Disponibili online gli atti della presentazione del 2° Rapporto sulla Scuola e l’Università

A seguire sono disponibili gli atti dell’2°Rapporto Nazionale sulla Scuola e sull’Università.
L’incontro, si è svolto l’8 febbraio 2024 presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Hanno presentato i risultati e partecipato alla discussione: Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes, Mario Caligiuri, Direttore dell’Osservatorio sulle Politiche educative dell’Eurispes, Roberto Ricci, Presidente dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), Antonio Uricchio, Presidente del Consiglio Direttivo dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), Andrea Chiaramonti, Amministratore Delegato Giunti Scuola. Ha moderato l’incontro: Roberta Rizzo, Caposervizio Rai News 24.
Roberta Rizzo: «Buongiorno a tutti e grazie per essere intervenuti oggi in Biblioteca Nazionale Centrale per la presentazione di questo importante Rapporto sulla Scuola e sull’Università di Eurispes. Un rapporto, lo diciamo subito, che arriva a 20 anni da una prima importante indagine condotta nel 2003, e che è edito da Giunti Scuola, chiuso esattamente in coincidenza con il centenario della Riforma Gentile, che tutti quanti conosciamo. Allora, per la presentazione di questo rapporto abbiamo con noi gli ospiti che vedete seduti accanto a me: Gian Maria Fara Presidente di Eurispes, Mario Caligiuri, Direttore dell’Osservatorio sulle Politiche Educative di Eurispes e Professore Universitario; Roberto Ricci, Presidente INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Educazione, Istruzione e Formazione), Antonio Uricchio, che ci raggiungerà breve, Presidente del consiglio direttivo di ANVUR, (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario) e Andrea Chiaramonti Amministratore Delegato di Giunti Scuola. Ovviamente questo importante appuntamento non può prescindere da quelle che sono l’analisi della realtà del mondo della scuola attuale. Su questo una breve introduzione la vogliamo fare perché la domanda principale che emerge da questo rapporto è: la scuola è il futuro dell’Italia? Questa è una domanda a cui tenteremo di dare risposta in un Rapporto che fa i conti, a 20 anni di distanza dal precedente, su quali siano stati gli sviluppi delle riforme che tante volte si sono succedute a seconda dei Governi e dei Ministri; una domanda spesso trasversalmente rimasta inevasa. Darei, quindi, la parola al Presidente dell’Eurispes, che sicuramente su questo tema, come su molti altri in particolare, andrà in profondità e ci spiegherà quali sono stati gli obiettivi di questa indagine che arriva a 20 anni dal primo rapporto.
Gian Maria Fara: «Buongiorno a tutti. Vi ringrazio per averci voluto onorare con la vostra presenza questa mattina. Ringrazio l’amico Professor Caligiuri, Responsabile del nostro Osservatorio Permanente sulle Politiche Educative. Se mi permettete vorrei ringraziare poi le artefici materiali del rapporto: Susy Montante, nostro Direttore e Raffaella Saso, nostro Vicedirettore, che hanno sovrinteso in maniera ineccepibile alla realizzazione del Rapporto e naturalmente ringrazio, non li posso citare uno per uno, tutti i ricercatori che si sono impegnati in un’opera alla quale l’Istituto teneva moltissimo. A distanza di 20 anni dal primo Rapporto Nazionale sulla scuola, devo confessarvi che, io ero, come dire più ottimista, nel senso di “Vabbè sono passati 20 anni sicuramente le cose saranno migliorate, la scuola di certo andrà meglio di come non andasse 20 anni fa”. Devo confessarvi, sono rimasto sostanzialmente deluso, perché le cose mi pare che siano peggiorate invece in questi 20 anni. Anzi, se mi concedete un piccolo excursus, forse 20 anni fa non eravamo afflitti da fenomeni che oggi, invece, stanno dimostrando di potersi esprimere in maniera quasi quotidiana: accoltellamento di professori, violenze all’interno delle scuole, atteggiamenti di grande prevaricazione di genitori nei confronti dei docenti. Sarà che io ormai sono vecchio, però ricordo con una certa nostalgia la mia giovinezza e la mia adolescenza e quando il maestro prima o il professore dopo, come dire, in qualche maniera mi redarguiva – all’epoca ti punivano anche – poi tornavi a casa e tuo padre e tua madre ti “davano il resto”. Adesso, se un professore, se un maestro rimprovera l’allievo i genitori fanno immediatamente ricorso al TAR e questo mi sembra veramente una un’aberrazione, una cosa che non si può assolutamente accettare. Quindi, a distanza di 20 anni questo 2° Rapporto ci dà la possibilità di aprire un fronte, un momento di osservazione sulla nostra Scuola e sulla nostra Università. Nel primo Rapporto nazionale sulla Scuola, pubblicato dall’Eurispes nel 2003, molte questioni che possiamo oggi ritenere ancora attuali e irrisolte avevano costituito una parte considerevole del piano di ricerca e dell’indice. Questioni come la dualità del sistema dell’istruzione e della formazione professionale o il travagliato processo della ricerca scientifica, costretta a muoversi tra riforme e stentata, se non mancata o assente, competitività. Ci si chiese, allora, se mortalità e dispersione scolastica fossero fenomeni imputabili alle caratteristiche strutturali del sistema e come eventualmente questa coincidenza potesse trovare una plausibile spiegazione nella diversa efficacia dei sistemi scolastici regionali. Quando si parla del sistema dell’istruzione si ha l’impressione di essersi lasciati alle spalle opere incompiute o forse troppo rapidamente accantonate. È difficile, infatti, trovare un settore come quello della scuola in cui si sia cimentata con così tanta insistenza la verve riformistica dei politici italiani. Del gran numero di riforme o di progetti di cambiamento, di cui gli studenti sarebbero dovuti diventare i diretti destinatari, si lamentano spesso gli insegnanti, le cui voci sono la cartina di tornasole del sistema dell’istruzione nel nostro Paese. Non c’è discorso istituzionale a loro rivolto che non ricordi ogni volta che la scuola è una priorità. Ma viene da chiedersi se esiste una visione comune di quello che dovrebbe essere il sistema dell’istruzione nel nostro Paese. Negli ultimi vent’anni sono stati sistematicamente smontati progetti di riforma della scuola, sopravvissuti solo pochi giorni alla caduta delle forze di governo che li avevano partoriti. Non deve perciò sorprendere più di tanto se anche oggi, e non solo perché ne ricorra il centenario, accada di dover fare i conti con la “Riforma Gentile”. E ciò significa valutare l’incidenza dell’onda lunga dei suoi effetti, riconoscerne innanzitutto la presenza, prendere in esame le ragioni che possono aver determinato il fallimento, più o meno parziale e più o meno doloroso, di molti tentativi di cancellarla. Rispetto a vent’anni fa, dopo l’esperienza dell’emergenza sanitaria che ha colpito il pianeta, sarà più che legittimo attendersi novità e qualche soluzione in più. Pensiamo all’uso, da tutti rivendicato, delle nuove tecnologie e all’impatto che dovrebbero avere avuto sulla didattica. Sul tappeto ci sono però tante altre non meno urgenti questioni. Non ci dispiacerebbe chiamarle “vertenze di prospettiva”, volendo pensare che la loro soluzione sia, se non dietro l’angolo, comunque possibile. Ci si chiede, infine, se la scuola sia effettivamente una priorità nell’agenda nazionale, visto che la voce del Pil relativa all’istruzione va sempre più assottigliandosi. Negli ultimi 25 anni abbiamo visto ridursi dal 5,5% al 4% la spesa nazionale per la scuola. Un paradosso, dal momento che, almeno a parole, diciamo di considerare la scuola la grande priorità del Paese. Proprio per questo, restiamo fiduciosi sul buon uso che dovrà essere fatto dei finanziamenti del PNRR, sulla cui efficacia l’Italia si gioca una buona fetta della sua credibilità e delle sue prospettive di crescita. L’Istruzione, d’altronde, più di qualsiasi asset, rappresenta oggi il futuro dell’Italia. Comprendere questo vorrà dire avere anche lungimiranza nel governare i processi di cambiamento già in atto nel mondo della Scuola, dell’Università e, dunque, di conseguenza negli strati più profondi della società e nelle economie che compongono la ricchezza del nostro Paese. Grazie ancora una volta a Mario Caligiuri, lui è veramente una goccia cinese, una goccia terribile. Grazie a voi e buona giornata buon lavoro».
