Disponibili online gli atti del webinar su capitale umano e classe dirigente. 6° Incontro promosso dal Laboratorio dell’Eurispes
A seguire sono disponibili gli atti del 6° Incontro promosso da Laboratorio sul capitale umano dell’Eurispes. Al centro del dibattito “la classe dirigente e il capitale umano”.
L’incontro, che si è svolto online il 14 dicembre scorso, è stato aperto dai saluti del Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara. Hanno partecipano alla discussione: Piergaetano Marchetti, Presidente della Fondazione Corriere della Sera, Carlo Noseda, Presidente IAB Italia, Silvia Stefini, Governance della Meritocrazia, Benedetta Cosmi, Coordinatrice Laboratorio dell’Eurispes sul Capitale umano, Massimiliano Cannata, giornalista.
FARA: Buonasera, vi ringrazio, come Presidente dell’Eurispes per aver accettato l’invito della dott.ssa Cosmi, responsabile del laboratorio dell’Istituto sul capitale umano, che sta conducendo un’intensa attività soprattutto in preparazione del grande Rapporto sulla Scuola che pubblicheremo nel primo semestre dell’anno prossimo. Ringrazio Piergaetano Marchetti, che è Presidente della Fondazione Corriere della Sera, Carlo Noseda, Presidente IAB Italia, Silvia Stefini, componente del Consiglio direttivo del Forum della Meritocrazia, e Massimiliano Cannata, vecchia, giovane conoscenza dell’Istituto, nostro valente collaboratore. Il tema sul quale discuterete – e noi saremo felici di ascoltarvi – è classe dirigente e capitale umano. Benedetta Cosmi è da tempo impegnata sul fronte della costruzione del capitale umano con l’obiettivo di alimentare la possibilità di poter avere in questo Paese una classe dirigente sempre più degna di questo nome. Il lavoro che Benedetta Cosmi sta facendo si inserisce nel quadro che prima vi illustravo che è quello delle politiche educative ed è strettamente legato all’idea di riuscire attraverso l’elaborazione di serie politiche educative a formare buoni cittadini e anche, e forse soprattutto, buoni dirigenti. il Paese ne ha assolutamente bisogno. Questo è un tema complicatissimo. Ieri si discuteva in Istituto della fuga di cervelli, si discuteva del fatto che noi spendiamo centinaia e centinaia di milioni di euro l’anno per formare dei giovani che una volta laureati scappano via o vengono catturati da altri paesi o da aziende europee. Come sappiamo il mercato ormai è unico e questo è un vulnus abbastanza grave, cioè spendere le nostre risorse per formare giovani e laureati che poi vanno a vivere in paesi dove la professionalità è considerata in maniera diversa da noi. Ieri parlavamo di questo problema a proposito dei medici: la formazione di un medico dal primo anno di università, fino alla laurea e la specializzazione costa centinaia di migliaia di euro poi pretendiamo che questi giovani restino in Italia retribuiti con stipendi da fame, quando le proposte che arrivano da Francia, Germania, Inghilterra e oltre Atlantico sono notevolmente più allettanti. Quindi quello del capitale umano è un problema decisivo ed importantissimo per il futuro del nostro Paese. O saremo capaci di intervenire in questo senso, di intervenire con una certa decisione con l’idea di valorizzare il capitale umano che il Paese produce, oppure negheremo all’Italia il futuro che invece merita. Il lavoro che stiamo facendo su questo fronte e l’attività e l’impegno che ha dispiegato su questi temi Benedetta Cosmi sono di grandissimo interesse per noi come Istituto di ricerca, ma credo di poter di per l’intero Paese. Sono convinto che dalla discussione di questa sera verranno fuori indicazioni preziose che ci serviranno per dare ancora maggiore valore aggiunto al lavoro di preparazione del grande rapporto sulla scuola che sarà il secondo, perché il primo lo abbiamo realizzato più di vent’anni fa, e con il quale contiamo di aprire, nel 2023, un serio e animato dibattito su un problema che riteniamo essenziale per il futuro dell’Italia. Io vi ringrazio per la pazienza che avete avuto nell’ascoltarmi, seguirò il dibattito con grande attenzione e poi Benedetta ha il compito di raccogliere tutte le idee, gli stimoli, le proposte che verranno dalla discussione di oggi per travasarli all’interno del lavoro che abbiamo già iniziato a fare, ma che comincerà a prendere corpo nei primi mesi del prossimo anno. Grazie e buon lavoro.
COSMI: Grazie Presidente, ringrazio i nostri ospiti che ci aiutano a cogliere quel legame che c’è tra formazione, scuola, Istituzioni, corpi sociali e il capitale umano. Questo sentirsi formazione e lavoro insieme ha spesso rappresentato, anche nell’ideologia del nostro paese, non sempre una scommessa in cui tutti i soggetti hanno creduto e noi stiamo cercando di riparare ad una debolezza del paese e del sistema, perché se non si sentono alleate il mondo della formazione e della scuola, dell’università e del lavoro si crea una distanza difficilmente colmabile sia per i più giovani sia per la competitività di un paese nell’essere attrattivi. Gli ospiti scelti giocano già la loro parte, il loro ruolo, in particolare un caro amico Carlo Noseda con cui da qualche anno cogliamo le stesse sfumature e ci aiuterà a cogliere alcune di quelle dicotomie di cui i Rapporti Italia sempre si avvalgono, in particolare quella su arretratezza/modernità, tecnologia. Passo subito la parola a te Carlo, benvenuto.
NOSEDA: Grazie a voi dell’invito. Mi occupo tra le altre cose di questa associazione che si chiama IAB (Interactive Advertising Bureau), che si occupa di monitorare l’andamento del mercato della pubblicità digitale che nel nostro Paese ha comunque un indotto ben più importante della sola raccolta pubblicitaria (se pensiamo solo all’e-commerce e a tutto quello che si aggrega pensate che con ogni euro investito in comunicazione se ne generano fino a venticinque di indotto) portando l’industria dell’advertising digitale del nostro Paese a metà tra quella del turismo e quella dell’automotive. L’impatto è importante non solo dal punto di vista economico ma la comunicazione influenza anche le persone, per cui io invito sempre ad usare questo grande potere che ci è stato dato nel modo migliore possibile. Ci occupiamo di tecnologie, ci occupiamo di digitale. Purtroppo in Italia quando si parla di tecnologie si tende sempre a dire che c’è un grande gap tecnologico; io penso che ci sia un enorme gap culturale legato all’utilizzo del digitale, nel senso che abbiamo per le mani degli strumenti che sono dei telefoni che ci potrebbero portare sulla Luna. Oggi potremmo fare cose inimmaginabili con questi oggetti eppure li sfruttiamo a meno del 10% delle loro capacità. Mi capita spesso di andare in aziende in cui gli amministratori delegati, ovvero i proprietari dell’azienda si fanno stampare l’email dall’assistente: una persona che si fa stampare una mail sta usando la tecnologia in maniera del tutto impropria. Quindi, quello che bisogna cercare di fare è spiegare alle persone quali opportunità il digitale oggi offra anche nel mondo del lavoro, bisogna educare i dirigenti di queste aziende ad esplorare tecnologie nuove e questo purtroppo non sempre avviene. Sappiamo tutti che l’uomo ha paura di cambiare però se invitiamo le persone ad avere una cultura favorevole all’innovazione, al cambiamento, ecco che questa voglia di sperimentare è un po’ più apprezzata. Gli americani dicono “fallisci velocemente spendendo meno soldi possibile”, da noi invece uno fallisce dopo anni di agonia perché ha l’onta di essere un fallito. Da noi esplorare, imparare, accorgersi di sbagliare in tempi rapidi: ecco il digitale si porta dietro tutta una serie di logiche nuove e bisogna insegnare alle persone ad affrontare queste novità in modo più proattivo.
