Atti della presentazione dell’Osservatorio Permanente sulle Politiche Educative dell’Eurispes
Atti della presentazione dell’Osservatorio
Permanente sulle Politiche Educative dell’Eurispes
Giovedì 24 febbraio 2022 alle ore 9,30 è stato presentato, in modalità webinar, l’Osservatorio Permanente sulle Politiche Educative dell’Eurispes. Il nuovo Osservatorio dell’Eurispes è nato con l’obiettivo di porre il tema dell’educazione al centro del dibattito pubblico e culturale del nostro Paese e, attraverso l’incontro di esperti e studiosi provenienti da diversi àmbiti, diventare uno strumento di analisi e ricerca, in grado di assistere le realtà pubbliche e sensibilizzare la pubblica opinione anche sugli interventi strutturali che il PNRR prevede nel centrale settore dell’istruzione. I lavori sono stati introdotti dal Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara e da Direttore dell’Osservatorio Mario Caligiuri, dell’Università della Calabria. Sono seguite ai saluti di apertura le relazioni del Presidente dell’ANVUR, Antonio Uricchio, del Presidente dell’INDIRE, Luigina Mortari e del Presidente dell’INVALSI, Roberto Ricci. Si sono in seguito svolti gli interventi dei componenti del Comitato Scientifico dell’Osservatorio: Elena Ugolini, già Sottosegretario alla Pubblica Istruzione, Alberto Felice De Toni, Presidente della Fondazione della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, Benedetta Cosmi, giornalista e scrittrice, Gerolamo Balata, Direttore sede Eurispes per la Regione Sardegna, Paolo Benanti, Pontificia Università Gregoriana di Roma, Paolo Calabresi, Presidente della Società Italiana di Neuroscienze, Giovanni Cannata, Magnifico Rettore Universitas Mercatorum, Nunzia Ciardi, Vice Direttore dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, Salvatore Cuzzocrea, Rettore dell’Università di Messina e Vicepresidente Crui, Liliana Dozza, Presidente della Società Italiana di Ricerca Educativa e Formativa, Maurizio Fabbri, Presidente della Società Italiana di Pedagogia Generale e Sociale, Carlo Chiattelli, Associate Partner People Advisory Services di Ernst Young, Luigi Fiorentino, Capo di Gabinetto Ministero dell’Istruzione, Franco Gallo, Presidente Istituto Treccani, Maria Amata Garito, Membro permanente del Club of The Rectors of Europe, Antonello Giannelli, Presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, Francesco Grillo, Director think tank “Vision”, Giovanni Lo Storto, Direttore Generale Università Luiss di Roma, Pietro Lucisano, Presidente della Società Italiana di Ricerca Didattica, Mario Mariani, AD Pearson Europa, Alberto Mattiacci Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso la “Sapienza” Università di Roma e Presidente Comitato Scientifico dell’Eurispes, Domenico Simeone, Presidente della Conferenza Universitaria Nazionale di Scienze della Formazione, Pier Giuseppe Rossi, già Presidente Società Italiana di Ricerca sull’Educazione Mediale, Marco Rossi Doria, Sottosegretario all’Istruzione dal 2011 al 2014 e Presidente Associazioni “Con i bambini”, Rosy Russo, Presidente Associazione “Parole Ostili”, Arianna Saulini, Advocacy Manager per Save the Children Italia, Carla Xodo, già Presidente del Centro Italiano di Ricerca Pedagogica.
A seguire gli atti del webinar. Disponibili anche in inglese.
Mario CALIGIURI: Buona giornata, diamo inizio alla presentazione dell’Osservatorio sulle Politiche Educative dell’Eurispes con i saluti inaugurali del Presidente dell’Istituto, Professor Gian Maria Fara.
Gian Maria FARA: Quando si parla della necessità e dell’urgenza di riqualificare i percorsi del nostro sistema di istruzione e di formazione, bisogna riflettere su alcuni dati che da soli lasciano intuire il ritardo con il quale affrontiamo il problema. Nelle pagine del Rapporto Italia 1999 segnalavamo che in Italia veniva destinato all’istruzione solo il 5,5% del Pil e alla ricerca appena lo 0,7%. E mettevamo in dubbio che un Paese avanzato come il nostro potesse progredire investendo così poche risorse in questo àmbito fondamentale. Dobbiamo purtroppo rilevare che, in più di vent’anni, non sono stati fatti grandi passi in avanti in questo senso, anzi, oggi l’Italia spende ancora meno per l’istruzione: il 4% circa del Pil. E l’investimento in ricerca arriva a sfiorare lo 0,5%. Il nuovo Osservatorio dell’Eurispes ha l’obiettivo primario di porre il tema dell’educazione al centro del dibattito pubblico e culturale del nostro Paese. L’incontro tra gli studiosi e gli esperti che animeranno l’Osservatorio sarà l’occasione per presentare alla comunità uno strumento di analisi e di ricerca che possa assistere le realtà pubbliche e sensibilizzare la pubblica opinione anche sugli interventi strutturali che il PNRR prevede nel centrale settore dell’istruzione, assoluta priorità per l’Italia. Vorrei ringraziare il Direttore dell’Osservatorio, Mario Caligiuri, il Presidente dell’ANVUR, Antonio Uricchio, il Presidente dell’INDIRE, Luigina Mortari, il Presidente dell’INVALSI, Roberto Ricci, i Vice Direttori dell’Osservatorio, Elena Ugolini, già Sottosegretario alla Pubblica Istruzione, e Alberto Felice De Toni, Presidente della Fondazione della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane e, infine, Benedetta Cosmi, Segretario del Comitato dell’Osservatorio. Il nostro sistema formativo in generale non è allineato a quello dei paesi forti del G20. Soffriamo un grave ritardo sulla alfabetizzazione informatica, non conosciamo le lingue straniere, continua a persistere un gap tra ragazzi e ragazze: queste ultime sono capaci di migliori performace dal punto di vista dei risultati scolastici ma poi, quando entrano nel mondo del lavoro, guadagnano meno dei loro colleghi. E a questo proposito, il divario tra il tasso di occupazione femminile e quello maschile in Italia continua ad essere tra i più alti in Europa. Tutto questo nuoce molto ai nostri giovani e quindi alle prospettive future del Paese. Dal punto di vista dell’educazione alle tecnologie, per primi in Italia come Eurispes abbiamo accolto e diffuso l’idea della necessità della Media Literacy come strumento di conoscenza e formazione ma anche come stimolo alla partecipazione attiva e consapevole dei cittadini alla vita pubblica. Per un individuo, possedere un’alfabetizzazione mediale significa acquisire la capacità di accedere al mondo dei media, cioè di saper comprendere e valutare criticamente le strategie, i meccanismi di funzionamento ed i contenuti dei messaggi, nonché di diventare, egli stesso, un protagonista della comunicazione attiva. Con tali capacità, un individuo si pone nelle migliori condizioni per cogliere le tante opportunità offerte dalla società dei media. Al contrario, senza di esse, è destinato a subire un grave pregiudizio a danno del proprio percorso formativo, culturale, lavorativo e professionale. Vi è poi la questione del rapporto tra processo educativo e mondo della formazione professionale. Gli scenari realistici dell’occupazione descrivono un mercato del lavoro assai mutato rispetto al passato: sono richieste nuove figure professionali, nuove competenze tecnico-pratiche, una diversa visione dello stesso reticolo occupazionale. È evidente, al tempo stesso, che le tradizionali agenzie pedagogico-formative, la Scuola e Università prima di tutte, stentano a reggere il confronto con le mutate esigenze del mondo del lavoro reale, calato in un sistema sempre più virtuale poiché legato a doppio filo con le innovazioni tecnologiche e della comunicazione. Se ciò è vero, appare chiaro che nuove impostazioni didattiche dovranno sempre più essere affiancate – nel conseguimento dell’obiettivo comune – all’azione formativa svolta dai tradizionali centri di erogazione del sapere. C’è necessità di formare nuovi specialisti di lavori del quaternario avanzato. C’è necessità di formare i formatori. La scuola e l’Università sembrano aver recepito l’urgenza di modellare nuovi percorsi curriculari: molto però resta ancora da fare. Anche il mondo del privato deve fare la propria parte con maggiore convinzione; e maggiore convinzione significa anche destinare più energie e risorse all’aggiornamento e alla formazione. Sono infatti le leggi della competizione e del successo dell’impresa – unitamente alle sfide imposte dalla globalizzazione del mercato – ad esigere drastiche correzioni di rotta che impongono alle agenzie didattiche l’uso di modelli educativi al passo con i tempi. Nei prossimi anni, il mercato del lavoro si indirizzerà sempre di più verso la sostenibilità ambientale e sociale, l’efficientamento energetico, l’ecosostenibilità, il digitale. Più del 50% dell’offerta di lavoro riguarderà questi settori e queste professioni. Si tratta di una tendenza che non è legata solo alle opportunità offerte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ma anche, e soprattutto, a quei comparti produttivi che hanno l’esigenza di ammodernare e rendere ancora più competitive, nel più breve tempo possibile, le proprie strutture e i propri asset. A ciò si aggiunga che tra i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile individuati nell’Agenda 2030, il quarto è dedicato proprio alle politiche educative con l’ambizioso obiettivo di “fornire un’istruzione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”. Le scuole e gli atenei ma anche le realtà pubbliche e private devono tenere conto della nuova frontiera dell’occupazione, avviando progetti di collaborazione e di formazione in grado di garantire nuovi livelli di occupazione nei territori e, di conseguenza, progresso per l’intero Sistema-Paese. Tutto ciò tenendo sempre presente quali sono le sfide del futuro: la transizione ecologica e una nuova digitalizzazione. Si tratta di una vera e propria rivoluzione del mondo del lavoro che si sviluppa velocemente accanto ai mestieri e alle professioni tradizionali che, comunque, subiscono e continueranno a subire modifiche e trasformazioni. Insomma: sapere, ma anche saper fare. Non è più possibile immaginare l’educazione, l’istruzione e la formazione in termini disgiunti rispetto ad un mondo del lavoro che è già cambiato.