Roberta Rizzo: «Grazie al Presidente Gian Maria Fara. Abbiamo qui il Rapporto Nazionale edito da Giunti scuola e l’AD di Giunti, Andrea Chiaramonti, ci spiega come nasce questa collaborazione, perché oltre ad essere editore è in corso una partnership un progetto vero e proprio che non si ferma alla pubblicazione del Rapporto».
Andrea Chiaramonti: «Buongiorno a tutti. Sì il Rapporto con Eurispes nasce da un preciso interesse anche da parte nostra, perché normalmente le aziende non considerano mai il tema sociale, guardano sempre gli affari e come Giunti Scuola anche noi guardiamo al business. Però, noi lavoriamo nella scuola, quindi lavoriamo con gli alunni e quando facciamo un libro abbiamo una responsabilità civile verso quegli alunni che lavorano tutti i giorni nella scuola. Quindi non possiamo fare errori sui libri scolastici, soprattutto quelli della primaria perché sono fondamentali. Sapere attraverso l’Eurispes in che mondo sociale siamo e quali sono i problemi ci permette di intervenire proprio sulla metodologia del libro e sulla formazione dei docenti o altro, in maniera da correggere le distorsioni del nostro Paese. Cosa abbiamo fatto? Abbiamo aiutato l’Eurispes a fare la ricerca, abbiamo dato i nostri nominativi (dirigenti, insegnanti che hanno voluto collaborare) e poi faremo dei webinar per allargare quello che è oggi un libro fisico, attraverso webinar e informazioni allargate al mondo della scuola. Ma il nostro obiettivo è più grande, siamo ambiziosi, pensiamo in grande, e il nostro obiettivo è arrivare coi nostri webinar alle famiglie, perché il tema che ha toccato Il Presidente è esattamente questo: la società italiana del futuro sarà fatta dagli alunni che oggi sono nella scuola, saranno i futuri manager, operai, dirigenti, ministri. Se questa scuola, invece di essere un valore, è considerata un problema o un costo, non avremo una civiltà, una società educata: gli altri paesi più avanti di noi ce lo insegnano con investimenti molto più alti di questo 4% del Pil che ci raccontava il Presidente. Quindi il nostro lavoro, in prospettiva, è arrivare alle famiglie, perché la scuola è un centro sociale, in molti paesi è l’unico punto d’aggregazione. La cultura in molti paesi è data solo dai docenti, che devono essere formati e preparati. Il compito di un editore è questo. Ma c’è un problema ancora più grosso, che si legge sempre più spesso sui giornali, ed è il conflitto scuola-famiglia: mentre prima la scuola era un valore riconosciuto, universale, dove si apprendeva e mandavi tuo figlio perché credevi che la scuola fosse la cosa più importante, mettevi tuo figlio nelle mani di un’altra persona (che era un docente) a scopo formativo, oggigiorno questa valore sociale si è rotto, la scuola è diventata un problema gestionale, un problema di voti, un problema di rapporti, di giudizi, di formazione: è un problema di competizione. Noi dobbiamo riportare la scuola a un valore sociale; noi come editori nel nostro piccolo, nella nostra attività di lavoro, attraverso anche i webinar di cui vi parlavo, vogliamo arrivare alle famiglie e coinvolgerle nel valore sociale della scuola. Se riusciamo a dare questo piccolo contributo sicuramente possiamo contribuire a cambiare l’Italia da qui ai prossimi 20 anni, ma ci vuole anche politica e una visione strategica da parte dei governi. Se non lo faremo, la situazione è quella descritta dal Presidente: dal 2003 al 2023 sostanzialmente, se non è peggiorata, non è cambiato niente. Grazie dell’attenzione».
Roberta Rizzo: «Ecco, proprio su questo manca una visione comune ha detto il Presidente; la domanda è: qual è la scuola del futuro? Qual è il futuro del Paese? Visto che il futuro è la generazione che in questo momento sta sui banchi di scuola, Andrea Chiaramonti ha fatto un’analisi dicendo proprio qual è il ruolo di questo Rapporto per le scuole: l’avvicinamento alle famiglie, ormai sempre più distaccate; una scuola che non è riconosciuta neanche nella figura del professore, del docente, che spesso addirittura viene bullizzato con situazioni gravissime, casi magari isolati però che comunque raccontano di una difficoltà di interpretare il ruolo del docente e di dare valore a un ruolo una volta rispettato. L’indagine di questo Rapporto Nazionale è stata realizzata grazie a questionari basati su di un campionamento molto ampio, parliamo di quasi 4mila tra docenti di scuola primaria, scuola secondaria, di tutti gli ordini e gradi fino all’università. Allora su questo e sulle prospettive anche future di questo secondo Rapporto sulla Scuola e sull’Università diamo la parola a Mario Caligiuri che ci racconta proprio l’indagine da ogni punto di vista. Professore ci può spiegare come nasce e dove vuole arrivare questo Rapporto?»