COSMI: Io ho già preso un appunto per il nostro Osservatorio parallelo di cui parlava il Presidente, quello sulle Politiche Educative perché una delle tematiche che volevamo affrontare è proprio quella connessa all’errore e alla fallibilità. La scuola anche attualmente considera lo sbagliare qualcosa per cui per esempio se sbagli più di una materia vieni bocciato, non c’è la possibilità di recuperare solo il pezzo che hai sbagliato. Questo immaginalo rispetto ai sistemi scolastici stranieri dove la scuola essendo per livelli ti dà la possibilità di ripetere quella specifica parte di corso e questo allenerebbe anche all’idea di un fallimento funzionale.
NOSEDA: Tu hai citato il tema dell’apprendimento. Io sono convinto che la scuola italiana sia tra le migliori al mondo ma da un punto di vista di quello che impari, non del come lo impari. Questo è un altro aspetto da sistematizzare e da rendere più in linea con il mondo di oggi. Noi siamo stati cresciuti per entrare in una catena di montaggio. Ognuno di noi viene formato con una professionalità e quella professionalità serve a riempire una casella: tu inizi generalmente come ingegnere e muori come ingegnere. Se fino a qualche anno fa intervistavo delle persone che ti chiedevano un contratto a tempo determinato o indeterminato per poi prendere una casa e costruire una vita, adesso ti guardano dicendoti di regalo due anni della mia vita dopodiché scordati di me e non lavorerò solo per te perché nel frattempo faccio altri due lavori più un terzo che è la start up di un amico in cui ho investito dei soldi. Per cui questi ragazzi faranno non tre mestieri in una vita ma faranno tre mestieri contemporaneamente, perché è così che funziona e la pandemia ha solo accelerato delle modalità anche di lavoro completamente diverse, prima per avere un dipendente doveva vivere nella città dove avevi la tua azienda, oggi invece ce li hai sparsi in tutta Italia, ma aggiungo in tutta Europa. Quindi questa agilità e flessibilità di modo di lavorare diverso deve essere rispecchiata anche nelle aziende, perché le aziende continuano a vedere i propri dipendenti come delle persone che staranno da loro per degli anni, ecco che adesso invece bisogna pensare alle aziende come a dei sistemi integrati con altre realtà perché non lavorerò più per quell’azienda ma lavorerò con quell’azienda, quindi cambia proprio la proporzione.
COSMI: Secondo te a questo punto il senso di appartenenza cosa lo crea? Visto che non lo crea più il luogo, non lo crea più l’abitudine.
NOSEDA: Lo crea, lo dico con grande sicurezza, il progetto a cui la persona partecipa e solo se quel progetto è in grado di lasciare un grande e un forte impatto, una traccia. Pensa che la maggior parte dei ragazzi che approcciano le realtà oggi in cui lavorano vanno a studiarsi quell’azienda ma non tanto nel cosa fa ma nel come lo fa, se quello che fa quell’azienda non ha il cosiddetto purpose un modo di esistere che è coerente con i valori che la generazione di oggi ha ecco che l’azienda viene scartata. Questo fa specie perché queste generazioni hanno una grande responsabilità nei confronti del Pianeta, nel fare le cose, verso l’inclusività, verso il rispetto degli altri che è molto maggiore rispetto a come siamo stati educati e cresciuti noi con delle gerarchie molto verticali e con delle cose che io non credo vadano abbandonati, semplicemente vanno un po’ ammodernate, soprattutto rese commestibili per una generazione che ormai è pronta a bussare alle porte del lavoro e che ben presto sarà quella classe dirigente illuminata di cui parlavate voi prima. Abbiamo parlato di inclusività che ormai si sta affermando nelle aziende, e penso che questa inclusività non debba solo essere stesso numero di uomini e stesso numero di donne, ma anche generazionale. Vedo grandi aziende in cui l’età media è importante in cui si parla di giovani senza averli attorno, quindi senza cercare di capire come includerli, visto che prima o poi tutti devono avere la loro chance. Quindi questa inclusività nel mondo del lavoro e questa voglia di imparare sbagliando, sono dei fattori da tenere in considerazione. La scuola deve anche insegnarti che non è che quando ti laurei è finita e da lì inizi a lavorare, perché si studia tutta la vita. Dobbiamo imparare che la formazione è continua anche perché la tecnologia va avanti, troppo avanti e tu rimani fermo sulle tue convinzioni e le tue competenze. Quindi l’università dovrebbe essere come l’abbonamento in palestra.
COSMI: Potrebbe essere una proposta. In effetti si sta iniziando a lavorare sugli ex-laureati sia come possibilità di investimento futuro sia come possibilità di tornare ad apprendere sugli stessi banchi con uno scambio reciproco. Come hai visto cambiare anche il ruolo della classe dirigente, del top manager, come sta cambiando altrove, se c’è qualche modello di riferimento, se c’è qualche ritardo anche in questo dalle nostre parti.
NOSEDA: I manager che hanno più presa in questo momento sono quelli che sanno interpretare il cambiamento ma lo sanno anche tradurre e rendere accessibile a tutti. Come dicevo prima cambiare fa paura e se non si hanno le competenze il cambiamento è addirittura paralizzante, per cui vedo da un lato manager in grande difesa, schierati davanti alla porta sperando che nessuno segni, quindi nervosi perché non capiscono quello che sta succedendo, ma ne vedo altri invece che corrono in avanti e si trascinano dietro le squadre perché hanno visto nel cambiamento un’opportunità. Bisogna aiutare quelli che hanno paura e che non capiscono cosa sta succedendo. Bisogna solo essere curiosi, cercare di capire quello che si ha davanti, analizzarlo e poi giudicarlo e non viceversa. La trasformazione digitale che stiamo vivendo è importantissima, si stanno affacciando dei nuovi mondi che vanno esplorati e capiti. Il digitale è nato come un mezzo di comunicazione, mentre oggi il digitale è un ambiente e ci si pongono tutte una serie di domande, anche etiche, e necessita di una serie di regole che vanno definite. Oggi la politica dovrebbe preoccuparsi di definire questi nuovi mondi di definire le regole di ingaggio perché poi invece diventano praterie per chi fa business. Dobbiamo quindi essere pronti a correre e a correre tanto.
COSMI: Una delle tue doti è quella di essere incoraggiante e penso che sia una caratteristica vincente, non particolarmente diffusa al vertice perché come dicevi tu si tende ad essere intimoriti, quindi a frenare, incoraggiare non significa aderire cecamente, ma significa sicuramente essere curiosi. Incoraggiante dovrebbe essere sia il mondo della scuola sia la classe dirigente. Che obiettivo ti dai per il 2023?
NOSEDA: Di imparare a fare una cosa che non so fare.
COSMI: Passerei a Silvia (Stefini), consigliere del forum sulla meritocrazia, che, con il suo libro sulla governance meritocratica, ci introduce all’interessante tema della meritocrazia. Una raccolta di storie di talento, di donne e di impresa sostenibile. Silvia, aiutaci a capire come i consigli di amministrazione stanno cambiando e dovranno cambiare. Cosa significa essere “diversi all’interno”? Non dovrà trattarsi soltanto di una ripartizione di rappresentanza fittizia, che creerebbe più rumore e confusione che costruzione di progettualità. Tu che cosa hai visto?
STEFINI: Questo libro, Governance meritocratica, nasce proprio dall’esigenza di creare un filo conduttore tra quali sono gli elementi della meritocrazia all’interno dell’azienda, che toccano il board, il consiglio di amministrazione e l’intera organizzazione. Quello che si è visto nel corso degli ultimi anni è, sicuramente, una maggiore responsabilità ed un ruolo del consiglio di amministrazione un po’ più ampio, più fluido, più collegato con il management e con tutto quello che viene dal capitale umano. Come forum della meritocrazia abbiamo deciso di raccontare storie di merito – non necessariamente la rappresentazione di quello che l’Italia è in questo momento ma è una aspirazione, se vogliamo – andando a selezionare alcune storie di bravi imprenditori, di vecchia imprenditoria italiana, ma anche storie di nuove realtà emergenti, per cercare di capire quale sia il legame tra un consiglio di amministrazione che funziona bene ed un’organizzazione che sia stata resiliente nel corso degli anni, che abbia saputo reagire bene alle crisi e in cui si sia creato quel legame importante tra capitale umano e vertice aziendale. Ci sono storie che ricollegano un forte purpose, di cui si parlava prima. Il purpose è indubbiamente un collante di valori che mette insieme l’azienda e che, quando è espresso in modo chiaro, limpido e senza contraddizioni dal vertice, poi si trasforma in qualcosa che l’organizzazione porta avanti. Il libro ha voluto essenzialmente essere una raccolta di storie positive.