Nunzia CIARDI: Buongiorno a tutti e ringrazio questo comitato per l’invito, ringrazio il Presidente Fara, il Professor Caligiuri e sono molto contenta di questo invito e di questa iniziativa. Credo che il fattore educativo oggi abbia un’importanza fondamentale proprio per i grandi cambiamenti che la nostra società si trova a vivere. Il mio spaccato è particolare, il mio angolo prospettico è sulla società digitale e io sia nella mia precedente veste di Direttore della Polizia Postale che adesso di Vicedirettore dell’Agenzia per la Cybersicurezza vedo e mi trovo a constatare ogni giorno quanto il fattore educativo in questa società sia assolutamente fondamentale. Tra le missioni fondamentali dell’Agenzia, per esempio, c’è proprio quella a cui alludeva il Professore all’inizio, formare una forza lavoro tra i giovani qualificata. Nel nostro Paese, ma direi in tutto il mondo, fatichiamo a trovare professionalità qualificate per lavorare in questo mondo. La nostra scuola, le nostre Università non sono ancora allineate a formare professionalità di questo tipo. Occorre un impegno grandissimo, così come occorre un impegno grandissimo a far sì che i giovani sappiano vivere questa società. Dal mio vecchio lavoro mi porto l’esperienza dolorosa in cui negli ultimi anni abbiamo visto aumentare a dismisura i numeri che vedono i minori vittime di reati cyber e i minori colpevoli di reati cyber. Tutto questo è ascrivibile in primo luogo alla carenza di un fattore educativo, a una sensibilizzazione di fondo della società giovanile su certi temi, e quindi ritengo più che mai importante una riflessione generale su temi che riguarderanno il futuro di tutta la società. Non voglio trattenervi oltre, so che sono tanti gli ospiti, solo un saluto e ringrazio tutti.
Gian Maria FARA: Vorrei salutare la Dottoressa Ciardi che ci segue sempre con grande attenzione, ma vedo collegato Gerolamo Balata che è il nostro Direttore della sede Regionale Sarda, che proprio nei giorni scorsi ha presentato una importante indagine che ha avuto una forte eco di stampa sul cyberbullismo e quindi tema assolutamente legato a quello del quale discutiamo oggi che investe evidentemente i comportamenti dei nostri giovani. Volevo segnalare questa cosa, perché l’indagine è molto bella e naturalmente è a disposizione tutti coloro che volessero una copia.
Mario CALIGIURI: I dati del sistema educativo nazionale sono da anni davanti agli occhi di tutti. Nelle classifiche internazionali, gli atenei italiani affannano e nelle prestazioni scolastiche ricopriamo gli ultimi posti delle graduatorie, evidenziando peraltro un abisso tra Nord e Sud, che non si è colmato neanche nei 160 anni di storia unitaria. Non possono esserci evidenze più chiare per dimostrare che la strada che stiamo percorrendo probabilmente non sia quella giusta. Non occorrono interventi di dettaglio ma politiche strutturali che richiedono tempo, distinguendo le sfide contingenti da quelle di lunga durata. Infatti, come spiega Koeno Gravemeijer, della Eindhoven University of Technology, “nell’educazione tutto accade cinquant’anni più tardi”. Per cui, come il boom economico degli anni Sessanta venne accompagnato dalla riforma Gentile del 1923, adesso stiamo sperimentando, nel bene e nel male, gli effetti delle politiche educative del Sessantotto. Secondo noi il punto di partenza è che al centro delle scelte politiche della società italiana non debba esserci l’economia ma l’educazione. E che l’educazione non lo sia affatto, lo dimostra in modo eloquente la circostanza che quando il 3 febbraio 2022 Sergio Mattarella si è reinsediato come Capo dello Stato, durante il suo intervento di 40 minuti ha ricevuto 55 applausi, e, tra questi, quello sull’educazione non c’era. Infatti, il tema dell’educazione non è nei radar del dibattito politico e culturale, e viene ridotto a fatti specifici, come la DAD, dove si parla di procedure e mai di contenuti o di qualità degli insegnanti. Quello dell’educazione, come tutti i grandi temi sociali, è la conseguenza di scelte politiche e di comportamenti individuali. Concorrono il sistema mediatico e quello culturale. Ma più che soffermarsi sugli effetti, occorrerebbe indagare seriamente le cause. Esistono indubbie responsabilità interne al mondo dell’istruzione. Scuola e università, spesso invocate nella soluzione dei problemi sociali, rappresentano invece parte rilevante dei problemi. C’è anche una crisi specifica delle teorie educative in tutto il mondo, per via delle evoluzioni sconvolgenti degli ultimi anni, con l’uso di parole scadute e, nel caso italiano, l’emergere progressivo di un’antilingua che, in alcuni manuali di pedagogia, viene utilizzata per eludere più che per descrivere la realtà. Eppure l’educazione è centrale per il futuro di qualunque paese. In base a tutti gli indicatori, in Italia, sebbene abbia svolto e stia svolgendo un ruolo di promozione sociale importantissimo, consentendo l’ascesa sociale di milioni di italiani, il sistema dell’istruzione sta perdendo terreno rispetto agli altri, con le derive direttamente collegate dell’inefficienza istituzionale, della corruzione pubblica e della criminalità organizzata. Investire qualitativamente nell’istruzione conviene a livello nazionale, poiché, com’è noto, c’è un rapporto diretto tra qualità scolastica e aumento del PIL. Non a caso i paesi che investono di più in istruzione diventano più ricchi e in Italia anche un piccolo aumento negli indicatori Ocse-Pisa potrebbe comportare un aumento del Pil del 5%. Occorre avviare un dibattito politico e culturale nel nostro Paese sul tema dell’istruzione, come fatto negli Stati Uniti nel 1983. Allora l’occasione fu il rapporto A Nation At risk: The Imperative for Educational Reform, in cui, in tempi di guerra fredda, il basso livello dell’istruzione veniva collegato direttamente con la sicurezza nazionale; tema fondamentale anche in questo preciso momento, esposti come siamo a potenti venti di guerra. Sempre negli Stati Uniti, nel 1966 il rapporto Coleman aveva spiegato che intervenire nella qualità degli edifici scolastici, nelle tecnologie dell’istruzione, nel cambiamento dei programmi, serviva a poco se non si interveniva prima e contemporaneamente nei contesti sociali, familiari e urbani dei singoli studenti. L’unico elemento che poteva produrre qualche differenza era rappresentato dalla qualità degli insegnanti. Pertanto, la qualità dell’insegnanti diventa fondamentale. Secondo Piero Calamandrei, la scuola dovrebbe essere considerata “un organo costituzionale”, per cui la mancata qualità dell’istruzione e quindi della inadeguatezza di chi la impartisce, cioè insegnanti scolastici e universitari, potrebbe rappresentare una “violazione costituzionale”. Infatti, è determinante la qualità dei dirigenti e dei docenti. Tra questi ultimi nelle scuole ce ne sono circa 200mila senza abilitazione, con rischi di danni permanenti sull’educazione degli studenti. Negli atenei, invece, con le abilitazioni di massa, si sta creando un pericolosissimo precariato universitario che si aggiunge a quello esplosivo generato nel mondo scolastico. Pertanto, vanno prioritariamente rivisti i meccanismi di formazione, selezione e valutazione di dirigenti e docenti. Il mio punto di osservazione, la Calabria, a volte restituisce dati devastanti. Non ce ne rendiamo conto, ma viviamo nell’incredibile. Politicamente, culturalmente e mediaticamente non c’è la necessaria attenzione verso l’educazione che è l’area delle politiche pubbliche di gran lunga più estesa e dalla quale dipendono il presente e il futuro del Paese nella società della conoscenza. Poiché il futuro non si aspetta ma si prepara, oggi l’Italia dovrebbe utilizzare al meglio i fondi del PNRR. Una delle sei missioni riguarda appunto l’istruzione, alla quale sono riservati circa 32 miliardi su 248. Ricordiamo i due obiettivi: rafforzare il sistema educativo lungo tutto il percorso dell’istruzione (dagli asili alle Università); sostenere la ricerca e favorire la sua integrazione con il sistema produttivo. Complessivamente sono previste 9 riforme e 25 voci di investimento. Le voci più consistenti sono l’edilizia scolastica e le attrezzature tecnologiche, praticamente si tratta di appalti. Pertanto, la partita decisiva dell’istruzione si deve giocare essenzialmente sulle regole più che sugli investimenti, ponendo in primo piano soprattutto la qualità e l’efficacia della spesa sulla formazione del capitale umano (a cominciare dai docenti) e il raccordo del mondo del lavoro con quello della ricerca. Di conseguenza, gli obiettivi che l’Osservatorio sulle politiche educative dell’Eurispes si propone sono quelli di porre al centro del dibattito politico, scientifico e culturale il tema dell’educazione con iniziative e ricerche; monitorare la qualità della spesa e l’efficacia delle riforme collegate alla missione dell’istruzione del PNRR; e la redazione di una approfondita sezione nell’annuale “Rapporto Italia” dell’Eurispes, che a maggio presenterà la 34° edizione, all’interno della quale verrà già dedicato un ampio spazio alle nostre tematiche dell’educazione. In questa iniziativa abbiamo coinvolto le associazioni pedagogiche più significative, le istituzioni culturali più prestigiose, le istituzioni pubbliche, oltre che esperti e settori che devono contaminare l’educazione. Infatti si tratta di un’area che rappresenta un punto di incontro di tutte le scienze, nella consapevolezza che l’educazione è qualcosa di talmente importante per la società che non se ne possono occupare solo gli educatori. Appunto per questo l’educazione può essere la madre di tutte le battaglie del cambiamento della società italiana. Oggi cominciamo un cammino che, con il contributo di tutti noi, speriamo possa portarci lontano nell’interesse dei giovani e del futuro del nostro Paese. Passo la parola al Professor Antonio Uricchio, Presidente dell’ANVUR.
