partita Iva (ed adempimenti connessi) quando si svolge in maniera abituale unattività di lavoro autonomo, anche se non esclusiva o continuativa. Per quanto riguarda lattività di impresa, questa si può ritenere per definizione abituale e continuativa (chi vende lo fa in maniera si presume abituale, per averne un guadagno). Se si considera la vendita di app come unattività di servizi/commercio elettronico diretto (quindi di impresa), è evidente che lattività dovrebbe essere considerata come abituale/continuativa.

  1. Vengono dichiarati dagli sviluppatori i guadagni in UNICO/730?

C’è onestamente da dubitarne, anche considerato che, se non hanno aperto una partita Iva e si fanno versare i proventi su un conto estero, sono praticamente dei “fantasmi” per il Fisco italiano.

  1. Lo sviluppatore di app è inquadrato come impresa o come professionista?

Se anche si aderisse a tutti gli adempimenti necessari, è probabile che gli sviluppatori abbiano aperto una partita Iva e dichiarato i relativi proventi come liberi professionisti. Ma l’inquadramento corretto per chi intende vendere app (e probabilmente anche per lo youtuber) è quello di impresa, il cui regime contributivo Inps è senz’altro più pesante (contributi fissi Inps, mentre come professionista è possibile iscriversi alla gestione separata Inps e contribuire in maniera variabile sul reddito).

In conclusione, tra mancata tassazione degli store di giochi on line di Google e Apple che hanno sede all’estero, mancata tassazione dei proventi guadagnati dagli sviluppatori italiani di giochi on line e app (che molto probabilmente non dichiarano niente e si fanno accreditare i proventi su conti esteri), mancata tassazione Iva (se gli sviluppatori neppure aprono partita Iva, o comunque se l’operazione viene fatturata a società extraeuropea), mancata tassazione degli youtubers per i proventi che guadagnano sulla promozione dei giochi etc etc, il danno per l’Erario potrebbe essere davvero molto rilevante. Il solo mercato delle App è pari, del resto, a circa 50 miliardi di euro. E, lo scorso anno, il fatturato delle Mobile App “Freemium” e quello della pubblicità interna alle App (In-App Advertising) hanno registrato un incremento di oltre il 70%, facendo ipotizzare agli esperti che, nel prossimo futuro (o già presente), saranno queste le principali forme di monetizzazione per i business digitali. E siamo solo all’inizio.

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