COSMI: Un esempio riguardante la tematica che stiamo trattando oggi: classe dirigente, capitale umano, competenze e formazione. Che cosa è emerso dal confronto?
STEFINI: Potrei portarvi l’esempio di Zambon SpA. Si tratta di un’industria farmaceutica che ha creato già da tempo un business model focalizzato sull’innovazione – parliamo di nuove tecnologie – e sulla capacità di attrarre talenti. Il modo in cui ha lavorato l’azienda – a partire dal consiglio di amministrazione strutturato con talenti esterni, che hanno portato idee nuove, e con gli stessi impegnati a loro volta in altri consigli – si è poi tradotto in iniziative specifiche per attrarre talenti e competenze, attraverso la creazione di laboratori in collaborazione con università, altre aziende e a livello internazionale. Si tratta di una situazione in cui, dal consiglio di amministrazione a tutta l’azienda, si punta a collaborare, creare competenze e quel clima dove i talenti si sviluppano. Questo genera competitività a livello internazionale. Ho citato Zambon ma lo stesso si può riscontrare in aziende, magari meno note, imprenditori più piccoli che hanno sviluppato iniziative di questo genere. Un caso molto interessante che abbiamo analizzato è quello di Enovia, una realtà assolutamente nuova, una fabbrica di imprese creata nel 2015 attraverso collaborazioni con l’Università che porta in essere delle idee tecnologiche che vengono sviluppate in università e poi le trasforma in fabbriche, in prodotti che vengono commercializzati. Dato l’elevato contenuto tecnologico di quello che fa, è chiaro che le competenze e la motivazione dei dipendenti siano molto importanti – teniamo presente che si tratta di un settore in cui i talenti sono difficili da trovare e trattenere. Si è quindi creato questo legame tra visione dell’azienda, partendo da un consiglio di amministrazione ampio, dal coinvolgimento del management e dalle modalità per trattenere i talenti più competenti. Quello che ho trovato nel corso del tempo è questo legame tra capitale umano e competitività, quindi posizionamento dell’azienda nel panorama nazionale. Diventa sempre più evidente, con le nuove tecnologie, i cambiamenti e la necessità di affrontare queste crisi improvvise che scardinano in qualche modo i business model tradizionali, il bisogno di cercare le competenze ma, soprattutto, la motivazione delle persone, e quindi saper legare gli individui che lavorano in azienda ad una filosofia, ad un obiettivo comune di cui il consiglio di amministrazione si deve far parte. In sintesi, il consiglio di amministrazione non è semplicemente un organo che approva politiche o strategie ma deve veramente entrare un po’ più a livello di interazione con il capitale umano. Si parla sempre di più del coinvolgimento sulle politiche del capitale umano senza entrare nella sua gestione perché chiaramente bisogna distinguere quali siano i compiti dei diversi organi aziendali; assicurarsi che ci siano le condizioni minime per uno sviluppo futuro è la base del creare imprese sostenibili – competitività a lungo termine, capacità di attrarre e mantenere talenti, differenziarsi in mercati che sono internazionali. Attualmente ci sono più opportunità, oltre a maggiori rischi da dover affrontare, e qui la contaminazione e l’apertura a mondi diversi è sicuramente molto importante.
COSMI: Ieri ho avuto un incontro che, se vogliamo, è stato un po’ un antipasto di questo di oggi; ho premiato a Roma una nona edizione di un premio che si chiama “Italia giovane”: dieci talenti under 35, con delle menzioni speciali in ambito sociale, molti dei quali vengono da materie STEM e mediche, connesse alle tecnologie e all’investimento economico in rami che possono rappresentare, ad esempio, il lavoro del futuro. Molte sono state le testimonianze durante la premiazione, come ad esempio quella di un ragazzo che vive e lavora all’estero, che noi ieri abbiamo premiato come eccellenza italiana, e che ci raccontava di essere stato il primo a laurearsi in famiglia. Perciò siamo ancora in quell’Italia in cui il ventenne/trentenne è il primo che studia in famiglia, c’è ancora un divario generazionale che incide sulle statistiche. Il Paese è diviso in due “anime”, per cui c’è, ad esempio, Confindustria da una parte che promuove le assunzioni di giovani con agevolazioni e chi, dall’altra parte scoraggia questo genere di sgravi e incentivi. La verità sta nel mezzo: per anni, molte aziende si sono trovate ad aver a che fare con contratti di solidarietà, blocco delle assunzioni, prepensionamenti, licenziamenti bloccati e via dicendo, che hanno sicuramente influito sul volume di nuove assunzioni. La parte passiva ha inciso di più su quella attiva? Anche nell’ottica delle politiche degli incentivi, cosa pensi sia mancato ad un imprenditore?
STEFINI: È chiaro che per avere un sistema che funziona bene nell’insieme devi avere un collegamento istruzione, sistema complessivo di Paese, di riforme e di supporto che viene dato alle aziende, quelle virtuose. Su questo aspetto il Forum lavora molto: abbiamo costruito un indicatore che misura proprio la meritocrazia del Paese. Sicuramente, in Italia ci sono diversi aspetti che bloccano questa meritocrazia, d’altro canto ci sono anche gli esempi virtuosi. Non bisogna far sì che alcune burocraticità che esistono in determinati aspetti della Pubblica amministrazione, o alcuni aspetti che limitano la fluidità dell’istruzione, siano di per sé una scusa per non prendere iniziative. Dal punto di vista aziendale bisogna sapersi scegliere, sapersi muovere, sapersi costruire nel tempo, le modalità di risposta. Attualmente il Paese è sotto una notevole pressione al miglioramento, anche solo per ottenere i fondi internazionali. Per avere una voce in capitolo nel panorama internazionale l’Italia deve fare dei passi avanti – più il tempo passa più diventa urgente –, il legame istruzione-Paese-regolamentazione-aziende è fondamentale. Le aziende devono fare la loro parte cominciando ad essere più proattive nel portare avanti le iniziative che meglio uniscono e promuovono la meritocrazia. Una delle iniziative del Forum è quella per la promozione della meritocrazia tramite mentorship ai talenti in Università in cui il mentoring è magari meno conosciuto o sviluppato, cercando di lavorare sulla base infrastrutturale che abbiamo. Questo è l’unico modo per dare un contributo ai passi avanti nel Paese.
COSMI: Passo a Piergaetano Marchetti. Oggi entri a tutti gli effetti a far parte di queste idee laboratoriali per svecchiare un paese ed innovarlo. Io dico sempre, tu sei deus ex machina, cioè dietro alle cose belle ti ho sempre trovato. Grazie di essere qui con noi.