Mario Caligiuri: «Proverò a dare una risposta alla domanda della nostra brillante coordinatrice contestualizzando il Rapporto e i documenti scientifici, come quelli che puntualmente da 35 anni l’Eurispes sta producendo e che fanno il punto su quello che accade nella società italiana e sono da supporto alle scelte delle decisioni pubbliche, ma anche per orientare la consapevolezza dei cittadini. Il tema dell’educazione non è uno tra i tanti. Il Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz dice che la società negli ultimi due secoli è progredita in base alla sua capacità di apprendimento. Ma i parlamenti si occupano di economia e non di educazione, perché l’economia dà risposte immediate, mentre l’educazione dà risposte dopo decenni. Da questo punto di vista, l’iniziativa dell’Eurispes attraverso la costituzione dell’Osservatorio sulle Politiche educative voluto con grande lungimiranza da Gian Maria Fara ha dato alla luce questo Rapporto che ne rappresenta una prima e significativa realizzazione e che ha un dichiarato tentativo, come ci ha spiegato il Presidente Fara nella sua introduzione: quello di porre al centro del dibattito istituzionale politico e culturale del nostro Paese il tema dell’educazione. Il tema dell’educazione, come ben sanno gli altri due relatori che mi seguiranno, il Presidente INVALSI, il Professor Ricci e il Presidente dell’ANVUR, il Professor Antonio Uricchio, ha poco appeal all’interno del nostro Paese e questo dimostra in maniera inequivocabile che viviamo in una società dei fantasmi, dove la realtà sta da una parte e la percezione pubblica della realtà esattamente dall’altra. Negli ultimi giorni, lo ricordava il Presidente Fara, i media riportano notizie che provengono dal mondo della scuola che sembrano un bollettino di guerra. 31 gennaio 2024: “Taranto, Preside picchiato dai genitori di un’alunna”. 3 febbraio 2024: “Preside picchiato a calci e pugni a Lucera in una scuola media”. 5 febbraio 2024: “Varese, insegnante accoltellata a scuola, arrestato uno studente”. 7 febbraio 2024: “Convocato a scuola, padre di uno studente aggredisce il professore, violenza a Reggio Calabria”. Al di là della gravità, occorre riflettere molto sulle ragioni di questi episodi e piuttosto che soffermarsi, come sempre, sugli effetti, dobbiamo riflettere sulle cause. Nell’Europa del Seicento squassata dalle guerre di religione Baruch Spinoza diceva «Non bisogna né ridere né piangere, ma capire» e questo rapporto ci aiuta a capire perché siamo arrivati a questo punto. Il Rapporto che vede la luce a 20 anni dal primo rapporto Eurispes sulla scuola, come ha evidenziato Gian Maria Fara nella introduzione a questo documento, rappresenta ancora una sua indubbia attualità ed è anche effettuato a 100 anni dalla Riforma Gentile. Credo che questo rapporto rappresenti la più significativa occasione finora effettuata per ricordare la Riforma Gentile come fattore trainante di cambiamento del Paese. Credo che vada rilevato che oggi nei paesi in via di sviluppo esiste la correlazione tra aumento dell’istruzione e aumento della ricchezza; questo rapporto, invece, non c’è più nei paesi capitalistici avanzati, cioè: pur aumentando il livello dell’istruzione, non aumenta progressivamente il livello dello sviluppo e quindi ci dobbiamo interrogare su questi elementi. Credo che quindi porre al centro del dibattito l’educazione rappresenti un’autentica necessità sociale, perché di fronte a ogni problema viene proposta sempre l’educazione. Di fatto viene proposta l’educazione con le migliori intenzioni, recentemente purtroppo è accaduto, in occasione dell’assassinio della povera Giulia che ha sconvolto l’Italia, con il tema dell’educazione affettiva. Però quando invochiamo l’educazione, si tratta di un’invocazione puramente retorica, in quanto tralasciamo due aspetti di fondo: il primo è che scuola e università oggi non rappresentano la soluzione, ma sono parte rilevante del problema, e in più i tempi educativi, ovvero se effettuiamo una riforma oggi, i risultati, le risposte, li vedremo tra decenni. Qual è la situazione attuale a livello globale? Ho individuato tre indicatori, tutti collegati tra di loro. I primi due generali e il secondo nazionale. Qual è il primo? L’effetto Flynn inverso. Lo studioso americano Flynn aveva individuato, dopo la Seconda Guerra Mondiale, un aumento del livello di intelligenza medio a livello globale. Dalla fine degli anni Novanta ai primi anni Duemila c’è l’effetto Flynn inverso, cioè il grado di intelligenza a livello globale sta diminuendo. Quali sono le cause? Secondo gli studi, per prima l’uso eccessivo di social e videogiochi, una diminuzione della qualità dell’istruzione a livello globale e il tempo sempre più limitato che viene impiegato nella lettura di testi scritti. Il secondo aspetto è quello dell’ignoranza. L’ignoranza sta crescendo e questo pone un problema evidente: mentre prima l’ignoranza era determinata dalla carenza di informazioni, oggi l’ignoranza è determinata dall’eccesso di informazioni, quindi siamo di fronte a una disinformazione totale. Il terzo aspetto che è puramente italiano qual è? Il ’68 c’è stato dovunque, però in un solo paese sono stati chiesti il sei politico e gli esami di gruppo; noi abbiamo assistito e stiamo assistendo dal ’68 in poi – e soprattutto dalle riforme, alcune veramente scellerate che dalla fine degli anni Novanta hanno interessato scuole e università – ad un abbassamento, ad una facilitazione dei percorsi di studio che ha portato a una divaricazione ancora maggiore tra figli delle famiglie ricche e figli delle famiglie povere, quindi ha accentuato le disuguaglianze sociali. In questo modo si è determinato una sorta di facilismo amorale, perché allarga le disuguaglianze. Qual è la situazione futura? Il futuro, secondo Nostradamus, è il passato che ha ammainato le sue bandiere. Bisogna quindi cogliere i fenomeni allo stato nascente, non appena si definiscono, perché i segnali forti li vedono tutti e spesso portano da un’altra parte. Da questo punto di vista, la situazione educativa non la conosce nessuno. Dice lo storico israeliano Yuval Noah Harari: quello che stiamo insegnando nelle scuole e nelle università è quasi del tutto superfluo perché nessuno sa tra vent’anni quale sarà la situazione sociale nel mondo. Noi tutti viviamo in tre dimensioni: quella fisica, quella virtuale e quella ibridata. E quella ibridata sarà quella inevitabilmente prevalente. L’altro spettro è determinato dalla disinformazione dove, come diceva Marshall McLuhan, quello di cui i pesci non sanno assolutamente nulla è l’acqua. Noi siamo totalmente immersi nella disinformazione e non ce ne rendiamo affatto conto. Di bruciante attualità è il tema del confronto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale. Io non sono né ottimista, né pessimista, sono belligerante. Il tema qual è? È che gli esiti non li conosce nessuno. Il tema quindi è quello di confrontarsi con l’intelligenza artificiale: oggi si parla di algoritmi definitivi, cioè l’algoritmo che programma sé stesso senza l’aiuto umano. Il Direttore generale dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, Bruno Frattasi, ha proposto l’idea di provocare e produrre degli algoritmi educativi per promuovere la cultura italiana e il pensiero critico. Invece di indurre al consumo, gli algoritmi dovrebbero indurre a pensare, quindi è una rivoluzione copernicana. Ciò non solo per evitare i rischi della Rete, quindi investire sull’educazione alla sicurezza informatica, ma anche per cogliere le grandissime