Antonio URICCHIO: Grazie Professor Caligiuri, grazie Presidente Fara. Un saluto a tutti i colleghi che sono qui e che partecipano a questo webinar, vedo tanti amici, e mi fa veramente piacere poter essere in questo Osservatorio così prestigioso. Il webinar di oggi è dedicato ad una tematica particolarmente importante, centrale per il nostro Paese. Come dicevano prima il Presidente e Mario il tema della povertà educativa e più in generale delle politiche pubbliche per la formazione è un tema centrale. E lo è non sono in questa fase storica in cui aspiriamo ad un rilancio economico del nostro Paese anche attraverso le misure del PNRR. Ma lo è in qualunque luogo del mondo, a qualunque latitudine, in qualunque contesto storico. L’educazione è alla base della crescita economica sociale, ma anche della democrazia e quindi esiste certamente un legame fondamentale tra educazione e sviluppo e crescita anche dal punto di vista della affermazione dei diritti sociali. Vorrei partire proprio dal concetto di povertà educativa, che credo debba essere la base della nostra riflessione, perché nei lavori della carta dell’Assemblea Costituente e poi anche nell’elaborazione che successivamente è stata offerta anche a chi ha letto e riletto gli articoli 33 e 34 della nostra Costituzione, la povertà educativa viene apprezzata come una compressione in un diritto costituzionalmente sancito, è una limitazione del diritto del giovane, del minore, ad una educazione di qualità, quindi ad un percorso formativo che sia anche abilitante rispetto al lavoro e rispetto alla crescita della persona. Il lavoro e la cittadinanza sono i parametri rispetto al quale anche il tema della povertà educativa va evidentemente apprezzato. Nella nostra Carta Costituzionale abbiamo delle norme importantissime che non possono essere certamente eluse in un qualunque confronto che muova da una riflessione sul tema della povertà educativa, perché l’articolo 9 che ci affida lo stato di cultura come responsabilità e come compito individuale e collettivo, l’articolo 33 che sancisce il principio della libertà di ricerca, d’insegnamento, di didattica, e l’articolo 34 che afferma che la scuola è aperta a tutti, esprimono un articolato così solido che ci deve indurre a riconoscere il diritto alla formazione e all’educazione di qualità come un diritto fondamentale insopprimibile ed incomprimibile. Ecco perché la povertà educativa è una violazione di una garanzia costituzionale. Dobbiamo muovere da questa consapevolezza anche per promuovere politiche pubbliche che possano essere in grado di rendere effettivo il diritto ad un’istruzione ed una formazione di qualità. Credo che l’impegno individuale e collettivo di ciascuno di noi che siamo coinvolti nell’ Osservatorio sia a titolo personale, ma anche come rappresentanti di Agenzie di valutazione, di Istituzioni pubbliche, deve essere proteso in questa direzione. Abbiamo un’opportunità significativa che è quella dell’utilizzo delle risorse del PNRR (32 miliardi di euro, sono risorse importanti), ma abbiamo soprattutto l’esigenza di ripensare a un modello di costruzione dei percorsi formativi e soprattutto ad un’opportunità di un rilancio di una sfida che deve essere per noi apprezzata come una sfida epocale: la centralità delle politiche educative all’interno dei modelli di organizzazione sociale. È in dubbio che la povertà educativa, non solo comprime un diritto costituzionale, ma addirittura deprime l’economia perché il legame che esiste fra povertà educativa e povertà materiale è un legame fin troppo evidente. Lo diceva poco fa il Professor Caligiuri, ogni investimento nell’educazione, nella formazione e nell’istruzione genera un moltiplicatore che va da 4 a 6 in termini di sviluppo, quindi è evidente come occorre promuovere le politiche che sono protese anche a rendere effettivo il diritto all’istruzione e alla formazione di qualità, ma, in generale, occorre promuove la cultura, perché il termine della povertà educativa per come viene declinato non si riferisce soltanto all’istruzione scolastica, ma si riferisce, più in generale, alla formazione della persona, alla cittadinanza, significa anche affermazione del diritto alla cultura. Quindi le Agenzie educative non sono solo quelle scolastiche, ma sono le famiglie sono le Istituzioni del Terzo settore, le altre Istituzioni pubbliche, che devono svolgere un ruolo centrale anche nella affermazione di un modello che modello che ponga al centro della cultura la qualità e la formazione. In questa prospettiva dobbiamo purtroppo rilevare come i dati siano abbastanza allarmati, lo diceva il Presidente Fara. Secondo le stime che vengono compiute sono un milione e mezzo di giovani sotto i 18 anni che versano in una condizione di povertà educativa assoluta, il 53% dei quali non ha mai aperto un libro di lettura, il 55% non è mai stato in un museo, il 43% non ha mai frequentato nemmeno per una volta un teatro. La povertà educativa quindi non significa soltanto una non avere accesso ad un’istruzione qualitativamente adeguata, ma nemmeno alimentarsi di quelle essenziali condizioni per poter formare il cittadino e renderlo in grado di apprezzare il contesto all’interno del quale vive ed i diritti di cui è titolare, in primo luogo quello alla cittadinanza e alla democrazia. La povertà educativa produce degli effetti devastanti anche nelle fasi in cui il giovane abbia completato il proprio percorso scolastico o addirittura abbia raggiunto la maggiore età: il numero di coloro che vertono in una condizione di povertà educativa post-maturità (oltre 18 anni) addirittura cresce, perché da un milione e mezzo in una fase che precede la maggiore età, si arriva a due milioni e due nella fase che va fra i 18 e i 25 anni, cioè si aggrava questa condizione. Questo dato emerge in modo ancora più evidente considerando il numero dei cosiddetti NEET, cioè coloro che non lavorano non studiano e praticamente sono i “nullafacenti”, per utilizzare un’espressione purtroppo ancora significativa, perché il numero dei NEET sale a 2 milioni e due e la povertà educativa si riflette inevitabilmente sulle difficoltà nell’accesso lavoro, sulla condizione di abbandono dal punto di vista psicologico. Un dato che peraltro si è aggravato nell’ultimo biennio, perché sia il numero dei NEET sia il numero di coloro che versano in condizioni di povertà educativa ante il raggiungimento del diciottesimo anno d’età è cresciuto di quasi 2%. Indubbiamente gli effetti della pandemia sono stati anche in questo àmbito particolarmente pesanti, lo sono stati in riferimento all’istruzione – in particolar modo la DAD ha generato effetti di aggravamento tra condizione di povertà educativa delle famiglie più deboli – ha prodotto anche un allargamento delle diseguaglianze, ha generato effetti sul profilo occupazionale – il legame tra povertà educativa e povertà materiale è stato fin troppo evidente – ma, allo stesso tempo, ha determinato l’allargamento di una forbice con riferimento alla frase che precede il raggiungimento della maturità sia quella successiva, che è particolarmente evidente. È chiaro che la povertà educativa va collegata necessariamente a contesti di natura territoriale e di natura economica, oltre che di genere – è stato evidenziato in modo molto puntuale sia il Presidente Fara che dal Professor Caligiuri. Le diseguaglianze territoriali Nord-Sud sono nei dati, perché i due terzi di coloro che versano in condizioni di povertà educativa sono nelle aree del Mezzogiorno, perché il numero dei NEET del Mezzogiorno è pari più o meno ai due terzi, lo dicono anche i dati ufficiali sia di Istat di Svimez. C’è poi anche un tema forte e che riguarda lo stretto legame tra povertà educativa, povertà materiale e diseguaglianze che ha visto anche in questi anni una forbice sempre maggiore e crescente. È chiaro che noi non possiamo soltanto descrivere un fenomeno ma dobbiamo in qualche modo ed è compito dell’Osservatorio, analizzarlo per offrire una chiave di lettura rispetto a questo fenomeno e magari essere propositivi. La centralità delle politiche educative è fondamentale in questo contesto, ma lo è sia nell’utilizzo delle risorse pubbliche che e nelle azioni che devono essere messe in campo, non basta soltanto immettere risorse per poter offrire soluzioni rispetto ai problemi. Certo, le risorse sono una condizione imprescindibile per poter rendere le politiche pubbliche efficace, ma occorre un chiaro disegno strategico che possa, in qualche modo, orientare l’utilizzo delle risorse e occorrono azioni forti che possano consentirci di valutare, di monitorare l’utilizzo delle stesse. Le politiche pubbliche vanno innanzitutto misurate sotto il profilo dell’efficacia, e vanno valutate le azioni che devono essere messe in capo. Diceva Mario Caligiuri che il PNRR prevede una serie di missioni e alcune di queste sono orientate sul tema della riqualificazione edilizia del patrimonio immobiliare scolastico, sull’adeguamento dal punto di vista tecnologico di gran parte delle scuole. Questo è un investimento fondamentale, probabilmente andava fatto già molto tempo fa. Un dato credo molto importante è quello della vetustà degli immobili che ospitano i nostri studenti: l’età media di un immobile scolastico, adibito a scuola, è di 53 anni; in Europa è di 30 anni (la media europea). Mediamente gli mobili che ospitano i nostri studenti sono molto datati e molto spesso nemmeno adeguati dal punto di vista della sicurezza, delle Infrastrutture di carattere tecnologico. Quindi si tratta di un investimento fondamentale che peraltro si collega anche ad un’azione recente avviata negli ultimi anni. Probabilmente si tratta anche di risorse insufficienti rispetto all’entità degli investimenti che devono essere dedicati alla riqualificazione del patrimonio scolastico. Questo non basta, è un investimento necessari, ma non sufficiente per conseguire con efficacia quei risultati che ci attendiamo. Occorre un’azione forte sulla formazione del personale docente. Un tema che è stato forse in questi ultimi tempi affrontato in modo frammentario (pensiamo a tutti gli strumenti che sono stati immaginati e che hanno avuto vita breve) ma un’azione di sistema, legata anche ai contenuti della formazione del personale docente è stata probabilmente poco valorizzata nelle politiche educative. La qualità è centrale rispetto all’efficacia delle azioni educative. Occorre necessariamente investire sulla qualificazione del personale docente, occorre restituire centralità al capitale umano, soprattutto perché la qualificazione del personale docente è essenziale rispetto all’efficacia delle politiche educative. Quindi è un impegno forte a cui siamo chiamati, come Istituzioni pubbliche che si occupano di politiche educative, come formatori, perché anche noi operiamo nelle Università, perché molti di noi sono docenti universitari. Occorre un’azione forte sulla qualità, nella valutazione e nel monitoraggio, e questo è un impegno a cui anche come Agenzia Nazionale della Valutazione dell’Università e della Ricerca non ci sottraiamo, anzi abbiamo istituito un gruppo di lavoro di ricerca sulla professionalità della docenza. Questo gruppo di lavoro internazionale, composto da colleghi che provengono da molti paesi stranieri oltre che dall’Italia, si occupa della professionalità della docenza sia universitaria sia delle Istruzioni superiori e, ovviamente, vogliamo offrire risposte e soluzioni rispetto ad un tema centrale come quello della qualificazione della docenza. Occorrono probabilmente metodologie didattiche adeguate rispetto ad un contesto profondamente diverso rispetto a quello che caratterizza la formazione scolastica e universitaria. Le metodologie e l’innovazione didattica in un contesto profondamente cambiato dal punto di vista degli stimoli esterni, delle tecnologie, devono essere necessariamente apprezzate. Noi abbiamo discusso come sistema universitario di innovazione didattica – vedo qui il Prof. Daitoni con il quale ci siamo confrontati varie volte, anche all’interno di un gruppo di lavoro – e proprio le metodologie dovranno assistere all’innovazione didattica. Occorre quindi agire e farlo tempestivamente, in un contesto di confronto aperto. Occorre riportare il merito al centro delle politiche pubbliche per l’istruzione e per l’educazione e, allo stesso tempo, qualità della formazione e merito sono ingredienti essenziali anche per la mobilità sociale. Molto spesso le logiche valutative e soprattutto di assicurazione della qualità vengono viste con qualche sospetto e con qualche diffidenza, perché ritenute confliggenti rispetto a modelli che possano contrastare le diseguaglianze. Ma, l’affermazione della qualità del merito, unitamente a politiche per rendere il diritto allo studio effettivo e quindi il riconoscimento di strumenti supporto per gli studenti meritevoli, sono condizioni essenziali per la mobilità sociale che in realtà negli ultimi anni si è proprio arrestata. Se in precedenza istruzione scolastica e formazione universitaria hanno consentito una forte ascensione sociale, nell’ultimo decennio questa ascensione sociale si è probabilmente fermata, e questo è un aspetto su cui dobbiamo necessariamente riflettere per restituire ai giovani l’effettività del diritto allo studio e soprattutto per promuovere un modello di società più equo e rispettoso dei valori che la nostra Costituzione ci affida. Io mi fermerei qui se siete d’accordo, ringrazio per questa occasione e ovviamente confermo l’impegno personale e la disponibilità dell’Agenzia che presiedo a lavorare insieme. Mi fa piacere che oggi grazie all’Eurispes sia stato promosso questo prestigioso ed importante Osservatorio.