MARCHETTI: Grazie, troppo gentile. Le tue parole che ricambio con amicizia e stima. Qui avete toccato tantissimi punti; io vorrei toccarne, in ordine sparso, alcuni. Soprattutto un tema che riguarda sia la scuola sia in genere la formazione. C’è una parola a cui sono affezionato e c’è un atteggiamento della vita, che ognuno di noi ha avuto e che per a me pare emblematico. La parola è: curiosità. L’atteggiamento è quello del bambino, del ragazzino, che tante volte avremmo avuto o visto nei nostri figli e nipoti che tira la giacchetta ala papà o la gonna alla mamma chiedendo “cosa vuol dire?”. Io credo che il punto centrale della formazione sia quello di suscitare interrogativi, di suscitare domande. Questo, a mio parere, è l’irrigazione “goccia a goccia” che fa germogliare il talento dove vi siano dei segni di talento. Questo, a mio parere, vuol dire, prendendo d’esempio il tema della scuola e riferendomi in particolare all’Università, che è profondamente sbagliato porsi il problema di dover preparare dei profili che diano una risposta alla domanda di lavoro del mercato. La domanda di lavoro del mercato è contingentata e caratterizzata da un’epoca storica e, come detto qui in precedenza, non è affatto detto che questo sarà sempre così. Io mi ricordo che quando ero in Bocconi, ad un certo punto, si volevano far diventare 6 o 7 Corsi di Laurea in finanza; io, come altri colleghi, per fortuna mi opposi, perché avremmo fatto la fortuna di chi fabbrica scatoloni di cartone per imballare tutti i resti dei numerosi licenziati che ci sarebbero stati se si fossero buttati nella finanza in questa misura. Questo è un atteggiamento sbagliato perché la funzione dell’Università è sì quella di preparare a quel che c’è, ma soprattutto quella di dare quella flessibilità in modo da rispondere a nuove esigenze; anzi, dalla capacità di porre nuove domande di lavoro. Questo direi un primo blocco fondamentale. È vero, la scuola italiano e fino ad un certo punto è ottima. Io ho una figlia che attualmente è Professore universitario di Medicina e Primario di Medicina in malattie infettive – tema tanto di moda ultimamente – che appena laureata è andata a specializzarsi negli Stati Uniti dove fu immediatamente messa alla guida di una piccola squadra perché aveva una preparazione superiore. Questa però si perde nel “dopo laurea” nostro, in cui ci sono buchi ed incertezze, mentre in altri paesi è questa la fase in cui si investe prepotentemente ed in grande misura. Senza contare quello che poi avete detto in precedenza e che in famiglia abbiamo sperimentato in prima persona: solo l’amore per la famiglia ha dissuaso mia figlia da accettare proposte ricevute dagli Stati Uniti, Svezia o altri paesi. Certo, si è trovata a dover dormire, quando faceva la notte, in un lettino di guardia a cui mancava una zampa, quindi tutto storto, e che nessuno riparava perché nessuno sapeva chi dovesse poi pagare la spesa, prendendo per il servizio notturno su 120 pazienti 80 € lorde a turno, ovvero, neanche 10€ lordi per ogni ora di lavoro, che è una cosa questa davvero scandalosa. Altro problema è la dignità sociale e la retribuzione di chi svolge attività di insegnamento. L’insegnamento di un maestro elementare è socialmente incomparabilmente più alto: richiede un talento enormemente superiore rispetto a chi, seppur aggiornandosi, lavora in un istituto bancario o finanziario perché ha la responsabilità proprio di allevare i talenti. Quindi veramente questo strutturale – cioè filiera, scuola, metodo di insegnamento, prospettive che si danno, personale della scuola – è un blocco fondamentale nel problema “classe dirigente/capitale umano”. Altro tema che è stato affrontato all’inizio è stato quello dei fallimenti. Io volevo, da buon giurista, ricordare una cosa: il 22 luglio di quest’anno è entrata in vigore la nuova legge che non si chiama più “fallimento” ma si chiama “Codice della Crisi di Impresa” e il motivo dominante della legislazione di tutti i paesi più avanzati è quella di salvare l’attività di impresa con tutte le correzioni e interventi necessari, non cancellarle e distruggerle e questo vale anche per le persone e per i mestieri. Aziende che possono essere andate male per fattori esogeni di rischio così come per le incapacità di un dirigente, per le quali è necessario però il tentativo di ristrutturare, ripercorrere mentalmente cosa si è fatto e il perché, e di non dividere il mondo in “dannati e salvati” una volta per tutte, è un atteggiamento fondamentale. E qui mi aggancio per farvi una confessione: io per un certo periodo sono stato abbastanza perplesso riguardo una eccessiva esaltazione del merito e questo perché, come dicevo pocanzi, il mondo non deve essere diviso tra “salvati e dannati”; bisogna che nessuno prevalga per vie traverse e raccomandazioni, ma che ciascuno possa dare il massimo secondo le proprie possibilità e con il massimo del coinvolgimento e che se poi alla fine di tutto ciò, non è il numero uno, ma il numero tre o quattro, vale quello che vale per le olimpiadi, ovvero: “è già un onore aver partecipato ed essere stato parte di questo pool. Io credo che le teorie moderne del merito siano queste: non lo spazio a chi taglia il filo di lana per primo ma lo spazio a chi prevale con le sue forze e a chi fa prevalere gli altri con le proprie forze. E poi c’è stato un elemento decisivo: ho approfondito gli studi ed ho cominciato a leggere, ma è inutile che li citi qui, i famosi scritti di coloro che hanno scritto contro il merito ed ho scoperto che gli scrittori contro il merito sono, né più né meno, i profeti del populismo e nel populismo c’è che chiunque può essere maestro anche se non è maestro di nulla. Lo so, solitamente viene portato d’esempio che nel ’45 avevamo Ministri delle Finanze che avevano fatto la 5° elementare o la terza media, alludendo probabilmente forse a Scoccimarro che passò 15 anni in esilio in galera studiando tutti i libri di economia classica e sviluppando una cultura formidabile. Quindi, merito inteso in questo senso, ovvero come cura del talento, è qualcosa che anche chi come era partito da un atteggiamento scettico, non può non abbracciare questa visione. Credo che prima o poi dovremo fare uno sforzo perché quando parliamo di capitale umano se intendiamo la parola “capitale” come risorsa, ricchezza mi va benissimo ma se noi lo intendiamo, sull’onda della teoria economica, come strumento per svolgere una attività, questo mi va meno bene. Come non mi va bene quando nei CDA, ed a me è capitato a lungo, il bravo Amministratore Delegato di turno si alzava e diceva di voler “fare un po’ di efficienza” e questo non voleva dire altro che licenziare persone. A me questo atteggiamento ha sempre dato fastidio, come il gesso che stride sulla lavagna. L’uomo, per l’attività è sempre una risorsa primaria fondamentale che, se ben coltivata, è la chiave di molte cose. Non è un semplice motivo di efficienza che può frenare con la sua presenza altri elementi di avanzata. Così a volo d’uccello arrivo al problema del board: oggi nella compagnie siamo alla fase del 3.0: – che poi ognuno sul giochino del “punto zero” da un po’ i numeri che vuole – siamo partiti da un board indipendente e con un grande potere decisionale, siamo arrivati al monitoring board, ovvero dove l’attività viene svolta dagli amministratori delegati con il consiglio relegato al ruolo di controllore, per poi arrivare al 3.0 in cui il Consiglio ha il compito di guardare al futuro individuando le strategie; non il day-by-day, non solo il controllo di chi fa, ma di individuare strategie di sviluppo. Ecco allora che mi trovo d’accordo con le parole dette prima dalla nostra collega sulla necessità di un board curioso e che abbia una preparazione diversificata, con esperienze diverse perché è qui che c’è la grande sfida e qui c’è anche la sfida di chi dirige i board. Io ho svolto per un certo periodo questo ruolo e so che se c’è un argomento che scatena e fa discutere il board è se io discuto il layout dei locali dove avviene la distribuzione dei prodotti, ovvero i negozi, in cui tutti parlano come quando si parla di medicina o di storia. Quando invece si parla di scelte strategiche il discorso tra chi ci butta una nuvoletta di fumo e chi, viceversa, individua soluzioni si rende molto più evidente. Non c’è dubbio che qui la diversificazione di professionalità risulta fondamentale, non dico di genere che ormai do per scontata, anzi: ho dovuto fare qualche parere, per gioia delle nostre colleghe, in cui c’era il problema che il genere meno rappresentato era il genere maschile in realtà in cui gli statuti parlavano del genere meno rappresentato presupponendo che fosse quello femminile, mentre viceversa era quello maschile.
COSMI: Dove? È possibile un esempio?
MARCHETTI: Purtroppo non posso dirlo.
COSMI: Ma tanto la composizione del CDA è pubblica…
MARCHETTI: Sì lo so ma era legato ad una controversia non posso parlarne.