opportunità della Rete, che va vista in una duplice visione. Un altro aspetto è quello del tempo libero: nei prossimi anni, con l’intelligenza artificiale e le altre rivoluzioni sociali, noi lavoreremo un settimo della nostra esistenza, per cui la scuola più che educare a come si lavora dovrebbe educare a come si vive. Un altro aspetto che secondo me sarà di grandissima rilevanza saranno le disuguaglianze che investiranno società nazionali, i territori e nazioni. Era prevedibile che dopo il Covid in Italia ci fosse una spinta verso una differenziazione regionale, lo avevamo previsto già nel 2020. Un altro tema di cui non parla praticamente nessuno è il consumo della droga che è costantemente in espansione e che condiziona in maniera strutturale la società; è dalla droga che le organizzazioni criminali traggono i redditi che poi utilizzano nell’invadere e distorcere l’economia legale nelle grandi città (Roma, Milano). Ma il tema della droga è ancora più preoccupante. In America c’è il Fentanyl e la Xilazina, segno che la droga è diffusissima e sta producendo più morti che la guerra in Vietnam in un anno. È una droga letale che blocca il sistema nervoso; è stato l’argomento che hanno trattato Biden e Xi Jinping nella bilaterale Cina-Stati Uniti. È un tema veramente centrale e lo diventerà purtroppo ancora di più nei prossimi mesi. Il Rapporto non sottace questo fenomeno. Infine l’altro argomento, ultimo, è quello del merito. Merito non è una parola vuota, o una parola-manifesto. Il merito è l’unico strumento che hanno i figli delle famiglie di medio e basso reddito per avere una durevole ascesa sociale. Se noi non impostiamo una scuola costituzionale e democratica sul merito in Italia, ma ancora di più nel Mezzogiorno, come il Direttore di INVALSI ricorda puntualmente ad ogni rapporto, noi non riusciremo a riaggregare, a ricostruire la società nazionale e questo non è un problema da poco. Infine, questa è una proposta controversa, difficile da discutere: l’intelligenza artificiale è velocissima, il cervello umano si è creato in migliaia di anni; noi dovremmo accorciare i tempi dell’apprendimento, come fare? C’è un’unica strada, pericolosissima ed è quella di cercare di potenziare il cervello umano attraverso le tecnologie. Non a caso Elon Musk, quando qualche settimana fa ha annunciato la prevedibilissima installazione di un microchip nel cervello umano, ha ricordato questo aspetto. Quindi bisogna fare in modo di ricorrere ai poteri non conosciuti della mente, che noi non abbiamo ancora trasferito agli algoritmi. Un argomento difficile e complesso, urticante, ma va affrontato».
«Parliamo del Rapporto. Il contenuto del Rapporto che è stato realizzato con grande cura da Susy Montante e Raffaella Saso e che è pubblicato dalla più grande casa editrice che si occupa di educazione nel nostro Paese, la Giunti e saluto l’Amministratore Delegato Andrea Chiaramonti, contiene una grande massa di dati. Credo che sia un lavoro particolarmente utile per interpretare il presente. Sono state compiute nel Rapporto tre scelte strategiche. La prima: considerare unite scuola e università, che sembrano mondi distanti, delle rette parallele; invece scuola e università vanno insieme, perché chi arriva all’università? Chi ha studiato nelle scuole. Chi insegna nelle scuole? Chi ha frequentato l’università. Questi temi il Professore Uricchio li ha abbondantemente approfonditi ed esaminati con l’acume che gli è proprio. La seconda: abbiamo fatto parlare i protagonisti di scuola e università, ovvero i docenti. Per utilizzare una metafora degli anni passati, “buona scuola” potremmo anche dire “buona università”. Io non so quale possa essere una buona scuola o una buona università, di sicuro so che una buona scuola, una buona università è quella che ha buoni insegnanti. La terza: i dati sono stati interpretati in funzione del futuro, perché l’educazione è il tempo del futuro, perché quello che saremo domani, noi lo stiamo decidendo oggi. E questo vale soprattutto per chi frequenta scuole e università. La prima parte del Rapporto si è concentrato su quasi 5mila docenti delle scuole elementari, medie, superiori e delle università, tantissimi dati quindi. Le risorse economiche sono sempre poche però, segnale debole, il 19,5% sostiene che le risorse in istruzione siano aumentate, parliamo di uno su cinque dei docenti che si sono espressi. Sulla numerosità delle classi? C’è una parte rilevante, quasi il 50%, che non ha rilevato nessun problema. Ancora, sull’abbandono scolastico, dico una cosa ovvia, ma il Rapporto lo certifica in maniera scientifica: la maggior parte degli abbandoni provengono dai figli delle famiglie di medio e basso reddito. Un tema rilevantissimo, trascurato, qual è? La burocrazia. Sapete che cosa emerge? Che il 50% del tempo gli insegnanti lo perdono in pratiche burocratiche e nell’università è ancora di più, nelle università arriviamo al 55,1%, un eccesso ingiustificato e insostenibile. Un altro elemento ancora è il riconoscimento attribuito dalla società ai docenti: il 71% dice, addirittura, “per niente”. Così come le opportunità di crescita e di carriera nelle scuole: per quasi il 70% è una opportunità professionale inesistente. I dati sono invece positivi quando si parla di applicazione della libertà di insegnamento, come prevede la nostra Costituzione; così come la produzione dei materiali di studio. Infine, i docenti sono molto soddisfatti per il rapporto con gli studenti: il 90,5% percepisce un alto livello di rispetto e quasi il 70% sperimenta motivazione e desiderio di apprendere. Entrando maggiormente nel dettaglio del Rapporto, si individuano dei dati veramente significativi. Sulla numerosità delle classi, i docenti concordano che il numero massimo dovrebbe essere di 15 studenti; nelle università questo dato è diverso. Viene poi lamentata la scarsa presenza di mediatori interculturali – teniamo conto che l’Italia, come l’Europa, sarà invasa di immigrati che non si possono certamente contenere con azioni dimostrative bloccando una nave in un porto. Questo ce lo spiega Paul Collier, economista britannico, uno dei massimi esperti di economia africana, e ci ricorda che nei prossimi anni noi dovremo prepararci a sconvolgimenti senza precedenti, perché l’immigrazione ha una causa precisa, la disuguaglianza sempre più insostenibile tra paesi ricchi e paesi poveri. I paesi ricchi sono in decremento demografico, i paesi poveri sono in esplosione demografica; i paesi ricchi hanno poche materie prime i paesi poveri hanno molte materie prime. Quindi già lo scenario è tracciato. Viene promossa la dotazione informatica, mentre palestre e ambienti scolastici risultano inadeguati. Teniamo conto, e questo il Rapporto lo evidenzia, che i giudizi divergono molto nelle aree geografiche da dove vengono espressi i pareri. Ancora un altro elemento che riguarda le tecnologie: quasi il 22% dei docenti (uno su cinque) ha detto di avere difficoltà nell’utilizzo di tecnologie. Ma il dato ancora più interessante è che, secondo i docenti, uno studente su tre (più del 31%) dimostra disagio nell’utilizzo delle tecnologie a scuola. Il problema degli insegnanti precari è un problema molto serio, così come 6 insegnanti su 10 delle elementari e delle medie si dichiarano insoddisfatti sulla valutazione basata su voti, però il 51,4% non concorda sulla circostanza che l’insegnamento attualmente praticato in Italia sia mnemonico e che sia solo una semplice trasmissione di nozioni. Un altro aspetto veramente interessante e che si collega con le vicende di cronaca di