Benedetta Cosmi: Eccomi grazie. Buongiorno a tutti, ovviamente siamo contenti di avervi qui, anche perché questo Osservatorio si abbina al “Laboratorio Eurispes sul Capitale Umano” che dirigo e che abbiamo usato con Mario per anticipare questo Osservatorio con il Ministro Messa; perché ovviamente se pure in Italia viviamo del disagio quando abbiniamo il termine educazione a quello di capitale umano ‒ perché c’è tutta una connotazione che sembra più di capitale appunto, più economica che di risorsa intesa come valore ‒ in realtà, sono di pari passo e lo sono a maggior ragione ascoltando i vostri interventi dove invece ritornava questo binomio. Quindi l’idea di puntare al capitale umano inteso come gli insegnanti: quindi da formare è inteso come il futuro, gli studenti, i giovani le speranze di un paese che in loro vede la possibilità di essere un paese che accoglie, che da opportunità e non le respinge, non le boccia, non le fa diventare discariche umane, come dicevamo per quelli che ne studiano ne lavorano. Quindi una perdita enorme di talenti, di desiderio e quindi di tutto ciò che invece è poi alla fine la scuola: quell’ascensore sociale a cui pure rimandavate. Quindi sicuramente sentitevi parte integrante anche dal punto di vista laboratoriale di questo tipo di riflessione. Io una provocazione che vorrei portare anche sul fronte dei temi, tra virgolette, del gender Gap, delle discriminazioni inteso di genere, è quella che avevo lanciato all’inizio senza declinarlo al femminile, cioè il tema, partendo dal Canada, dicevo, le materie si devono poter scegliere lì. Già Guido Calogero lo prendeva come caso il Canada per la sua citizenship di essere cittadinanza attiva eccetera con una mia ricerca di parecchi anni fa, che poi ho riportato su un articolo del Corriere nel 2014. Quindi già stiamo parlando ormai di anni addietro, emergevano due cose che mi colpivano: uno, il dato del recupero della dispersione scolastica che per loro era una fissa. Avevano un obiettivo importantissimo da portare a termine negli anni successivi e loro erano al di sotto del 2% di dispersione scolastica. E per loro era il pallino su cui puntare, cioè noi eravamo a un obiettivo che sarebbe dovuto andare in quegli anni ad abbassarsi rispetto al 14% per cui c’era un gap che mi sembrava plateale e forse lì c’è molto da fare: dagli asili nido fino alla formazione permanente. Quello diciamo è il mondo su cui agiamo come dispersione; e dall’altra parte il discorso del delle materie: lì provocatoriamente si poteva scegliere ‒ ovviamente magari si faceva e meno greco che in alcuni istituti italiani e dove si fa da noi ‒ però si poteva scegliere di fare letteratura greca e falegnameria. Da noi la falegnameria è rarissima, è un’eccezione, e se ora lo declinassimo come volevo fare all’inizio sul tema di genere la falegname dov’è? Cioè noi abbiamo la possibilità di formare le falegnami, ci sono tante ambizioni di falegname morte non sono altre figure professionali che adesso vengono, diciamo, a galla come incapacità dal punto di vista salariale, di stipendio, di parcelle ad avere parità rispetto ai colleghi maschi. Ma ci sono dei mestieri che da noi hanno avuto una connotazione negativa e a maggior ragione di genere. Ecco, quando invece siamo un’economia che basti pensare a un certo Nord Italia hai addirittura il salone del mobile che gira intorno all’economia del falegname, poi connesso al marketing, poi connesso a tanti altri saperi di design e di gusto estetico e quindi anche abbinato alla bellezza che ci attribuiscono all’esterno e all’estero pensando al nostro paese. Quindi, se noi riunissimo queste situazioni probabilmente avremo la scuola che vogliamo; perché poi il bambino che è rimasto a casa in dad in questi giorni probabilmente la prima cosa che ha fatto, se ha avuto una mensola che i genitori hanno abbandonato accanto, è stato usarla. È capitato alla mia bimba che è in dad proprio da due giorni, ne ha trovata una e l’ha usata per fare teatro, cioè ha tagliato del cartoncino l’ha appiccicato ha messo lì le braccia e ha un usato questa specie di mensola per fare uno spettacolo di teatro. Quindi significa che quando noi gli diamo dei materiali loro ci fanno qualcosa, quando noi li teniamo seduti in classe, se pure rivalutando la struttura fisica degli edifici, seppur come è successo nella polemica della scorsa volta col Ministro, pur cambiando le seggiole su cui si siedono, in realtà li teniamo lo stesso ha un comportamento scolastico che non ne valorizza le potenzialità. Quindi, in questo risvegliare l’essere flessibile del docente e dello studente intorno a dei saperi che possono far pace tra manualità e cultura sicuramente risvegliamo molto di quello che in questo Osservatorio io penso che ci sia come indotto e anche un po’ come non detto. Quindi spero di poter convergere con voi in dei punti chiave; anche perché la valutazione in Italia è importantissima. Non sempre si fa, ma quando si fa anche a scuola o della scuola rappresenta un fine, cioè si studia al fine della valutazione. Non è mai il mezzo, lo strumento per invece destare ancora di più quel gusto. Quindi, insomma, cerchiamo dei punti comuni su cui vogliamo essere scuola e farla. Grazie.
Mario Caligiuri: Grazie molte cara Benedetta per il tuo contributo molto concreto e articolato. Adesso la parola a Francesco Grillo di Vision. Prego Francesco.
Francesco Grillo: Grazie molto per avermi invitato nel Comitato scientifico di questo Osservatorio. Volevo dire, io osservo la realtà della scuola italiana e dell’università italiana con un piede dentro e uno fuori perché School ad Oxford per fortuna, però ho fatto da consigliere di quattro ministri dell’università e il primo appello è: facciamo presto, andiamo un po’ più dritti perché siamo in un mondo che si sta letteralmente squagliando intorno a noi. Io ho scritto un numero di editoriali tra Messaggero, Corriere della Sera, ecc. durante la pandemia sulla scuola primaria e secondaria come fronte di questa guerra. Dopo due anni sono sconsolato, veramente sconsolato. Ad esempio nel PNRR tra le riforme non compare la parola autonomia. Come si fa a governare una scuola come quella italiana di 800.000 dipendenti, 9 milioni di studenti senza, come dire, dotarla di una struttura organizzativa, di governare la scuola italiana ‒ credo che sia localizzazione più grande d’Europa anche più grande di quella di quella francese non mi sbaglio ‒ da un ufficio a viale Trastevere. Questa dimostra una trasformazione tecnologica, sociale, economica che è stata fortissimamente accelerata dalla pandemia. Adesso in queste ore divampa una guerra alle porte dell’Europa. Ecco, secondo me, Mario, dobbiamo andare un po’ più dritto del dritto. Secondo appello: facciamo, visto l’Eurispes credo sia nelle missioni, mettiamo in campo subito una valutazione seria del PNRR. Io credo che sia stato giustissimo quel momento hamiltoniano della Ue con la Von der Layen che ha sottolineato la storicità di certe decisioni. Però anche l’Europa rischia se l’Italia fallisse questa iniziativa. Mario Draghi, da solo, non è Harry Potter, non può garantire il successo da solo, è una persona. Ad esempio facciamo una valutazione di quello che il PNRR sta facendo e farà sulla scuola e sull’Università. Io credo che sia un’ottima intuizione, diciamo così, però bisogna attrezzarsi velocemente per fare una valutazione su quello che sta succedendo. C’è un problem definition all’inizio della missione 4 del PNRR con la quale problem definition possiamo essere più o meno d’accordo, credo che sia giusta, ma magari anche su quello c’è un po’ da ragionare, poi ci sono degli investimenti (sono 30 miliardi di euro) e ci sono delle riforme (probabilmente non sufficientemente coraggiose) ‒ quindi bisogna fare una qualche valutazione tra coerenza, tra gli obiettivi e gli strumenti messi in campo ‒ e poi c’è la fase di implementazione che è dove ci sono delle difficoltà enormi come sicuramente saprà la ministra Messa. Quindi tutta la parte delle università: bandi che ci sono in questi giorni. Problemi enormi, perché, come dire, ad un topolino prima che diventa una mucca… Cioè stiamo parlando di volume di investimenti enormemente superiore alla capacità che ha questo paese in generale, la scuola e università italiane, il Miur, il Ministro della della scuola di programmare bandi, appalti, di portarli fino a compimento. Però, comunque le difficoltà sono molte però credo che una valutazione sia indispensabile per alimentare un dibattito e trovare delle soluzioni perché abbiamo pochissimo tempo e abbiamo delle sfide enormi. Quindi, l’appello a te Mario, è se l’Eurispes è interessato a una squadra, un team per fare una valutazione rispetto a questa sfida nella quale tutti, assolutamente tutti, a parole sono d’accordo. Grazie.