FARA: Un esempio, se volete, posso farlo io. Qui in Eurispes sono tutte donne…
MARCHETTI: Lei è un bene da tutelare. Questo comunque è il grande problema. Il grande problema è anche nelle società di imparare a diffidare del bravo uomo solo al comando. Io francamente dell’uomo solo al comando, con eccessivi poteri, non assistito da persone che abbiano una capacità di diagnosi ad ampio raggio, diffido perché anche il più bravo uomo al comando, l’abbiamo visto nella storia e in tante imprese, a un certo punto può sbagliare come tutti sbagliano. Ecco perché il bravo uomo al comando deve essere circondato non da “yes man” ma anche da “no man”. Un esempio in tal proposito. Voi ricorderete tutti un mio carissimo amico che fu Ministro dell’Economia e alla Banca Europea, Tommaso Padoa Schioppa, il quale iniziò a lavorare alla Banca d’Italia, quando era governatore Carli. Lui era all’ufficio studi, appena arrivato, e fecero una riunione su come collocare i Titoli di Stato. Lui timidamente alzò la mano e fece una proposta innovativa che però suscito nel gruppo dei presenti un moto di stizza. Il giorno successivo ricevette una chiamata dal Governatore Carli, convinto che questo avrebbe rappresentato la fine della propria esperienza in Banca d’Italia. Il Governatore, invece, lo chiamò perché aveva rivalutato alcuni aspetti della proposta che trovava interessanti e dei quali voleva discutere. Ecco, questo descrive bene l’attitudine del capo azienda di non essere, come nell’esercito di un tempo, caratterizzato da un passaparola che deve andare uniforme dall’alto al basso ma, viceversa, un posto dove si valutano proposte nuove dei propri collaboratori, si chiede ai collaboratori di essere critici, stimolando quella curiosità e quel senso di innovazione necessari. Questo poi ci porta a tanti atteggiamenti pratici Quando avevo studenti all’Università in sede d’esame rifiutavano un 26 dichiarando di voler tornare per un voto più alto ho sempre consigliato loro di accettare il voto, tornare a casa e immergersi in un buon libro di narrativa o un bel film o uno spettacolo teatrale. Meglio avere una cultura differenziata, meglio finire di lavorare alle 18:00 anziché a mezzanotte e dopo leggere dei libri, andare a qualche spettacolo, per l’azienda che il “sedere di pietra” che rimane lì solo fino all’esaurimento delle sue capacità fisiche. Anche questa è una metodologia che credo che il bravo leader debba avere per far sì che sia fucina di classe dirigente. Chiudo sottolineando che il problema della classe dirigente è un problema che scontiamo tutti i giorni. Io non voglio debordare nella politica, ma questo è il tema di oggi. Quando di fronte al Presidente del Consiglio con un interessantissimo curriculum l’interrogativo che tutti si pongono è “ha una classe dirigente a fianco a sé adeguata a questo peso?”; quesito posto oggi come qualche anno fa e che dimostra come questo sia un punto centrale. Punto centrale che avete messo in luce molto bene nell’illustrazione delle varie casistiche e che passa attraverso momenti che risalgono, vanno nella scuola, vanno nei comportamenti privati, vanno nella cultura in senso anglosassone, ovvero nelle abitudini di vivere. Questa è, a mio parere, la bellezza del tema del capitale umano e dello sviluppo dei talenti, che non è qualcosa legato al corso di perfezionamento in più o in meno, ma è qualcosa che coinvolge l’essere uomo, l’essere donna, il come vivere, il come relazionarsi con tutti gli altri a tutto campo. Scusate forse sono stato un po’ troppo lungo.
COSMI: Passo a Massimiliano Cannata con le dicotomie che dicevamo.
CANNATA: Ringrazio Benedetta, il Presidente Fara per queste occasioni di confronto sempre bellissime. Sai che sono un comunicatore, ho una formazione filosofica e sono stato ad ascoltarvi con grande interesse. Il mio incarico di oggi è anche quello di prendere nota perché da un seminario di confronto come questo sono emerse e stanno emergendo tantissimi spunti molto stimolanti. Per questo incontro avevo messo insieme alcuni appunti che volevo confrontare e volevo sottoporvi. Tutta la scaletta, se una scaletta può esistere è andata a soqquadro ascoltando i vostri interventi. Consentimi Benedetta di reagire anche ad un paio di sollecitazioni che sono pervenute dai vari interlocutori di oggi. Ascoltando Marchetti mi veniva in mente l’insegnamento – ci accomuna con il Presidente Fara questa attenzione per il tipo di cultura e per quel mondo della cultura – di Padre Sorge. Padre Sorge parlava di una classe dirigente all’altezza e di uomini della sintesi ed è proprio questo il profilo di cui parlava anche prima il dott. Marchetti. Uomini capaci di stare fra il passato e il futuro, capaci di essere vigili nella lettura del presente, non passivi, non ideologicamente schiavi, non riluttanti. Questo spirito critico viene dalla consapevolezza della propria identità ed è un lavoro di costruzione lungo. In questo lavoro di costruzione, è stato detto molto bene in occasione del lancio del lavoro sulla scuola di Eurispes, è fondamentale il problema del tempo della formazione. Noseda parlava di fallimenti. La formazione filosofica mi obbliga a ricordare l’insegnamento di Popper che dovremmo sempre tenere a mente. Cioè la falsificazione è l’anticamera, è il metro della scienza. Atteggiamenti aprioristici, l’idea di avere la verità in tasca e doverla rivelare agli altri è un errore gravissimo che non può fare un educatore e che gli stessi discenti, in un lavoro di metodo come diceva Marchetti, bisogna instradare. Noi abbiamo bisogno di rafforzare questo metodo di apertura, altro aspetto che deve caratterizzare la classe dirigente. Evidentemente questi elementi sono stati un po’ deficitari nel progresso che abbiamo avuto in questi anni, un progresso, diceva bene Noseda, potentemente tecnologico, ma faceva bene Severino a dire che questa volontà di potenza senza una formazione adeguata è pericolosissima perché trasformiamo lo strumento da mezzo in fine. Per questo è l’atteggiamento critico che deve essere ribaltato, per poter arrivare ad una governance della tecnologia, una governance dell’innovazione e della meritocrazia. Si parlava anche del tema dell’identità. Il tema dell’appartenenza ad una azienda oggi è un’appartenenza legata al progetto non alla chiusura identitaria. Questo passaggio di cui parlava Noseda è molto interessante e potrebbe essere anche sviluppato in sede di Rapporto Italia ma anche di rapporto sulla scuola. Dobbiamo andare verso la formazione di identità aperte, come la scuola della complessità ci ha insegnato a capire e ci ha insegnato anche a vedere. Ecco perché il dibattito sulla classe dirigente non può prescindere dall’attualità e ci fa capire com’è difficile leggere non solo il paese Italia, ma l’Europa in questo momento. In questi giorni si parla di Quatargate. Il Quatargate fa vedere come la classe dirigente sia ancora sconvolta dal tarlo della corruzione. Ecco il tema etico: se noi non liberiamo dalla corruttela e dalla corruzione la classe dirigente non avremo una classe dirigente. Questo è un prerequisito essenziale su cui il Presidente Fara ha più volte insistito e non solo durante la presentazione del Rapporto Italia di quest’anno, ma anche in quella dell’anno scorso. Vorrei ricordare citando letteralmente quello che il Presidente ha detto «Siamo affetti dalla sindrome del rifiuto per tutto ciò che richiama la qualità, un fenomeno singolare che viene da lontano ma che oggi ha assunto i contorni della deriva strutturale». Quasi una selezione avversa, non c’è una ricerca della qualità, del talento, del merito, come prima si ricordava, ma quasi una paura della qualità, dell’intelligenza, come se scattasse un meccanismo di chiusura verticistica da parte di chi detiene il potere che lo porta ad avere paura della circolazione e del confronto di nuove intelligenze e quindi della circolazione del sapere. Tutti questi concetti sono fortemente contraddittori rispetto a quello che stiamo cercando di affermare, di dire e di realizzare in un’Italia che vorremmo adeguata e pronta a vincere le sfide della competitività e dell’innovazione. La questione morale è stata sepolta si ricordava proprio oggi sul Corriere della Sera in un articolo di fondo che rifletteva proprio sulla corruzione in Europa. Si vede, purtroppo, che la questione morale è stata messa da parte. Dovrebbe essere, invece, il tema centrale di una realtà che dobbiamo cercare di modificare per guardare con quell’ottimismo che tu Benedetta dicevi è importante quello spirito positivo. Lo spirito positivo, per non essere superficiale ottimismo deve essere costruito sulle idee, su progetti, sul Paese che vogliamo, sull’azienda che vogliamo.