questi è che oltre metà degli inseganti delle elementari e delle medie ha denunciato ingerenze dei genitori nelle scelte relative ai metodi e contenuti dell’insegnamento: più della metà. Ancora, quasi la metà si è sentito contestare almeno una volta i voti o i giudizi assegnati agli alunni. Così come gli episodi di vera e propria violenza da parte dei genitori hanno riguardato almeno un docente su 10. È una media altissima, così come nelle secondarie un insegnante su quattro è stato vittima di violenza da parte degli alunni, e almeno una volta nel corso della sua attività professionale. Sono dati sconvolgenti. Ancora, oltre tre quarti dei docenti testimoniano la difficoltà di integrare gli alunni diversamente abili. Per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado ‒ la scuola superiore ‒ il 77% degli insegnanti dice che, purtroppo, gli istituti tecnici e professionali ‒ di cui il paese ha bisogno di diplomati in queste scuole per sostenere il proprio sviluppo ‒ vengono considerati istituti di serie B. Gran parte degli insegnanti, era ovvio, sono poi contrari alla riduzione del ciclo di studio a 4 anni invece dei cinque. Mentre l’esperienza della Dad ha raccolto esperienze sia positive sia negative. Eppure il 95% dice che bisogna continuare a mantenere l’insegnamento in presenza. Vado verso la fine. Per quanto riguarda i professori universitari, il 23% è favorevole al numero chiuso; il 77% è contrario agli esperimenti telematici. Tenete conto che l’indagine è stata effettuata solo su docenti universitari delle università tradizionali, non di quelle telematiche. Così come un docente su quattro pensa che per contrastare l’abbandono universitario bisogna collegarsi sempre di più con il mondo del lavoro. Interessantissima poi la parte in cui vengono individuate da parte dei professori universitari le carenze degli studenti, che sono le seguenti: capacità di scrittura l’89%; proprietà di linguaggio, 88%; ortografia, 82%; sviluppo logico dei temi, 83%. Stiamo parlando di una Waterloo. Ancora, secondo il 58,5% dei docenti l’università sta perdendo centralità come canale di formazione qualificata, e per il 62% sarebbe opportuno modulare l’offerta universitaria aumentando le discipline Stem. Infine, il 73% dei docenti non pensa che in Italia la quota dei laureati sia superiore alle richieste del mercato né che l’offerta universitaria sia adeguata alle richieste del mercato del lavoro».
«Il rapporto che consegniamo all’opinione pubblica italiana questa mattina è inoltre arricchito da testimonianze molto significative e importanti, come Piergiorgio Bianchi, amministratore delegato Talents Venture. Massimo Brai, direttore generale della Treccani; Paolo Calabresi, presidente della società italiana di neuroscienza; Donato Ferri, Europe West Consulting leader di EY; Luigi Fiorentino, capo dipartimento del dipartimento dell’informazione all’editoria; Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale presidi; Anna Gionfriddo amministratrice delegata di Manpower GROUP Italia; Francesco Grillo, amministratore delegato di Vision; Giovanni Lo Storto, direttore generale della Luiss; Pierluigi Malavasi, presidente della società italiana di pedagogia e professore della Cattolica di Milano; Mario Mariani, amministratore delegato di Sanoma Italia; Roberto Ricci, presidente Invalsi e relatore di questo convegno; Paolo Roncoroni, amministratore delegato della Pearson; Raffaella Ida Rumiati, della Sissa di Trieste vicepresidente dell’ANVUR; Rosi Russo, Presidente dell’Associazione parole ostili; Simona Sandrini, della Cattolica di Milano; Arianna Saulini, Save the Children; Elena Ugolini, Sottosegretario al Ministero del’Istruzione nel governo Monti e preside del liceo Malpighi di Bologna; Antonio Uricchio, relatore prestigioso di questa manifestazione e presidente dell’ANVUR e già rettore dell’Università Aldo Moro di Bari; Giordano Vecchi, strategic partnership e business development; poi ancora Aldo Berlinguer dell’Università di Cagliari, Ivana Calabrese Change Maker per Ashoka, Giampaolo Caprettini dell’Università di Torino, Mauro Ceruti della IULM di Milano, Nunzia Ciardi vicedirettore dell’agenzia per la Cyber Sicurezza Nazionale che qua è rappresentata con i suoi collaboratori; poi con Vittorio De Bonis storico della letteratura e critico d’arte; Alessandro Curioni della Cattolica di Milano e poi ancora Salvatore Natoli Milano Bicocca, Paolo Pagliaro direttore 9Colonne, Alessandro Rosina della Cattolica di Milano, Luca Salmieri della Sapienza, Nicola Tirelli dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova, Luciano Violante presidente della fondazione Leonardo, Presidente della Camera dei Deputati dal ‘96 al 2001».
«Nel rapporto abbiamo identificato punti di forza e punti di debolezza. Soffermarsi sui punti di debolezza in un’epoca caratterizzata dalla propaganda e dalla disinformazione significa senso di responsabilità, con l’ovvia intenzione di migliorare lo stato attuale delle cose. Desta forte preoccupazione il decremento demografico, del quale non si occupa nessuno. Continuiamo ad assumere nelle scuole e nelle università docenti che non si sa a chi insegneranno tra pochissimi anni (si chiama tecnicamente danno all’erario). Ancora, il rapporto sempre complicato col mondo del lavoro, una non convinta spinta della Ricerca e dell’Innovazione dove pure esprimiamo eccellenze mondiali. In conclusione, perché in Italia dobbiamo investire in educazione? L’Italia è destinata a recitare un ruolo geopolitico sempre più rilevante nella società della conoscenza, essendo una delle potenze più industriali del mondo e, ancora di più, una potenza culturale che ha creato l’immaginario e la civiltà dell’Occidente. Noi non siamo certamente l’ultima ruota del carro. Di conseguenza, sarebbe utile delineare una pedagogia della nazione, intesa su come il nostro paese forma i propri cittadini e racconta sé stessa alla propria comunità e al mondo, ricordando la necessità di prospettare una riforma organica come quella che propose Giovanni Gentile, e non innumerevoli interventi minimali che peggiorano sistematicamente la situazione esistente, come una sorta di manutenzione del dolore. Una riforma strutturale occorre, che coinvolga educazione pubblica e privata a livello scolastico e universitario, per porre le premesse della valorizzazione del capitale umano ‒ in Italia è altissimo il dato dei giovani che non studiano e non lavorano, è un dramma del nostro Paese. Ed è quindi importante valorizzare i talenti che abbiamo. Elaborare una proposta, come la pedagogia della nazione, è un’occasione per riflettere sul presente e il futuro del nostro Paese, chiarendo gli scopi dell’Istruzione. L’Istruzione, la Scuola e l’Università non possono essere, come in parte sono o in gran parte delle volte sembrano, degli ammortizzatori sociali per studenti e docenti, bensì luoghi di costruzione del futuro. Appunto per questo, concludo, la democrazia non è solo la meno imperfetta forma di governo, ma oggi, di fronte all’intelligenza artificiale, è la meno imperfetta forma di giustizia sociale. Dice Y. Harari: quando gli algoritmi avranno estromesso gli umani dal mercato del lavoro, la ricchezza e il potere potrebbero risultare concentrati nelle mani di una minuscola élite che possiede i potentissimi algoritmi, creando le condizioni di una disuguaglianza sociale e politica senza precedenti. Appunto per questo, oggi l’educazione e la democrazia in Italia sono più importanti che mai e il Rapporto Eurispes vuole testimoniare questo. Grazie per l’attenzione».