Mario Caligiuri: Grazie, uno dei tre temi della nostra attività è proprio quello di concentrarci sul monitoraggio e l’efficacia dei fondi del PNRR e delle politiche, delle riforme collegate al PNRR. Quindi grazie per il tuo rilevantissimo contributo. La parola adesso alla dottoressa Rosy Russo Presidente dell’Associazione Parole Ostili
Rosy Russo: Buongiorno a tutte a tutti e grazie Mario, grazie Presidente, grazie a tutti coloro che mi hanno preceduta perché con i contenuti mi sento davvero a casa e quindi non andrò a ribadire le tante cose dette che condivido pienamente dalla prima all’ultima. Ecco, io sono Presidente dell’Associazione Parole Ostili che forse non tutti conoscono. È un’associazione che è nata 5 anni fa per contrastare le parole d’odio. In realtà in questi anni abbiamo lavorato su questo fronte, abbiamo lavorato anche molto sul tema della cittadinanza digitale entrando, appunto, anche molto nelle scuole. Mi metto anche il cappello di madre di quattro figli oggi perché appunto parlando di tutto quello che stiamo affrontando sicuramente questo è importante. Allora, condivido lo schermo perché vengo dal mondo della comunicazione e questo mi aiuta sempre molto e starò così anche nei tempi. Una cosa mi piace sottolineare è che stiamo vivendo un cambiamento d’epoca e lo dico perché c’entra moltissimo, secondo me, con tutto quello che stiamo anche dicendo. Cioè, il cambiamento d’epoca prevede una frattura tra quello che siamo e dove viviamo; però, uscire da un cambiamento d’epoca bisogna viverlo. Quindi questo cambiamento noi in questo momento non siamo in grado di spiegarlo ma lo dobbiamo vivere e ciascuno di noi ci metterà un pezzetto di suo ed è questa la grande difficoltà. Quindi anche i ragazzi a chiunque in questo momento stiamo tutti facendo fatica. Ecco non c’è una regola. La seconda premessa che volevo fare è questa: per il mondo che in cui sono immersa posso portare un piccolo contributo come il tema del linguaggio. Allora con le nuove generazioni c’è un nuovo linguaggio da imparare. Questa è una frase di mio figlio: “mamma aspetta (…)” l’anno scorso quando gli ho detto “venite a cena?” e un figlio ti risponde così. Ora, era una presa in giro però forse non tutti sappiamo che Paolo era il più grande giocatore di Fortnite è Twitch è una piattaforma no dove i ragazzi si passano un bel po’ di ore al giorno e dove magari ci sarà anche tutta una serie di dinamiche ma, ecco, era per te era per sorridere ma soprattutto noi dobbiamo tenere conto del fatto che esistono delle generazioni che non sono le solite generazioni ma delle generazioni digitali. Allora, questo per dire cosa? che il mondo della rete, il mondo del digitale è fondamentale in questo momento ma l’ho detto anche prima più di qualcuno vivere questi mondi non è una questione naturale ma richiede educazione e cultura che un po’ quello che Parole Ostili attraverso il suo manifesto sta facendo. E guardate, parlo in virtù del fatto che in quest’ultimo anno noi abbiamo incrociato più di un milione di studenti più di 250.000 insegnanti coinvolti nelle nostre attività ma volevo raccontarvi anche di un progetto, di una di un lavoro che stiamo portando avanti che è molto in sintonia con tutto quello che si sta dicendo. È un tentativo proprio di dare una risposta ai grandi problemi che sono il net da un lato, la centralità dell’educazione e l’impegno di avvicinare il mondo del lavoro e l’abitare la rete con educazione e cultura, la qualità, ecc. È un progetto che mi piace condividere con voi perché non è all’inizio, è ancora prima diciamo, che però proveremo a presentare il prossimo mese è, come vedete, tiene lo studente al centro ma allo stesso tempo dialoga con i genitori, con la scuola, con il mondo del lavoro, tiene dentro logicamente i ts università. Prova a risolvere il problema lato ragazzi e ragazze che chi sono, che capacità ho, cosa scegliere dopo le scuole, quelle medie e le superiori, per fare cosa. Ma soprattutto io ce la farò? sarò capace di fare tutto questo? e magari proprio con quella centralità che tende così a dare una fotografia del ragazzo per capire davvero di cosa ha bisogno e cosa deve tenere traccia. Tutto tramite giochi di ruolo e gamification. Ecco vedete, queste sono delle interfacce ma qua mi voglio soffermare sul tema delle competenze. Qualcuno di voi le ha accennato prima. È un tema assolutamente primario: questo progetto parte dalle competenze chiave dell’Unione Europea del 2018 ma con le tre grandi lenti che sono conoscenze-abilità-atteggiamenti. Si diceva prima che non bastano le conoscenze e ci vogliono delle abilità che l’applicazione delle conoscenze ma noi stiamo provando a lavorare anche su quell’altro grande tema che sono gli atteggiamenti. Cioè tutta la parte più etica e relazionale. Quante persone e quanti ragazzi incontriamo e ci dicono “arrivano dei ragazzi preparatissimi ma non sanno veramente come relazionarsi come muoversi”. Ecco allora guardate, noi cosa stiamo provando a fare? fondamentalmente questa è una piattaforma che dagli 11 anni (quindi stiamo parlando da quando si è piccoli) vuole accompagnare i ragazzi e pian pianino attraverso delle attività fatte a scuola li accompagna a costruire un proprio curriculum. Ecco va molto nella direzione di cui stiamo parlando perché vorrà valorizzare le tante competenze che stanno che in qualche maniera tante realtà stanno portando avanti. Ecco qua concludo, abbiamo diviso tutte le attività del lavoro in sette grandi àmbiti, i ragazzi ci potranno navigare scoprendo diciamo i vari àmbiti ad esempio: arte, cultura e creatività, entrare in questi quartieri, all’interno dei quali ogni casetta sarà una professione e i ragazzi così potranno scoprire cosa sono queste professioni e magari avvicinarsi anche al mondo delle aziende portando avanti dei corsi e così intrattenendosi. Tutto questo pian pianino andrà costruire il curriculum. Ecco, perdonatemi, questa concretezza nel senso che vi dico tutto quello che è stato che è stato detto fino ad ora lo condivido non di più ma pienamente e sono molto d’accordo con chi ha detto che bisogna cominciare a lavorare proprio sulla concretezza e dei progetti. Questo lo stiamo condividendo con il Ministero, con tante realtà aziendali ma soprattutto stiamo mettendo in questa piattaforma tutte le belle esperienze che già appunto aziende associazioni e, perché no, tutti i progetti universitari e scolastici stanno portando avanti. Grazie per questo per questo momento, grazie soprattutto a Eurispes per così per questo comitato e per questo lavoro che si va ad avviare. Mi auguro che ci siano tante occasioni proprio per mettere, come diceva qualcuno prima, insieme le tante diversità di esperienze che non possono far altro che portare a delle ricchezze appunto per l’esperienza educativa italiana.
Mario Caligiuri: Grazie dott.ssa Russo, e adesso la parola al Presidente della Società italiana di Pedagogia, prof. Massimiliano Fiorucci.
Massimiliano Fiorucci: Buongiorno a tutte e tutti, grazie Mario Caligiuri, grazie al presidente Eurispes e a tutti coloro che mi hanno preceduto, saluto il prof. Uricchio e tutti gli altri colleghi e colleghe. Chiaramente sono d’accordo sul fatto che sia opportuno essere concreti nei prossimi nostri lavori. Però credo che ci sia qualche riflessione preliminare da fare e anche qualche problematica. Prima Elena Ugolini diceva una cosa fondamentale: cioè la visione. Ora, di dati di diagnosi di analisi ne abbiamo tante, spesso non considerate e credo che sia opportuno lavorare, cominciare a fare anche delle proposte. Ora però tutti i ragionamenti che facciamo, secondo me, devono partire da una visione. Cioè che idea di scuola di università e quindi di società abbiamo in mente e vogliamo costruire? cioè tutto il ragionamento sulla innovazione didattica, la qualità della didattica e le nuove competenze non sono fatti neutrali, non sono innovazione didattica perché, per cosa? la qualità della didattica è una conseguenza della visione della pedagogia che la orienta. Allora se noi non decidiamo che tipo di società vogliamo costruire è anche difficile immaginare questi temi, tutti temi toccati non sono neutrali, la valutazione è un elemento centrale. Ma che tipo di valutazione? A cosa serve? una valutazione formativa per il miglioramento? il rapporto con il mondo del lavoro è cruciale. Noi investiamo moltissimo sul tirocinio ma saremo sempre in ritardo, l’obsolescenza delle nostre conoscenze sarà sempre in ritardo su quello che succede. Allora noi dobbiamo formare delle competenze solide, chiave che ci consentano di orientarsi in un mondo in veloce cambiamento. Allora faccio un esempio: non dobbiamo imparare a usare un programma informatico, meglio, possiamo impararlo, ma la logica che lo governa (perché dopo tre giorni sarà vecchio) allora anche questa immediatezza dell’immissione nel mercato del lavoro a gestire con consapevolezza. Il PNRR è sicuramente un momento importante che va monitorato con attenzione, ma che succede dopo 2026, che visione c’è? abbiamo detto che non ci sono stati investimenti a lungo, meglio, ci sono stati disinvestimenti. Dobbiamo partire da un presupposto secondo me. Con tutti i loro limiti, e poi proviamo a vederli, nonostante tutti i limiti, scuole e università sono dei pochi presidi di democrazia reale dove si discute, si parla, ci si confronta, si costruiscono le semplificazioni, le narrazioni tossiche, la cultura dello slogan. Allora, oggi, le cose sono più complesse, abbiamo bisogno di avere insieme competenze che provengono dalla cultura umanistica, scientifica e tecnica per comprendere la complessità come ci ha spiegato anche Marta Nussbaum in quel bel libro che si chiama “Non per profitto”. E allora, anche io sono sorpreso che dopo due anni non si sia mai parlato così tanto di scuola come in questi ultimi due anni, ma se n’è parlato male fondamentalmente, ovviamente c’era l’emergenza sanitaria c’è ancora, ci si è soffermati sul protocollo sanitario ma non su quello educativo, cioè la relazione educativa è un elemento fondamentale: stanno emergendo ricerche che mettono in luce i disagi ai quali sono sottoposti anche gli studenti, oltre che i docenti e i dirigenti, che hanno fatto comunque un lavoro straordinario, ma non è il bonus psicologico che risolve questi problemi, non è una patologizzazione, è una ricostruzione delle relazioni della centralità delle relazioni che scuole e università mettono al centro. Dobbiamo dire che siamo anche vittime spesso di mode. Oggi sembrano, come dire, si fanno tanti riferimenti dal cooperative learning al peer education, outdoor education learning by doing, non sono delle novità. Sono cose pensate 100 anni fa dalle scuole nuove dalle scuole attive, ma rientravano dentro un modello e una visione. Oggi è come se fossero astratte dai contesti. Allora ripartiamo dal rapporto democrazia-educazione di cui parlava John Dewey e ripartiamo da questo. Quindi non sono competenze sganciate da una visione, e dobbiamo fare attenzione anche ad alcune derive alcune corruzioni linguistiche a cui assistiamo in questi anni. Perché si parla di crediti, di debiti, di soddisfazione. Abbiamo adottato dei modelli di qualità mutuati dal mondo produttivo. Ora, il mondo produttivo deve fare profitto, la scuola università no. Questa differenza è fondamentale: se non ci riorientiamo in questo senso il sistema educativo e formativo rischiano, come dire, di diventare un’appendice come diceva nella relazione iniziale Mario Caligiuri. La centralità dell’economia invece che dell’educazione. Allora facciamo attenzione anche al linguaggio, alla corruzione linguistica che ha accompagnato i processi di disattenzione alla scuola-università come, ad esempio, appunto, i disinvestimenti. La pandemia ha messo in luce alcune criticità che c’erano già: i ritardi, la dispersione, dropout, neet, pochi laureati, l’inesistenza di un sistema di educazione degli adulti e di educazione permanente, bassi livelli di istruzione. Allora sappiamo da tutte le ricerche che investire nella scuola dell’infanzia e nei nidi, che l’accesso precoce a questi a questi luoghi di istruzione ed educazione sono dei fattori di protezione straordinari. L’altro elemento fondamentale è il tema dell’orientamento nella formazione degli insegnanti. Su questo, come società scientifiche, vedo che anche Pietro Lucisano, Maurizio Fabbri, Liliana Dozza, abbiamo fatto una proposta come società scientifiche Centrale della Formazione insegnanti delle scuole secondarie di primo e secondo grado che al momento non esiste, non c’è di fatto. E questo è ovviamente un problema. Perché c’è un retaggio culturale secondo il quale chi sa, sa insegnare. Ora sappiamo che per insegnare bisogna conoscere certamente le proprie discipline ma bisogna avere anche un apparato di competenze pedagogico-didattiche, sperimentarle attraverso tirocini e laboratori. E quindi un percorso dedicato successivo all’acquisizione delle conoscenze tecniche. Ecco io credo che dobbiamo non perdere di vista che scuola università sono, in primo luogo, oltre che ovviamente un motore dell’economia sono luoghi di costruzione della cittadinanza attiva e consapevole. Grazie.