COSMI: Approfittiamo degli ultimi minuti con il notaio. Mi piaceva coinvolgerlo proprio su quest’ultimo passaggio di cui parlavi. Lui ne ha viste molte di Italie di tentativi di Italia che volevamo essere. Intanto in quale ti sei trovato meglio, in quale ti sei trovato più a disagio e in quale fase ci immagini rispetto a che Italia vogliamo essere, partendo dai temi che ti creano maggiore disagio, quindi compresa l’editoria, le aziende, la politica? Anche la stessa Milano, mi viene in mente l’idea di un uomo solo al comando. Gli assessorati non sono probabilmente all’altezza del Sindaco, questa è una provocazione più locale, anche se Milano è un simbolo nazionale. Adesso c’è questa moda di dire che chi guarda a Milano non guarda il resto del Paese, forse si deve guardare il resto del Paese prima perché Milano oggi ci dà la restituzione del fatto che se sta arretrando leggermente ci rimette al passo con gli interrogativi del resto del mondo. Perché quando andava tutto troppo bene nemmeno lo capiva questo gap col resto del mondo, ora invece è il metro per coglierlo. Quando ci possiamo permettere le sfide e quando invece ci permettiamo di frenare.
MARCHETTI: Io a Milano mi trovo bene e credo che sia una città sensibile, che si muove su passi molto più in avanti rispetto ad altre realtà. Credo che ci sia una vivacità notevole, anche se tuttavia, mi sembra che sia più una vivacità del corpo sociale che della classe dirigente politica. Vi faccio un esempio. Ho partecipato ad un dibattito qualche tempo fa su di un libro. C’era una persona che viene e mi presenta un’altra persona, e io chiedo “lei di cosa si occupa?” e questa persona mi risponde “io sono responsabile di del settore di amministrazione finanziaria del Partito Democratico”. Io questi ambienti li frequento e non avevo mai sentito una cosa del genere. Questo vale per l’omologo di altri partiti. Questo mi sembra un fatto abbastanza grave. Un avanzamento della società nelle sue varie articolazioni cui non corrisponde un altrettanto forte avanzamento dei quadri politici della città. Quando mi sono trovato bene e quando mi sono trovato peggio. Questo è difficile da dire perché sono sempre stato in una posizione privilegiata, figlio di professionisti, in un ambiente intellettuale, non ho mai avuto problemi economici scottanti, anche se ho visto tante persone. Devo dire che, in sostanza, i periodi migliori dipendono molto dalle persone che in quei periodi ho incontrato. Con il Prof. Monti ho avuto spesso dei colloqui critici e non ho mai approvato la sua decisione di entrare in politica presentando una sua lista, però per esempio nell’Università Bocconi ho avuto delle sensazioni di esclusione perché avevo certe idee o di critica perché a volte la Bocconi aveva degli atteggiamenti da primi della classe o eccessivamente concorrenziali su questo aspetto. Li ho criticati e mi sono trovato a disagio. Quindi complessivamente devo dire che i periodi in cui il Paese è stato più aperto verso altri, verso l’Europa, verso esperienze intellettuali, momenti in cui ha avuto la fortuna di frequentare persone con aperture e diversificazioni notevoli sono stati i periodi migliori.
COSMI: Quindi che Italia ti aspetti?
MARCHETTI: Mi aspetto un’Italia in cui ci si dovrà molto impegnare e portare avanti le cose che noi diciamo. Vi dico il mio stato d’animo: non ce la faccio ad assistere a discussioni sul Pos e vedere la gente impiccata sulle gru. Non voglio un Paese in cui ci si mobiliti sul Pos e in cui si fa fatica ad urlare no di fronte a queste mostruosità. Non voglio un Paese che vada in questa direzione. Un Paese che dimentichi i grandi scenari, le tragedie, il fatto che tutti siamo nati per vivere al meglio possibile. Non lo vedo facile, per molti motivi non solo politici ma anche connessi ai vari aspetti digitali e di metaversi vari che non vorrei mi riducano ad un essere senza occhi, cervello ecc. Saranno anni di grande impegno, non di riposo.
COSMI: Interessante questo richiamo internazionale e, se vogliamo, è proprio questo il vero significato di capitale umano: capire quali siano le sfide, le ingiustizie, le discriminazioni, l’impossibilità ad essere se stessi. L’Iran ha dato una forte scossa anche al mondo occidentale spingendolo a prendere posizioni a stare al fianco di chi si sta ribellando e a riflettere su come questi anni verranno raccontati in un futuro. Anche le aziende sono sempre più schierate, a partire dalla pubblicità, nel prendere posizioni. E concludiamo con una riflessione sull’aspetto di genere, che va riequilibrato in entrambi i sensi.
STEFINI: Io volevo riprendere una parola che è stata citata prima: coraggio. Una parola importante che si deve esprimere per dare una visione per il futuro che sia veramente propositiva e diventa sostenibile dal punto di vista della capacità di sopravvivere e di avere una valenza e un impatto di significato negli anni. Il coraggio lo vedo come caratteristica fondamentale nelle aziende e nella nostra classe dirigente. Per parlare di inclusione e di genere vorrei tornare a cosa intendiamo per merito: per noi del Forum è un aspetto che parte dall’equità delle condizioni di partenza e dall’inclusione e vuol dire assenza di preclusione. Il merito deve essere un modo per far sì che tutti abbiano la possibilità di emergere. Come questo si manifesta richiede trasparenza nel come vengono fatte le scelte e la capacità di misurarle; il merito deve essere misurato, devono esserci dei criteri, delle regole, delle definizioni che devono rimanere coerenti e trasparenti nel corso del tempo, prima che il giudizio venga emesso. Se ci sono queste condizioni, per forza naturale, i migliori talenti emergono e tra questi probabilmente ci sarebbe un numero di donne maggiore a ricoprire un ruolo attivo rispetto ad ora. Nonostante ci siano diverse donne nei board, anche per via di una legge, abbiamo una presenza femminile ancora molto bassa nel mondo dirigenziale e in molti altri aspetti dell’attività economica. Il merito, quindi, porterebbe un numero maggiore di donne in ruoli attivi e, probabilmente, porterebbe uomini diversi nei ruoli attivi. Non diamo per scontato che la meritocrazia abbia funzionato bene nell’ambito maschile e abbia escluso le donne. C’è stato un problema, negli anni, per tradizione, perché è naturale scegliere sempre chi ci assomiglia ed essere spaventati da chi è diverso e potrebbe portare disordine nel processo decisionale e questo può aver escluso le donne ma sicuramente anche uomini coraggiosi e visionari. La battaglia numero uno è per una inclusione e una trasparenza nel come vengono prese le decisioni, come vengono scelte le persone e nel dare la possibilità di avere alternative. Sono d’accordo sul fatto che il merito non debba tradursi come “premiamo i migliori ed escludiamo gli altri”; ognuno deve trovare il suo spazio. Si tratta di cercare di posizionare tutti nel posto giusto, sulla base del come riescono ad esprimere al meglio i propri talenti nel contesto in cui si trovano, aiutando a capire come utilizzarli nel modo migliore. Io auspico coraggio e maggiore visione di lungo periodo per questo 2023, che sicuramente vedo molto complicato – con crisi civili, umanitarie, economiche e sociali.
COSMI: Chiudiamo con Massimiliano, che ci aiuta a tirare un po’ le somme rispetto sia al tuo intervento precedente sia alle ultime cose emerse.