Roberta Rizzo: «Ringraziamo il professor Mario Caligiuri. Una delle tematiche affrontate che ci ha colpito particolarmente è quella dell’ignoranza. Anche quest’anno ci sono stati dati che hanno raccontato non solo di un’Italia ma di un mondo, non soltanto un mondo occidentale, che sta in decrescita a livello di apprendimenti in materie particolari e specifiche. In particolare su matematica, lettura e scienze siamo in parità rispetto a un decennio fa, ma il dato è precedente al periodo Covid. Il tema dell’ignoranza diventa fondamentale perché, come ci ha spiegato poco fa il professor Caligiuri, se prima l’ignoranza era legata alla carenza di informazioni, nel 2023 – e negli ultimi 20 anni – sicuramente il dato sta nell’eccesso di informazioni, l’incapacità di saper selezionare, legato ovviamente alla realtà virtuale in cui siamo immersi, tanto che, come ha detto il professore, con l’aumento dell’istruzione, si denota un mancato aumento del livello di sviluppo dei paesi. Quindi un tema molto importante da affrontare è il tipo di preparazione degli studenti. In questo ovviamente non posso che chiamare in causa Roberto Ricci e Antonio Uricchio (INVALSI e ANVUR), da un lato per il sistema educativo informazione istruzione e formazione per quanto riguarda le scuole di ogni ordine e grado e, invece, dall’altro lato, per l’università e la ricerca».
Roberto Ricci: «Le informazioni che si possono ricavare dal Secondo rapporto dell’Eurispes sulla Scuola e l’Università sono molto importanti, ma lo sono altrettanto le valutazioni che ciascuno può fare, e ciò anche in merito alla percezione che gli insegnanti hanno o non hanno della scuola nella quale essi sono immersi. Quando parlo di scuola, intendo lo spazio dedicato ai bambini e ragazzi da 0 a 18-19 anni. Innanzitutto, c’è bisogno di affrontare il mondo della scuola con serietà, come campo di studio scientifico: la scuola merita un approfondimento e un’analisi che vanno al di là delle nostre singole esperienze personali come studenti, genitori o altro. Questo errore di prospettiva è un grande problema del quale soffre il nostro Paese quando si parla di Scuola. La scuola è un fenomeno estremamente complesso, contraddittorio, da studiare con grande umiltà e il dovere di proporre delle soluzioni costruttive È molto facile limitarsi alla pars destruens del discorso, ma la vera sfida diventa invece la parte costruttiva».
«Uno dei temi che emerge dal Rapporto Eurispes dalle risposte che i docenti riguarda la dimensione media delle classi, un tema estremamente impopolare se affrontato con lucidità. La dimensione delle classi chiama immediatamente in causa un tema organizzativo, eppure tra i paesi Ocse l’Italia è uno dei paesi dove gli insegnanti hanno il minor numero di studenti per singolo insegnante. Il vero tema è, dunque, il modo in cui vengono utilizzate le risorse. A questo proposito va precisato, in aggiunta, che solo nei paesi occidentali dell’Ocse _ tra i quali l’Italia – i livelli medi di apprendimento risultano essere in calo: i paesi orientali dell’Ocse, insieme a Australia e Nuova Zelanda, non sono allineati col trend negativo dei paesi occidentali, e ciò in quanto hanno fatto delle scelte educative molto precise sui loro ordinamenti chiamando in causa il tema dei contenuti ampiamente inteso e dei livelli di apprendimento. Questi dati dimostrano che bisogna, con grande umiltà, affrontare questi temi estremamente scomodi, certi che non esistono soluzioni ottimali in quanto ogni scelta ha anche dei potenziali effetti negativi. Qualcuno dice che la peggiore scelta che si possa fare è non scegliere, e credo che questo sia il tema. Non farsi carico di queste scelte è sicuramente peggio. La dispersione scolastica è un altro grande tema emerso nel corso dell’Indagine, ma un paese moderno deve affrontare il tema della dispersione scolastica a tutto tondo. È fondamentale avere il minor numero di allievi che abbandonano la scuola – potenzialmente nessuno – e su questo credo che non ci sia nulla da dire. Ma il passo successivo è chiedersi che cosa gli allievi apprendano, a maggior ragione in un sistema come quello italiano ed europeo che attribuisce un valore legale al titolo di studio. Non si risolve il problema solo portando tutti al titolo di studio, ma bisogna porsi il problema di quale sia il contenuto all’interno di quel titolo di studio. Oggi disponiamo, come Paese, di una prima misura provvisoria ma c’è una forma più sottile e più grave di dispersione che è chiamata “dispersione scolastica implicita”, cioè di coloro che pur studiando non raggiungono determinati obiettivi. Secondo molti docenti universitari, qualche tempo fa era inimmaginabile trovare problemi ortografici e problemi di comprensione del testo negli studenti universitari. Ma forse basterebbe anche accendere la televisione talvolta per capire che il problema non riguarda solo l’università, ma tutte le articolazioni della società. Noi abbiamo percentuali piuttosto alte di studenti – intorno all’8,7% a livello nazionale, ma nelle regioni le percentuali cambiano enormemente – di studenti che conseguono il diploma e sono in grado di rispondere a domande che ci aspetteremmo che gli studenti fossero in grado di affrontare dopo 8 anni di scuola, non dopo 13 anni di scuola. È dunque l’Invalsi ad aver posto il livello troppo in alto? Forse l’Invalsi ha sbagliato, ma in quanto ha posto l’obiettivo troppo in basso e non il contrario. Assistiamo poi a un’altra forma di dispersione, quella scolastica digitale, in merito alla quale c’è da chiedersi se sia stato letto con profondità e umiltà quello che l’Europa ci chiede come quadro europeo delle competenze digitali. Ebbene le competenze di base richieste per accedere ai livelli europei sono decisamente più alte di quelle che noi abbiamo proposto come livello di accettabilità. Non si può pensare di risolvere il problema del raggiungimento delle competenze digitali abbassandone il target: sarebbe come risolvere il problema dell’inquinamento atmosferico innalzando il livello degli inquinanti accettati».