Mario Caligiuri: grazie per il contributo denso e significativo al prof. Fiorucci e adesso la parola al presidente Mattiacci, presidente del comitato scientifico Eurispes.
Alberto Mattiacci: Buongiorno grazie Mario, buongiorno a tutti. Io ho il cappello di presidente comitato scientifico Eurispes, sono un professore universitario ordinario in Sapienza a tempo definito. Lo dico perché poi spiegherò il perché e lavoro anche con un’università privata che si chiama LUISS business School. Ho due bambini, uno va all’asilo privato per necessità l’altro va a scuola elementare pubblica per virtù della preside. Dico queste cose non perché la mia persona sia importante ma perché penso di avere un punto di vista abbastanza variegato. Sono figlio dell’istruzione pubblica di 40 anni fa, però, figlio orgoglioso di quella istruzione e mi trovo costretto al centro di Roma delle volte a fare delle scelte diverse. Io credo che i temi che ci sono in ballo siano un rombo. Ho sentito parlare di un triangolo: scuola-università-lavoro. Ci metterei un altro angolo del rombo che è la società civilmente organizzata, come la chiamo io, e questi vertici dei rombi secondo me sono collegati tra di loro. La qualità dell’uno dipende dalla qualità dell’altro. Questo fatto qui credo non ci debba sfuggire, credo che non sfugga a nessuno e penso che questo fatto, visto in prospettiva, non visto con la testa rivolta al dietro ma visto con la testa rivolta davanti ci debba fare abbandonare dei modi di vedere che delle volte riscontro anche nel dibattito che vedo. Vi faccio qualche piccolo esempio: giustamente chi ha parlato prima di me ha parlato di corruzione linguistica. Le parole sono importanti, le parole fanno il pensiero, fanno le idee, fanno i soggetti e tutto. Allora per esempio cominciamo da queste. Cominciamo dalle parole e cominciamo a dire che, per esempio, la parola profitto siamo sicuri che nel mondo del XXI secolo, fra 30 anni quando molti che noi saranno fuori dall’attività produttiva sarà così distante dall’education, come è stata chiamata? Allora, intanto si chiama education inglese mah, io non sono per niente sicuro. Se noi ancora pensiamo che il profitto sia male, io non dico che il profitto sia il bene assoluto ma non è neanche il male. Per costituzione esiste l’istruzione pubblica-privata e la privata se viene esercitata da organismi come quello del rettore Cannata e non lavora per farsi caldo, lavora per fare i soldi. Abbiamo invitato un amico di E&Y che saluto, lo prego anche di portare il mio saluto a Donato Ferri che conosco bene, E&Y è una società di revisione contabile e che poi ha aperto un filone sulla Education, come la chiamano loro, e secondo me loro sono legittimati a chiamarla così perché sono americani, capendo bene che lì c’è business. Allora in America, in Inghilterra, l’education significa business; se vi seguite un po’ l’economist, io sono economista di formazione, sto anche nel business, quindi vedo quello, ho quella tara per cui vi chiedo perdono. Però attenzione, non facciamo finta che quel mondo non esiste. La formazione e l’istruzione di ogni ordine e grado e al confine fra un bene pubblico e un bene privato che viene gestito così. Il grande fallimento che io vedo in prospettiva, soprattutto, è che pubblico non ce la fa proprio a stare al passo del privato, ho detto prima che io sono un professore a tempo definito, chi è dell’università lo sa, il tempo definito significa mettersi part-time per la frustrazione di non riuscire a fare dentro l’università delle attività che potrebbero portare grande ricchezza all’università. Non ci si riesce perché siamo pieni di lacci, di lacciuoli bisogna liberare l’università dall’amministrazione pubblica finché i soldi che arrivano all’università saranno trattati come soldi del bilancio statale, e quindi c’è la Corte dei Conti che incombe su di noi con l’occhio attento quanto sappiamo, infatti non abbiamo un debito pubblico in Italia. Ecco qua, insomma non funziona, molti come me fanno queste scelte qui. Non lo dico con polemica eh, lo dico, se sentite un po’ lo sentite con il cuore ferito dell’innamorato che parla. Perché io sarei molto orgoglioso di portare tutto dentro l’università pubblica ma è semplicemente impossibile. Anche perché c’è una cultura ed è esemplificativo, emblematico quello che è stato detto, cioè ha detto l’education non è un business. Non è vero. Se qualcuno qui pensa in questo modo per favore si faccia qualche domanda si metta in crisi, perché non è vero. Perché esistono università pubbliche, esistono scuole pubbliche, esistono soggetti che fanno altri mestieri business che vedono giustamente nell’educazione nell’avviamento al lavoro un’area di business enorme e in grandissima crescita con il PNRR (il grande bancomat) questi sforzi sono moltiplicati. E si moltiplicheranno e io ho timore, veramente timore, prima di tutto da dipendente statale che crede nella Pubblica Istruzione, secondo poi da padre, io ho timore quando vedo le nostre istituzioni formative come affrontano mentalmente questo questa evoluzione. Il mondo è cambiato ma non ce ne siamo accorti. Quante delle persone che stanno ai vertici delle nostre istituzioni scolastiche universitarie hanno fatto esperienze fuori dalla pubblica amministrazione? Pochissime, troppo poche. Scusatemi se sono un po’ scomodo. Però diciamocelo. Un altro elemento che mi dà la misura di quanto non ci siamo. Faccio come tutti voi da due anni probabilmente più di un centinaio di webinar, in questo centinaio di webinar io continuo a sentire persone che dicono in apertura: “eccoci qua saluto tutti col dispiacere di non essere fisicamente presenti eccetera sperando di tornare presenti” questo vuol dire che non abbiamo capito,non abbiamo capito che questa forma è il new normal. Poi faremo anche i seminari in presenza eccetera. Questo è il new normal, cioè che siamo ancora a dire “No oddio quanto mi mancate in presenza” A parte che io tutti questi abbracci in presenza non li ricordo, ma questo è un altro discorso. Vuol dire che non abbiamo capito. Vi faccio la metafora che faccio ai miei studenti: scientificamente si chiama pigital così leviamo di mezzo il professore universitario che mette le categorie. Io ai miei studenti per capire gli dico: ragazzi la vita è un cappuccino. Io sono nato 55 anni fa, sono nato quando la vita era il latte bianco, cioè mondo fisico, poi arrivato il latte macchiato, mondo fisico con una goccia di caffè che è quello – apro e chiudo parentesi – nella quale, purtroppo, molta della classe dirigente italiana sta ancora se pensa di stare latte macchiato. Invece la vita adesso è un cappuccino. Anzi, un cappuccino scuro con molto caffè. Il caffè è il digitale e nel cappuccino non ha senso distinguere fisico e digitale, è un tutt’uno. due tre speech finali e poi, per parlare un po’ aziendalese, visto che vi dico anche quello che secondo me sarebbe un grande, abbiamo un parametro che ci tira del successo delle iniziative dei prossimi anni. La scuola, mi ha colpito molto l’osservazione che ha detto una collega prima e che ha detto se andiamo a vedere lo stato cognitivo dei nostri bambini nei primi due anni della scuola primaria tra sud e nord sono allineati. Poi man mano che va avanti… ovvio. Perché ovvio? Perché quando l’educazione, quando la formazione, quando l’apprendimento è emozionale, cioè precognitivo, tutto va bene Man mano che diventa sempre più invece cognitivo, l’apprendimento, lì si vede la famiglia. Avendo bambini piccoli mi ci scontro. Noi abbiamo tre mesi e mezzo l’anno di bambini, ragazzi abbandonati alle loro famiglie. Dico abbandonati alle loro famiglie volutamente. La scuola finisce i primi di giugno e ci rivediamo a metà settembre giugno-luglio-agosto e metà settembre di famiglie che lavorano, di famiglie che magari non sono dotate della maturità per riuscire a seguire i loro figli. Mia madre era maestra elementare nei mesi di settembre piangeva sempre il grande lavoro perduto che dovevano recuperare nella nella parte autunnale. Ad autunno si recupera il ritardo accumulato in estate; ma dove andiamo se continuiamo a fare così. Certo i sindacati si stracciano le vesti, quei sindacati che si opposero all’idea, pensate un po’, che tutti i docenti dovessero essere laureati. Di che stiamo parlando? Seconda cosa della scuola: ho letto un dato che due laureati su tre provengono dai licei (fonte la voce.info) mi sembra sia questa questo dato qua. Leggiamolo bene, i licei funzionano egregiamente; leggiamolo male: fate voi. Sul lavoro, allora sul lavoro siamo tutti consapevoli che parliamo di un qualcosa di domani che non capiamo. Riusciamo un poco a immaginarlo, perché l’intelligenza artificiale, noi faremo un saggio proprio approfondito sull’intelligenza artificiale in Rapporto Italia, l’intelligenza artificiale scombussolerà molte cose ma in generale la digital trasformation. Allora io credo che dovendo mettere un po, siccome il lavoro una variabile prettamente economica, dovendo mettere un punto di riferimento guardiamo un po la formula economica di questo paese e capiamo di che tipo di competenze di lavoro avremo bisogno. Noi siamo un paese che beneficerà moltissimo del ridisegno della globalizzazione perché abbiamo una manifattura importante concentrata nel paese geograficamente, ma importante; siamo un paese che ha un tema drammatico di pubblica amministrazione. Drammatico quantitativamente e qualitativamente; pochi anche poco pagati e con con l’efficienza che vediamo tutti quanti. Mi sposto sull’ultimo pezzo: l’università. all’università sta accadendo da tempo esattamente quello che è successo alla scuola, ed è uno dei motivi per cui io come tanti altri ci siamo messi a tempo definito, cioè attraverso la proletarizzazione di un mestiere, proletarizzazione di un mestiere, sapete quanto guadagna un ricercatore universitario? sapete quanto guadagna un professore associato a tempo pieno? andiamo a fare dei distinguo, andiamo a fare dei paralleli. Il mio stipendio da professore ordinario non tutti ci arrivano e non tutti ci arrivano in un’età decente e la metà dello stipendio di un mio pari è andato a fare il dirigente in un’impresa privata. Noi non riusciamo, se voi mettete insieme bassi pagamenti, bassi stipendi, altissimo precariato, delle formule di premialità all’ingresso nell’università come ruolo che ti chiedono di decidere una volta per tutte se fare l’università o l’altra perché non è più: se fallisco qui ho investito cinque anni che mi spendo sul mercato del lavoro. Signori non funziona così. Quindi noi chiediamo ai ragazzi di venire per stipendi bassi di accettare un altissimo precariato ad alto rischio perché se non riesci a vincerti la partita lì se fuori pure dal resto del mercato del lavoro. Anche questo come si può risolvere? si può risolvere intanto cominciando a fare delle differenze. Lo so che dico cose politicamente scorrette ma fare lettere non è come fare economia o fare le famigerate STEM. Se vogliamo avere dentro l’università persone di valore io non prendo più dottorandi da me perché non trovo persone di lavoro e i soldi pubblici delle borse di studio non li spreco. Quindi preferisco che vadano deserti piuttosto che mettermi dentro dei minus habens che non hanno chance fuori perché questo sta avvenendo. Cominciamo a fare dei distinguo, stiamo trattando ancora con un approccio di massa un tema, la formazione, non voglio dire education, perché un termine che odio, stiamo trattando come la ford modello t un tema che non è più nel mondo nella vita reale e fuori dai nostri uffici non è più così. Chiudo con un ultimo (…). Io darei a tutta la politica dello stato nell’università un semplice parametro di riferimento. Il numero di nati e residenti al nord che si iscrivono nelle università del sud. Chi ha il coraggio di mettere sul piatto una cosa del genere? Nessuno, perché sappiamo che la partita del sud, da questo punto di vista, è una partita persa. C’è poco da fare, poco da girarci intorno. Diciamoci la verità, perché questo è un paese ricco di portafoglio ma povero di comprendonio. Questo parte dalla base fino a certi vertici, a mio modo di vedere. Io ho finito presidente, scusate la cosa out of the box, ma penso che fra noi dobbiamo dirci le cose out of the box e poi non pretendo tale ragione, ovviamente, e quindi mi piace anche di sentire il dibattito grazie.