CANNATA: Tirare le somme è sempre un compito arduo. Riassumo alcuni aspetti sia in termini di categoria – poli che si contrappongono, dicotomie – sia in termini di parole chiave. Intanto, alcune parole sono “competenza”, “buon governo”, “trasparenza”, “qualità delle élite”, “merito”, “partecipazione democratica”. Sono tutti concetti interrelati che se noi separassimo come facessero parte di compartimenti stagni naturalmente sbaglieremmo ed è quello che abbiamo sbagliato e continuiamo a sbagliare in questa fase difficile. “Meglio significa trasparenza” si diceva prima, proprio quella trasparenza che sta mancando ed è mancata in questo nuovo grande polverone che sta travolgendo la classe dirigente in Europa. Questo aspetto gravissimo ha una conseguenza soprattutto morale oltre che economica, perché noi stiamo tradendo la grande visione che hanno avuto i padri dell’Europa, e ci troviamo di fronte, ancora una volta, a questa profonda contraddizione del sogno europeo tra gli slogan da campagna elettorale e la realtà effettuale – come avrebbe detto Machiavelli – che è fatta di ben altre cose. Nell’elaborazione degli studi che faremo dovremo tenere a mente la forte interrelazione che esiste tra questi aspetti e interrogarci sempre su cosa bisogna fare per essere veramente uomini. Quando noi tradiamo questa domanda etica fondamentale non rispondiamo ai nostri doveri e compiti professionali, in qualunque ambito questi vadano espletati: azienda, scuola, impresa, perché sono tutti ambienti che peraltro si tengono. Lo stesso dibattito di oggi è una dicotomia in sé, perché “classe dirigente” e “capitale umano” sono due concetti diversi. Noi dobbiamo presupporre un movimento ascensionale di un capitale umano che riusciamo ad elevare a classe dirigente; per questo ci vuole investimento, ci vuole formazione rigorosa, ci vuole apertura mentale, ci vuole rispetto delle competenze, capacità di premiare il talento senza creare quella dicotomia enunciata dal Presidente della Fondazione Corriere della Sera che diventerebbe “salvati/dannati”. Quindi tornando al tema delle élite: sicuramente vanno inserite nel rapporto “conservazione/cambiamento”, perché un grande problema della nostra classe dirigente è quello di restare “arroccata”, di no guardare avanti e questo capita sia nel campo delle classi dirigenti politche che in quelle manageriali. Poca innovazione, poche start-up, abbiamo importantissime eccellenze, ma che sappiamo sempre essere punteggiate, isolate; realtà piccole che faticano a fare sistema e soprattutto il sistema, non è un sistema innovativo perché tendenzialmente è un sistema conservatore. L’ha detto molto Bauman nel suo saggio Retrotopia, questo guardare indietro ma senza la capacità di saper guardare avanti. È un ossimoro fortissimo, ma interessante, perché l’utopia che si condisce di retrotopia è un’utopia negativa, è una strana utopia che non ci incoraggia, che non ci ispira un sogno positivo, ma che ci fa fermare sulle nostre posizioni. Altra dicotomia è quella di “Presenza/Assenza”, perché noi abbiamo avuto, ad esempio, con l’incendio di Tangentopoli, l’illusione che si potesse decapitare una classe dirigente e abbiamo immaginato che se ne potesse costruire un’altra. Ma, senza un presupposto costruttivo e senza una pars destruens veramente illuminata ci siamo trovati di fronte al vuoto. Questo vuoto è stato poi colmato col populismo, come si diceva prima, che è stato colmato da una non-politca, che nelle aziende spesso è colmato dall’assenza di capacità di governo dell’impresa. L’impresa, oggi, in questo doppio ambito, che è quello delle istituzioni e delle imprese che sono attori naturalmente fondamentali e che danno una fotografia di un paese democratico e di pun paese civile. Nel campo dell’impresa ha scritto molto bene Dioguardi, grande conoscitore di innovazione e professore emerito dell’Università della Calabria, che diceva che l’impresa oggi è un’enciclopedia, è fatta da un capitale multietnico, un capitale che parla lingue diverse, un capitale umano che ha formazioni trasversali. Dobbiamo essere in grado di non solo rispettare queste differenze, ma di farle diventare classe dirigente, quindi farli diventare management e quindi parte direttiva e anche in questo caso c’è un processo. quindi la riflessione diventa tripolare: “classe dirigente”, “capitale umano”, “merito”. Termine ambivalente, analizzato molto bene dal Forum della Meritocrazia, che ha anche ospitato un interessante intervento di Marco Santambrogio che ha scritto un saggio sul “mal di merito”, proprio perché dentro questo termine c’è un’ambiguità di fondo e questo ci aiuta ad introdurre un’altra dicotomia: “Arretratezza/Modernità”. Se siamo schiacciati sul presente, come ha sottolineato molto bene in un saggio di qualche anno fa Giuseppe De Rita, che qualcosa della società italiana conosce tutto sommato, non sapremo interpretare questa categoria complessa della modernità e non sapremo neanche leggerla nei termini giusti rimanendo impossibilitati a rispondere alle domande di fondo. Domande di fondo che in questa discussione sono emerse e stanno già emergendo nell’elaborazione del Rapporto Eurispes sulla scuola. Una prima domanda è quella sulla ricostruzione del sistema educativo. Se non ripensiamo il sistema educativo quale classe dirigente andremmo a costruire? Se a 100 anni dalla riforma Gentile, che ha comunque formato quella classe dirigente che ha determinato la scelta determinante dell’Italia per l’occidente – in quel momento una scelta decisiva – e quindi poi ha formato quella classe dirigente, che ha permesso al paese di diventare da contadino a industriale. Quindi un grande passo epocale. Siamo capaci a cento anni da quella esperienza di ripensare il sistema scolastico adeguato? E quando guardiamo indietro, perché lo facciamo solo con spirito di erudizione ma senza riuscire a cogliere i segni interessanti che la storia dissemina e che ci ha dato, in un paese come il nostro che è stato capace di “fare il salto” nei momenti critici. L’aspetto etico dove lo collochiamo in questa riflessione? Perché lo vediamo ancora determinante nell’attualità.