«Nel quadro della gestione strategica delle problematiche e delle contraddizioni della Scuola, emerge anche il tema di una riflessione pedagogica su ciò che vogliamo proporre per la nostra scuola in un’ottica di sostenibilità. Siamo un paese vecchio e indebitato fino al collo, e dunque credo che anche la pedagogia si debba far carico della sostenibilità delle soluzioni proposte. Se si propongono soluzioni che determinano un ampliamento della spesa, c’è da capire dove andare a prendere quelle risorse. Il nostro paese non investe nella scuola, in termini di Pil, quanto investono gli altri paesi Ocse, ma guardando la media Ocse si osserva che la mano pubblica italiana spende nel proprio Pil di più, per esempio, di quanto faccia la Germania. Ciò significa che in Italia viene speso molto meno in termini di contributo dei privati (rette a parte), e quindi quando si parla di risorse destinate alla scuola vanno chiamati in causa tutti, non solo la mano pubblica, se in altri paesi dove la spesa su Pil è più alta c’è un contributi più alto dei privati. Ciò dimostra che i dati per loro natura non sono mai una buona idea, ma la buona idea va cercata interpretandoli quei dati. Io credo che la scuola abbia bisogno di quello che il nostro paese è già stato in grado di fare per il passato, ovvero trovare delle soluzioni che vadano oltre il singolo schieramento o il singolo governo. Il tema emerso sulla durata del percorso di studi è un tema posto una prospettiva parziale perché diamo per scontato che la durata si misuri solo in termini di età di termine della scuola (cioè 18 o 19 anni). Bisognerebbe allargare il dibattito rispetto alla durata del percorso scolastico, e valutare che se in un Paese come l’Italia – che ha investito nella scuola più del 4% del proprio Pil e messo in gioco milioni di dipendenti – alla fine conta di più in quale regione sei nato e il titolo di studio dei tuoi genitori, siamo di fronte a un problema di ritorno di tutte le risorse spese. Anziché accettare la banalità che più si va a scuola meglio è, si può fare la differenza andando a lavorare su competenze specifiche – ad esempio nello spazio 06, dove si sviluppano competenze non strettamente cognitive, che non sono alternative ai contenuti ma che costituiscono un presupposto fortissimo per l’acquisizione di quelle competenze.
Si parla molto, inoltre, delle differenze dell’equità del sistema scolastico. Guardando i dati Eurispes a partire dalla scuola primaria, l’equità si gioca sia in termini di opportunità che in termini di qualità degli esiti raggiunti. La vera inclusione si realizza nel momento in cui a tutti e a ciascuno garantiamo buoni livelli di apprendimento, dove per apprendimento si intende l’uso di questo sostantivo in senso estremamente ampio. Serve quindi una riflessione che usi i dati, ma non deleghi ai dati l’individuazione delle soluzioni, pur tenendo presente che non possiamo giudicare la scuola o avere delle ipotesi di scuola senza farci guidare strettamente dal dato, anche come controprova dell’efficacia delle soluzioni assunte».
Antonio Uricchio: «Molto spesso vengono individuati gli asset, i driver dello sviluppo e si tende a perdere di vista proprio il tema dell’educazione, dell’Istruzione, della formazione, della cultura e della ricerca, ovvero della costruzione di un modello attorno al quale poi ruoti anche lo sviluppo. Il Rapporto 2024 dell’Eurispes dedicato alla Scuola e all’Università ha il merito di aver attenzionato la questione educativa, che credo sia la questione centrale del nostro tempo. Un altro merito fondamentale del Rapporto è avere interpretato il presente in funzione del futuro. Molto spesso, infatti, i modelli educativi si sviluppano su quella che viene definita “la rincorsa”, e cioè la tendenza a rincorrere i cambiamenti. Noi dobbiamo invece essere in grado di interpretare i cambiamenti, e soprattutto offrire delle risposte perché il mismatch che viene evidenziato, ad esempio, fra domanda e offerta di lavoro, dipende anche dalla scarsa capacità di lettura del presente e soprattutto dalla inadeguatezza o dei ritardi nelle risposte. Le riforme del passato, come la Riforma Gentile o la Riforma Berlinguer, sono state in grado di esplorare dei processi e di offrire tempestivamente delle risposte. Anche oggi siamo chiamati a questo grande scatto in avanti, che peraltro il nostro tempo ci impone: siamo infatti in una fase storica di profondi cambiamenti demografici, di flussi migratori che vanno non solo capiti ma governati anche attraverso la questione educativa. Il tema dell’identità culturale del nostro Paese si coniuga anche all’esigenza di accogliere coloro che vengono da paesi più lontani, e la chiave dell’inclusione è l’identità culturale, cui dobbiamo necessariamente guardare. In tale contesto, si innestano i grandi cambiamenti tecnologici che impattano sui processi educativi e che non possono essere ignorati: l’Intelligenza artificiale è un tema fondamentale per innovare i processi educativi e comprendere come anche la docenza scolastica e accademica debba essere in qualche modo ripensata. Anche la qualità dello studente di oggi è completamente cambiata, perché talvolta lo studente è più avvezzo all’utilizzo delle nuove tecnologie di quanto non lo sia il docente, e ciò va tenuto in conto anche in relazione al modello della lezione tradizionale».
«Ci troviamo oggi di fronte, da un lato alla desertificazione culturale, e dall’altro alla iper-informazione e alla difficoltà di leggere criticamente la mole di informazioni con le quali si viene in contatto. Diceva Lewis che il compito dell’educatore è irrigare i deserti, e questo pensiero è quanto mai attuale perché appunto ci troviamo di fronte a deserti culturali apparentemente rigogliosi, rispetto ai quali il docente di scuola e di università è chiamato a uno scatto in avanti anche particolarmente importante. Un altro tema fondamentale del sistema scolastico e universitario odierno riguarda la capacità del sistema di contrastare le diseguaglianze. Già oltre duemila anni fa, Confucio sosteneva che l’educazione fosse il migliore strumento di contrasto delle diseguaglianze, e ciò emerge con forza dai dati sulla scuola elaborati da Eurispes e Invalsi. Pur avvalendosi delle nuove tecnologie, gli ambienti universitari evidenziano allo stesso tempo la centralità del confronto dialettico fra docente e studente, della necessità che lo studente possa confrontarsi costantemente anche per migliorare il proprio modo di approcciarsi alla conoscenza. Su questo tema, come Anvur abbiamo sviluppato un Focus tematico sulla necessità di migliorare la qualità della didattica all’interno del comparto universitario anche attraverso dei criteri di potenziamento del rapporto docente e studente, anche quando lo studente non vive l’esperienza della comunità. I docenti intervistati nel corso dell’indagine di Eurispes evidenziano poi come le risorse siano scarse e insufficienti e denunciano un “eccesso burocratico”. Sul tema delle risorse va però ribadito che queste ultime sono cresciute, soprattutto negli ultimi 4-5 anni, e che l’iniezione di risorse del Pnrr è stata particolarmente significativa. La Missione 4 del Pnrr inietta infatti risorse notevoli su alcuni asset importanti, come la formazione accademica dei dottorati, il diritto allo studio e le infrastrutture. L’incremento di risorse ci ha consentito di avvicinarci alle medie europee, ma il percorso intrapreso va portato avanti anche oltre la scadenza del Pnrr nel 2026, soprattutto in merito al diritto allo studio. Si pensi, ad esempio, che l’edilizia universitaria pubblica del nostro Paese copre il bisogno di appena 50.000 studenti su oltre 2 milioni di studenti, quando in Francia e in Germania sono cinque volte maggiori gli alloggi pubblici. Un altro elemento che viene sottolineato dai docenti è l’eccesso burocratico: ma non vorrei che quest’ultimo sia male interpretato, cioè si leghi ad alcuni adempimenti che sono strettamente connessi ai temi della qualità della valutazione. Molto spesso noi soffriamo un’ipertrofia delle regole, quindi di un eccesso di regolazione che talvolta genera anche complessità e complicazioni di carattere amministrativo e burocratico. Ma le regole sulla valutazione non possono essere interpretate come espressione di burocrazia, bensì sono un’esigenza fondamentale per garantire la qualità, per promuovere il merito e per consentire una crescita del sistema nel suo complesso, una linea condivisa anche a livello europeo e internazionale».