Mario CALIGIURI: La parola adesso al Presidente, Pietro Lucisano, Presidente della società italiana di ricerca didattica.
Pietro LUCISANO: Grazie Mario. Partirei da una battuta che ha fatto un mio direttore di ricerca commentando le affermazioni del nostro Presidente del Consiglio sul fatto che la DAD ha accentuato le differenze sociali. Ha costruito così la battuta, ha ammesso la copertina del capitale in tedesco e ha cancellato la “s” Das Kapital mettendo DAD Kapital e dicendo che lui da vecchio comunista pensava che le differenze sociali derivassero da qualcosa di diverso dalla scuola, anzi preesistessero alla scuola e di queste ci dobbiamo occupare. Qualche volte a noi intorno alla scuola e all’università costruiamo un discorso che sembra imputare alla scuola e all’università i problemi del Paese. E qualche volta sono i problemi del Paese e del nostro modello economico a creare problemi alla scuola e all’università. Io ho un osservatorio che mi consente di osservare diacronicamente la transizione al lavoro – adesso lo abbiamo anche per Roma Tre e le università del Lazio e della regione toscana – attraverso le comunicazioni obbligatorie la transizione al lavoro dei nostri laureati e vi garantisco che quello che si vede far pensare una domanda di lavoro assolutamente inadeguata a far diventare l’esperienza universitaria un’esperienza che si inserisce in modo positivo all’interno del nostro sistema sociale. Chi mi ha preceduto ha detto che abbiamo una Costituzione che dice con chiarezza che cosa dovrebbe fare la scuola, però da anni siamo al capezzale della scuola e più recentemente anche al capezzale dell’università e abbiamo la sensazione di essere totalmente inascoltati, perché i dati ci sono da sempre. Poco fa Fiorucci ricordava che agli inizi del Novecento ci fu un coro di grandi studiosi che affrontarono il problema di come cambiare il sistema educativo, beh la maggior parte di quelle ricette sono rimaste sostanzialmente lettera morta. Nel nostro Paese c’è pochissima ricerca educativa alla ricerca è residuale ed è considerata residuale da tutti i punti di vista e tutto ciò che viene detto è inascoltato. Nel nostro Paese, dall’unità d’Italia ad oggi, non siamo stati capaci di creare un modello di formazione degli insegnanti. Se è vero quello che diceva Ricci che poi tante cose possono essere parte anche nelle disagiatissime condizioni del presente, è anche vero che per lavorare nelle disagiatissime condizioni del presente ci vuole gente preparata. E noi continuiamo a immettere in ruolo persone che come unico merito hanno quello di avere tappato i buchi per anni di un sistema che non è in grado di reclutare gli insegnanti. Questo è un primo aspetto sul quale però si deve riflettere. Abbiamo detto anche durante questo nostro discorso che c’è un grande bisogno di valutazione. È anche vero, però, che tutti gli strumenti di cui ci siamo dotati finora sono stati costruiti per valutare quello che avviene in basso; pochissimi sono stati valuti lizzati per valutare le politiche e le politiche invece sono fondamentali. Le politiche impattano le grandi differenze che ci sono tra Nord e Sud. Negli anni Novanta la Confindustria mi chiese di fare una verifica dell’andamento della spesa educativa. Ci prendemmo i bilanci dello Stato, i bilanci delle Regioni, i bilanci dei Comuni. Venne fuori che fra una scuola del Sud di 500 bambini e una scuola del Veneto di 500 bambini c’era un differenziale da 1 a 5, aggravato dal fatto che oggi poi nelle scuole è previsto anche il contributo delle famiglie e sul contributo delle famiglie c’era un differenziale altrettanto significativo. Noi abbiamo un sistema nel quale questa uguaglianza e questo ascensore sociale non possono realizzarsi. Sì, è vero che non ci sarà mai uno studente del Nord che va a iscriversi nelle università del Sud; è anche vero che gli studenti del Sud una volta laureati devono andare a cercare lavoro al Nord. Nei dati del 2016 non ho quelli più aggiornati in Sapienza venivano 400 studenti della Lombardia a laurearsi, ma vanno a lavorare in Lombardia 6.000 studenti laureati in Sapienza, in parte delle regioni del Sud in parte del Lazio. Le università per lavorare hanno bisogno intorno in un tessuto di lavoro che consenta realmente di creare una rete di relazioni, perché se non c’è un tessuto di lavoro non c’è sbocco e se non c’è un tessuto di lavoro i nostri ragazzi non stanno attenti a lezione. Se continuiamo a pensare un modello formativo fatto solo di discipline e a riversare sui ragazzi nozioni di una scienza che, via via, è sempre superata da persone che non hanno la capacità di aggiornarsi, questo ha un effetto drammatico sulla motivazione, sulle soft skill, sulle abilità dei nostri studenti. Se non abbiamo nelle nostre università le risorse elementari che ci tengano al passo del progresso tecnologico, tendenzialmente un ragazzo che esce dall’università dovrebbe entrare in azienda dicendo “io in università ho usato attrezzature all’avanguardia che voi in azienda ve le segnate” e sarebbe un volano dello sviluppo economico del Paese se fosse così, ma in università i ragazzi utilizzano computer obsoleti, nella maggior parte dei casi, e quando vanno in azienda fanno fatica a mettere le mani su quelli sui quali dovrebbero essere addestrati a lavorare. Quindi c’è un problema strutturale al quale dobbiamo dare una grande attenzione: le politiche di reclutamento dei docenti, le strutture nelle quali gli insegnanti lavorano. Abbiamo detto delle scuole e del loro stato: lo stato delle scuole è lo stesso, anche qui, dall’unità d’Italia, dalle prime ricerche che i governi dell’Italia Unita facevano sullo stato delle scuole, se li prendete e li mettete in parallelo allo stato delle scuole di oggi vedete che, sostanzialmente, non c’è differenza reale. Si tratta di cambiare l’ottica con cui affrontiamo questo discorso e l’Eurispes ha una grande occasione, cioè di realizzare un osservatorio che guardi un po’ alle responsabilità in alto, alle responsabilità di chi si limita ad indicare fini senza mai ragionare un secondo sui mezzi che sono necessari e i mezzi sono risorse umane e risorse materiali. Quando si fa un progetto bisognerebbe farlo cantierabile: molte volte si pensa che sia possibile fare la formazione dei docenti senza risorse, senza risorse umane di persone che fanno formazione, senza che le persone che fanno formazione abbiano occasione di fare ricerca. Questi sono i problemi che abbiamo di fronte e rispetto ai quali credo limitare l’ottica alla valutazione dei risultati è importante, ci dà informazioni. Io ho avuto la possibilità di coordinare un paio delle indagini sullo stato della scuola nel nostro Paese e poi osservare i risultati che di anno in anno con merito l’INVALSI ci offre. I risultati sono sempre gli stessi il fatto è che nel frattempo non si fa niente per cercare di cambiare in modo serio e non soltanto con indicazioni al fare di più. Guardate che in parte le tante indicazioni al fare di più nella scuola contrastano con la possibilità di ottenere nella scuola risultati positivi, perché l’eccesso di indicazioni è rumore che finisce per impegnare gli insegnanti in una quantità di attività (lo vediamo anche in un’università), di riunioni, che col senso nel nostro lavoro, che dovrebbe essere quello di fare ricerca e insegnare perché facciamo ricerca, non hanno niente a che vedere. Non è un caso che il collega prima dicesse “io mi sono messo a tempo parziale” viviamo in una condizione in cui il nostro, che è uno dei mestieri più belli del mondo, viene vissuto con il disagio. Dobbiamo provare ad ascoltare le ragioni di questo disagio e poi provare anche ad indicare dei rimedi e poi anche a pretendere che le nostre indicazioni di rimedi vengano ascoltate. Una colla affligge la ricerca in educazione: è che la percezione dell’inutilità delle indicazioni che andiamo a dare spinge a fare ricerche sempre più particolari, fatte soprattutto per fare articoli e concorrere al concorso a punti che serve per diventare docenti universitari e non all’idea di poter proporre qualche cosa che cambi effettivamente il modo di vivere dei nostri studenti all’interno della scuola, il modo di lavorare dei nostri colleghi insegnanti, il modo di lavorare di noi stessi. L’idea di un osservatorio che valuti le politiche e che quindi non si limiti a dire se gli insegnanti fossero meglio, la scuola sarebbe meglio, ma anche a dire che cosa occorre perché gli insegnanti siano meglio, credo che sia la sfida grande che abbiamo di fronte.
Mario CALIGIURI: Grazie caro Pietro per la complessità delle tue analisi che pongono sul piatto temi fondamentali. La parola per un brevissimo saluto ad Antonello Giannelli, Presidente dell’Associazione Nazionale Presidi.