Altra categoria da introdurre: “unità/molteplicità”. Se noi guardiamo alla classe dirigente come una categoria di unità, quindi in una visione monistica, avremmo una classe dirigente verticistica, asfittica, che non dà agli altri la possibilità di introdursi; diventa autocrazia, come ha riflettuto in maniera interessante il Presidente della Camera Luciano Violante, in una recente discussione ed anche in un saggio molto interessante Insegna Creonte, da poco pubblicato da Il Mulino. Noi ci accorgiamo che se questo movimento della selezione delle élite diventa escludente e chiuso, diventa autocrazia e schiaccia la partecipazione democratica, dando neanche la possibilità ai giovani di inserirsi; quindi parliamo dei giovani ma poi non li vogliamo nella stanza dei bottoni. Altra domanda è quali saranno i luoghi del confronto; se le agenzie di senso sono in crisi, i luoghi del confronto che fanno crescere, che fanno maturare il corpo collettivo – corpo collettivo così sofferente, slabbrato, in difficoltà come già appare oggi – dove si potrà trovare un momento di confronto? Nella agorà elettronica, può avere un momento di confronto. Noi stessi, oggi, stiamo parlando attraverso un mezzo straordinario, siamo distanti ma stiamo facendo agorà, stiamo facendo comunità. Ma non ci può essere solo questa comunità per rispondere alle grandi esigenze della generazione Z che è affamata di cose. È bellissima l’immagine del bambino che tira la giacca, per capire, con la curiosità di andare oltre. Se riuscissimo a soddisfare quella curiosità rispettando l’alterità, in quella “immanenza satura” – per dirla come la filosofa Donatella Di Cesari- che schiaccia l’alterità e la diversità e ci fa essere sicuri di noi stessi. Non è questa l’educazione che vogliamo e si indagherà sul Rapporto sulla scuola sul perché non si fa strada questo. Dipende dalla formazione degli insegnanti? Dipende da un Ministero che risulta vecchio in sé e che sarebbe da ripensare? Perché ci fermiamo all’etichetta e non andiamo alla sostanza? Abbiamo fatto un dibattito sulla dizione del nuovo Ministero: Istruzione e Merito. Il problema non è appiccicare in quel momento un’etichetta al Ministero. Il problema è capire come questi concetti possano liberarsi dall’ideologia per, superando gli schieramenti, diventare un elemento di discussione e di crescita. In questa contrapposizione, perché introdurre, dicevo, spazio e tempo. Perché il tempo della educazione e della crescita di una intera classe dirigente è un tempo lungo, non è il tempo immediato della rete. Non è quella istantaneità che sembra potersi risolvere in un click. A questo dobbiamo rassegnarci anche noi genitori quando non riusciamo a stare dietro ai figli ci accorgiamo che la crescita è un processo incredibile che non può essere accorciato. Neanche la democrazia può essere accorciata in una democrazia delle scorciatoie. La democrazia è un gesto complesso, è stata una fatica del pensiero di persone che si sono battute per questo. A volte ce lo dimentichiamo e pensiamo che l’educazione possa avere un tempo istantaneo. Quindi la categoria del tempo è fondamentale e quella dello spazio anche, perché bisogna creare un ambiente, un ecosistema per imparare, per innovare e sperimentare. Se questo è uno spazio chiuso e asfittico avremo una classe dirigente verticistica, avremo un’autocrazia alla lunga, non un’autocrazia, avremo scuole chiuse e non aperte, avremo un merito inteso male. Sappiamo dai dati che l’ascensore sociale è bloccato ormai da tempo e oggi ci accorgiamo e questo è un aspetto drammatico che prima il figlio dell’artigiano diventava anche magistrato o notaio o anche Presidente della Corte dei Conti. Questo cursus honorum fantastico dovuto soprattutto alle doti dell’intelligenza oggi è quasi impossibile. Non essendoci quella parità nelle condizioni di partenza è difficile poi che ci possa essere un salto di qualità. Quindi bisogna rivedere il sistema educativo anche come diritto allo studio, come grande aspetto di attuazione del principio di uguaglianza che è scritto in Costituzione. Come vedi le dicotomie aumentano, perché c’è anche quella di libertà/uguaglianza, dicotomia sulla quale ha fatto lezioni magistrali Norberto Bobbio su questo aspetto perché queste categorie non diventano di destra o di sinistra ma perché siano affrontate con la giusta obiettività è giusto dare pari condizioni di partenza e giusta gratificazione ai talenti che veramente lo meritano in una circolazione delle intelligenze. Allora si fa strada quell’Italia, quella buona società che è stato il tema di fondo dell’ultimo Rapporto Italia dell’Eurispes. La buona società è quella che abbiamo visto anche oggi pomeriggio, l’ossigeno dell’intelligenza. L’intelligenza è l’ossigeno della democrazia, lo spirito della democrazia se la facciamo veramente esprimere, perché si intravede un pezzo di Paese che vorremmo. E non è solo un problema italiano perché il problema con le classi dirigenti dell’Europa. Il problema per esempio della presenza delle donne: la migliore performance migliore è degli Stati Uniti che fanno il 20% delle donne nelle aree manageriali e nelle posizioni di potere; il 12% lo fanno i paesi europei.
COSMI: E tra l’altro l’America non ha ancora avuto la Presidente donna.
CANNATA: Esatto. Questi sono temi che devono farci riflettere quando anche sul tema delle classi dirigenti europee si riflette su questo aspetto. Gran Bretagna, Germania e Francia che potrebbero avere le carte in regola per farsi classe dirigente sono viziate da due virus particolari: la classe dirigente francese tendenzialmente è molto nazionalista, cozza con l’idea di un’Europa aperta al dialogo e di Stati che possono avere la pari dignità; quella tedesca è molto mercantile, lo si vede anche dai rapporti commerciali in cui democrazia e business non sono esattamente la stessa cosa. Quindi abbiamo classi dirigenti in fondo impreparate, drammaticamente impreparate anche a livello europeo, non solo nel nostro sistema-paese. Il Forum della Meritocrazia ha evidenziato le categorie del merito in: libertà, trasparenza, regole, qualità del sistema educativo, attrattività dei talenti, pari opportunità, mobilità sociale. Siamo da molti anni, credo nel 2015 viene fatta questa rivelazione, sempre agli ultimi posti, a 9 punti dalla Polonia, ma a 45 dai paesi scandinavi. Se quindi allarghiamo lo sguardo al rapporto global/local vediamo che le classi dirigenti sono affette da virus comuni che magari noi abbiamo in maniera ancora più elevata ma che ci sono anche altrove. Per trovare una dimensione di ottimismo bisogna effettivamente costruire un paese su basi nuove che non devono negare il passato: essere stati è la condizione per essere. Bisogna ridare vera centralità alla classe dirigente e alla scuola, bisogna stimolare le imprese ad assumere atteggiamenti rispettosi dell’ecosistema, quindi lungimiranti, e soprattutto rispettosi dei territori, perché l’impresa è comunità di un territorio, crescita, spesso anche dignità. Quello che hanno rappresentato i grandi imprenditori del passato, Olivetti per esempio nell’area di Ivrea, ma lo stesso Ferrero che ha ridistribuito il reddito in Piemonte, sono esempi virtuosi che fanno capire come si fa con la ricchezza comunità, non si fa privilegio, non si fa opacità. Lavoro su questo terreno ce n’è tanto, e le migliori intelligenze devono essere chiamate a confrontarsi su questo. L’Eurispes lo fa, lo ha sempre fatto e lo continuerà a fare. Michel de Montaigne affermava «Meglio una testa ben fatta che una testa ben piena». Costruire intelligenze, non erudizione che appesantisce ma libera possibilità di creare rispondendo alle vocazioni, come si diceva prima. Allora avremmo anche quella misura di tempo libero che è salutare. Avremmo solo così un’impresa illuminata in un mondo che ha veramente una scuola innovativa. Questa è la sintesi che dobbiamo cercare. Forse mi sono dilungato, ma era questo il messaggio che volevo dare anche avendo preso molti appunti mentre voi parlavate.
COSMI: Grazie Massimiliano, ci hai aiutato a mettere insieme i vari aspetti di molti passaggi stimolanti. Tornando alla scuola, a Silvia, mi veniva in mente che probabilmente avremo altri insegnanti, altri uomini, altri presidi. Ora effettivamente c’è un’invasione di presidi donne, quindi probabilmente stiamo creando un eccesso lì che sta condizionando di conseguenza anche il mondo del lavoro, perché vanno a lavorare troppe donne nella scuola e non altrove e viceversa troppi pochi uomini lavorano nella scuola. Che cosa sta cambiando, che tipo di stimolo manca? Questo è un tema di cui avevo già scritto, forse una battaglia altrettanto forte sul genere maschile nella scuola va fatta, perché sta assumendo proporzioni sbilanciate che possono non far bene alla società della formazione, alla società del capitale umano.
STEFINI: Sono d’accordo su questo punto. Infatti è proprio il tema dell’avere delle posizioni bilanciate in tutte le professioni devono emergere le persone che sono più portate per una serie di aspetti che possono essere quelli valoriali, quelli delle competenze e quelli che sono più adatti per un certo tipo di posizione. Questo non sempre avviene. Quindi se si riesce ad essere assolutamente trasparenti e rigorosi su questi criteri sicuramente si avrebbe un ribilanciamento più proporzionale tra uomini e donne in ogni professione. Ci sono molti talenti maschili che non guardano più alla scuola come opportunità professionale perché magari mancano altri aspetti, quindi questo è un campanello d’allarme. Il bilanciamento di genere è proprio questo secondo me.
COSMI: Perfetto. Presidente, grazie ancora.
FARA: Grazie a voi, è stato un pomeriggio interessantissimo. Come avrete visto mi sono assentato solo per qualche minuto, ho seguito tutti gli interventi con grandissimo interesse e partecipazione. Sono state dette cose estremamente interessanti e diciamo che in qualche maniera avete delineato la linea del prossimo Rapporto Italia. Vedrete quando sarà pubblicato come i vostri suggerimenti, le vostre riflessioni sono state raccolte e valorizzate. Vi ringrazio per la partecipazione. Un grazie particolare a Benedetta per l’impegno che mette in questo progetto. Grazie a tutti e buona giornata.
COSMI: Grazie di aver accettato l’invito e di aver animato così il Laboratorio e speriamo di cambiare il Paese nella direzione della meritocrazia.