«Emerge poi con forza il tema del rapporto fra conoscenza e democrazia. Questo è uno degli aspetti più stimolanti e importanti della questione educativa sollevata dall’indagine Eurispes, perché non possiamo dimenticare come le democrazie occidentali abbiano perso di vista la centralità dell’educazione quasi ritenendo e dando per scontato che la democrazia sopravviva anche alla povertà culturale. In realtà, esiste un legame molto forte fra democrazia e conoscenza, fra capacità dei saperi di promuovere sviluppo del pensiero critico e difesa della democrazia. C’è bisogno di promuovere la cultura per salvaguardare la democrazia, di difendere la conoscenza per la buona tenuta delle istituzioni democratiche. In merito a quanto detto, indagini e rapporti non solo sono esposizioni di dati o segnalazione di problemi, ma sono soprattutto una straordinaria opportunità per offrire delle risposte anche al decisore politico. E quindi la centralità della questione educativa deve diventare la nostra bandiera, la bandiera del Paese affinché venga raccolta e promossa in tutte le occasioni. Questo obiettivo ci mobilita tutti in quanto docenti, educatori, cittadini e ci impone di richiedere la stessa riflessione al decisore politico. Solo così potremo salvaguardare il modello del nostro Paese, un modello che ci ha dato nel passato grandi capacità di risposta anche rispetto alle emergenze e alle difficoltà, come accaduto dopo la Seconda Guerra Mondiale. La conoscenza è il più grande fattore moltiplicatore di sviluppo; anche quando il Pil si ferma, la spinta fondamentale sta nella conoscenza, nella ricerca, nel trasferimento tecnologico, nella capacità di innovare e nella maturazione di un sapere critico. Come sosteneva Platone, il docente non deve riempire un otre ma deve accendere la mente. Il nostro compito come educatori è soprattutto quello di stimolare anche il pensiero critico e di farlo trasferendo conoscenza e toccando quelle sensibilità cui tutti, anche in un contesto fortemente tecnologico, sono inclini. In questo modo i nostri ragazzi avranno gli strumenti per poter operare in un contesto profondamente cambiato come quello tecnologico nel quale siamo immersi, e saremo in grado, come Paese, di raccogliere le sfide del futuro».
Roberta Rizzo: «Ringraziamo il professore presidente Uricchio per questa analisi. Ovviamente la posta in gioco è importante, la sfida educativa deve diventare ‒ come ha detto il presidente Auricchio ‒ la nostra bandiera davanti ai decisori politici. Quindi riportarla al centro, grazie a indagini che vanno in profondità, come il Secondo Rapporto nazionale sulla Scuola e l’Università di Eurispes, e diventano lo stimolo per il pensiero critico, ma anche per creare eventuali strade ipotetiche, ovviamente, perché siamo davanti a sfide che dobbiamo ancora comprendere. Il professor Caligiuri parlava di intelligenza artificiale, di sfida sulle migrazioni, per poi constatare che i nostri docenti sono alle prese con una burocrazia allucinante. Allora, forse, in qualche maniera bisogna interagire, prevedere il futuro? Qual è l’utilizzo di queste sfide innovative, professore?. Mi pare di capire che questa non è un ultimo rapporto, è soltanto un inizio per andare avanti su questa indagine, una bandiera che dobbiamo portare nella creazione di strade non a breve termine, ovviamente, perché l’educazione e la formazione non offrono soluzioni a breve termine ma a lungo termine e non possiamo lasciare il campo inesplorato».
Mario Caligiuri: «Molto brevemente, intelligenza umana e intelligenza artificiale devono collaborare tra loro per cercare di migliorare la qualità dell’Istruzione. È semplice a dirsi ma molto più complesso a farsi, però quando ad Alan Touring, nel 1950 domandano: “Ma la macchina potrà essere dotata di coscienza?” Alan Touring risponde: “Sì”. Il tema della burocrazia lo ha specificato benissimo il professor Uricchio e bisogna capire cosa si intende per burocrazia: se è tempo che noi utilizziamo per le pratiche che devono rendere migliore la qualità dell’insegnamento, della ricerca e della didattica, allora essa fa parte del nostro lavoro e non rappresenta la burocrazia».
Gian Maria Fara: «Sarò veramente rapido. Per concludere questa mattinata interessantissima, vorrei ribadire che per noi il Secondo Rapporto rappresenta una seconda tappa di un percorso che spero sia lungo, nel senso che continueremo a tenere sotto osservazione il tema dell’educazione, e quindi siete tutti precettati, anche per il futuro. Però, mentre si sviluppavano le riflessioni, mi son venute in mente due cose. Intanto preciso subito che tendenzialmente sono un pessimista e la definizione che io do del pessimista è che naturalmente sono un ottimista ben informato, Ecco, quindi mi sono appuntato qualche riflessione mentre parlavate, perché insomma è chiaro e evidente che tutti quanti siamo preoccupati dal disinteresse, dalla trascuratezza che la società nel complesso e il sistema politico-istituzionale hanno nei confronti della grande questione dell’educazione, della scuola, della cultura, del progresso. Parafrasando Aristotele, mi veniva in mente un suo passaggio nel quale dice “Il peggio sembra la miglior decisione” cioè le decisioni che prendiamo le prendiamo sempre al peggio e mai al meglio. E invece, cito un’altra riflessione, questa volta di Erasmo da Rotterdam, che dice “i mali che non si avvertono sono i più pericolosi”. La sensazione è che la nostra società, il nostro sistema, non sia consapevole, non sia ancora in grado, di avvertire il danno che produciamo al Paese, ipotecando il futuro quando sottovalutiamo e trascuriamo il tema dell’educazione. Il tema della scuola dovrebbe essere al centro della riflessione generale, al centro anche dell’azione politica e istituzionale. Quello che io considero il mio maestro, Ferrarotti, quando andavi a fare l’esame con lui e vedeva che tutto sommato stavi andando benino, diceva: “Noto con piacere che la sua ignoranza comincia ad avere qualche lacuna”. Ecco, io spero che l’Eurispes con questo Rapporto sia riuscito a dimostrare la veridicità delle affermazioni di Ferrarotti. E comunque, lavoreremo per allargare sempre di più la lacuna. Grazie a tutti».