Antonello GIANNELLI: Buongiorno, grazie Mario, ti ringrazio ancora per l’opportunità. Ringrazio il Presidente Fara. Mi scuso per essere intervenuto così all’ultimo e per dovervi salutare subito perché ho un’altra call in coda. Naturalmente questa è una grande occasione, inutile nasconderselo, il professore Lucisano mi ha quasi rubato le parole di bocca. Sono sostanzialmente d’accordo con tutto quello che ha detto. Noi abbiamo una forte emergenza educativa e credo che questo osservatorio sia nella posizione giusta per farsene carico, per analizzare i risultati e per proporre delle soluzioni. In realtà, come diceva Lucisano, si tratta anche, per l’appunto, di cambiare la prassi didattica. Non possiamo pensare di continuare a fare lezione, nel mondo del Ventunesimo secolo, con una mentalità, con un’impostazione, con un paradigma culturale e metodologico che è sostanzialmente quello di cento anni fa della Riforma Gentile. Facciamo convegni, partecipiamo ad aggiornamenti, ci diciamo sempre queste stesse cose, ma la realtà sostanzialmente non cambia molto. Bisogna effettivamente investire, credo che il PNRR ce ne dia la possibilità, massicciamente nell’aggiornamento e nella formazione degli insegnanti, tutti gli insegnanti, ma deve essere una formazione dal punto di vista metodologico. Si continua a confondere il buon insegnamento con il rimpinzamento, scusatemi questo termine, di nozioni. Le nozioni bisogna possederle, perché non si può ragionare di competenze, non si può ragionare di nulla se non si hanno delle nozioni. Il problema è che bisogna riuscire a dare un senso, a costruire un quadro di senso di tutto questo come prima evidentemente non c’era bisogno; in una scuola di massa c’è bisogno di questo. Nella scuola di un tempo, che selezionava un’élite, no, perché il processo che attribuiva senso contribuiva al processo di scelta dell’élite futura e chiaramente era mediamente guidato dall’appartenenza sociale, dall’estrazione della famiglia di provenienza come è ancora oggi. Dobbiamo effettivamente studiare questo problema, che è un problema noto, non è che lo inventiamo certo oggi, però dobbiamo riuscire a farci sentire dalla politica, perché si possano trovare delle soluzioni. È chiaro che è molto più comodo fare lezione riversando nozioni sugli alunni, seguendo il programma, concetto che non sarebbe più presente nel nostro ordinamento, ma tutti continuano ad evocarlo come un fantasma e quindi avanti lungo questa linea. Non dubito che riusciremo a fare qualcosa di significativo, mi limito a questo breve saluto e spero di rivedervi tutti molto presto. Ancora un saluto a tutti voi e auguri di buon lavoro. Grazie.
Mario CALIGIURI: Grazie, ci ha raggiunti il Capo di Gabinetto del Ministro dell’Istruzione, il dottor Luigi Fiorentino.
Luigi FIORENTINO: Buongiorno a tutti, caro Professor Caligiuri, sono molto contento diciamo di intervenire e di portare il saluto a questo evento di Eurispes, ma soprattutto per le tematiche. Questa è una bellissima occasione, perché si sta sviluppando un dibattito di grande livello centrato sulle problematiche della scuola, sulle problematiche dell’educazione. Ho ascoltato il ricercatore, il professore universitario che è intervenuto prima, ponendo tutti i temi della ricerca, dei dottori di ricerca e quindi di un problema più grande che c’è in Italia per l’istruzione superiore ma anche universitaria. Oltre al saluto mio e del Ministro naturalmente voglio semplicemente ribadire 2 concetti: i problemi della scuola sono problemi in Italia che durano da molti anni. In questi anni e soprattutto nell’ultimo anno con il ministro Bianchi alcune tematiche si stanno affrontando, anche perché il Piano Nazionale di Ripresa in Resilienza, il PNRR, in particolare la parte relativa all’istruzione sul PNRR di oltre 17 miliardi che avremo a disposizione nei prossimi anni ci consentono di ridefinire quelli che sono i parametri complessivi del sistema scolastico sia dal lato delle riforme sia dal lato degli investimenti. Il tema vero che c’è nel nostro Paese è un tema che noi dobbiamo affrontare, dobbiamo affrontare con una programmazione pluriennale ed è un tema che attiene soprattutto alla valorizzazione degli insegnanti, alla valorizzazione dei dirigenti scolastici. Questo va fatto sia in termini di strumenti, sia in termini di formazione. Va fatto anche diciamo in compatibilmente con i problemi di finanza pubblica e quindi sempre in un’ottica generale di Governo perché queste sono politiche generali politiche che non si possono risolvere da un solo palazzo, ma sono politiche che richiedono la consapevolezza dell’intero Governo, consapevolezza che c’è assolutamente in questo Governo, cioè da parte del Presidente Draghi, e c’è naturalmente da parte del Ministro Bianchi, che con il suo entusiasmo diciamo riesce sempre a delineare un percorso per raggiungere gli obiettivi. Gli obiettivi sono quelli della valorizzazione della funzione docente, della valorizzazione anche economica. L’occasione vera è data dalle riforme e dagli investimenti del PNRR e qui io ho sentito qualcuno che lo diceva in precedenza c’è naturalmente il tema dell’efficienza delle strutture pubbliche, dell’Amministrazione pubblica che dovrà realizzare questo Piano. Perché è molto difficile realizzare questo piano? Perché questo Piano rappresenta davvero una sfida per il nostro Ministero, ma per il Governo nel suo insieme? Perché la caratteristica proprio del PNRR, come voi sapete, è che si tratta di un programma d’insieme, non è il Pon dell’istruzione, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è il programma del Governo, è unitario e quindi la parte istruzione si integra con le altre parti del programma in maniera coerente e la vera sfida quindi è l’attuazione. La difficoltà dell’attuazione di questo programma, la difficoltà che io sono ben confidente per l’impostazione che il nostro Ministro ha voluto dare, sono certo che andremo fino in fondo e raggiungeremo come già abbiamo fatto in questo anno tutti gli obiettivi previsti dal PNRR. La difficoltà vera è il fatto che il sistema dell’istruzione è un sistema stellare non è un sistema unitario, è un sistema che si compone del centro, di una periferia del centro, mi riferisco ai nostri uffici scolastici regionali e agli àmbiti territoriali quindi sul territorio, ma mi riferisco anche al sistema delle scuole autonome. Tutto questo naturalmente richiede un grande sforzo di Amministrazione per realizzare il piano, perché c’è una responsabilità politica del Governo e del Ministro, e poi ci sono i soggetti attuatori che sono i Comuni e le Province. Poi ci sono gli investimenti, importantissimi. Professor Caligiuri, tu ti occupi di queste cose da decenni, quindi tutti guardiamo a te con grandissima attenzione almeno per quanto mi riguarda anche per imparare. Devo dire con molta chiarezza che noi qui abbiamo almeno due interventi, ma tutti gli interventi sono fondamentali. Voglio far riferimento in particolare a 2 di questi interventi, perché sono del Sud e credo che siano molto importanti. Mi riferisco a quello sulla dispersione scolastica: è un miliardo e mezzo noi dobbiamo fare meglio che in passato, dobbiamo far sì che questo programma sia un programma che si concentri effettivamente su quelle aree dove la dispersione è reale, è evidente, dove gli indicatori dell’INVALSI ci dicono che c’è dispersione. Questo programma ci sfida, perché la differenza rispetto ai Pon è che ora l’Europa non ci ha messo soltanto il timing come voi tutti sapete è un timing molto importante, un timing centrale, se non si realizza entro quel termine perde l’opportunità, non ti pagano, non ti danno le risorse, non hai nessuna risorsa, questo il primo aspetto. Il secondo aspetto importante è la sfida: non ti dice fai il progettino, dai i soldi alla scuola, coinvolgi gli insegnanti, fai qualche corso. Questa è un’ottica riduttiva, quello che ci dice il piano, che ci dice l’Europa, è tu devi riportare in aula i ragazzi, i dispersi, coloro che hanno abbandonato la scuola, e deve riportare in aula anche quelli che hanno oltre 18 anni, che hanno fra i 19 e i 24 anni, per dargli una seconda opportunità, per utilizzare un gergo comunitario, cioè devi dargli una qualifica professionale, gli devi imparare un mestiere, devi rimetterli nel circuito. Per fare tutto questo è importante la sinergia istituzionale, ma non solo con le istituzioni pubbliche; è importante la sinergia con il terzo settore, è importante la sinergia con gli Enti locali, è importante la sinergia con la chiesa, è importante la sinergia con tutti quei soggetti che sul territorio sono protagonisti vivi e quindi sanno capitare. L’Europa non ci darà le risorse se noi facciamo un progetto e firmiamo che abbiamo fatto il progetto, l’Europa ci darà le risorse se sarà certificato che ritornano in aula un certo numero di alunni come previsto dal Piano (e vi dico qual è il target) e se riattiviamo anche per le persone che sono nella fascia 19-24 un circuito di seconda opportunità. Il target qual è? Di riportare entro il 2025, fine 2025, il target nazionale della dispersione al target europeo 2019, quindi a 10, 2 rispetto al 13,9 che era del 2019 per l’Italia. Questa è una grandissima sfida, così come è una grandissima sfida il progetto di investimento relativo agli istituti tecnici superiori, perché si tratta di riconnettere sui territori l’istruzione avanzata, l’istruzione di alto livello con le filiere produttive e tutto questo deve essere fatto anche qui con un target ben preciso, cioè deve essere fatto raddoppiando quelli che sono gli iscritti alle 2020, nel 2025 noi dovremmo avere il doppio di iscritti. Naturalmente la gente si scrive se ha le idee chiare, se c’è un percorso di orientamento che accompagna. Questi sono due investimenti tra i più importanti a mio modo di vedere; poi ci sono le 6 riforme, quella del reclutamento è una riforma centrale, una riforma importante che entro giugno 2022 va presentata; c’è la scuola di alta formazione che è una vera novità, però in questa sede che è una sede così importante, così elevata dove vi sono persone che operano nell’ambito delle istituzioni universitarie, voglio dire che noi non vogliamo costruire, il Ministro Bianchi non vuole costruire un carrozzone. La scuola non sarà un’ennesima struttura burocratica, la scuola sarà un bordo che aiuterà il Ministero a pensare la formazione degli insegnanti, il reclutamento, le modalità di reclutamento e così via. Occasioni come queste sono molto importanti, perché è importante il dibattito che voi state facendo, saluto naturalmente il Presidente dell’Eurispes Fara, saluto l’amico Mario, saluto tutti voi. Il mio messaggio semplicemente è che il Ministero dell’Istruzione è sul pezzo, perché c’è un grande programma europeo, perché c’è un Ministro che ha le idee chiare di dove andare, perché c’è una struttura che seppure ridimensionata nel corso degli anni per i pensionamenti per l’invecchiamento, riesce comunque a raggiungere i risultati e noi stiamo qui per ricostruire la struttura, da un lato, e per realizzare gli obiettivi del piano per garantire a tutta la popolazione un servizio di istruzione di qualità e le riforme vanno assolutamente in quella direzione. Grazie.
Mario CALIGIURI: Grazie al dottor Fiorentino per la generosità dei suoi apprezzamenti, soprattutto per l’intervento in cui ha evidenziato le fondamentali politiche del Ministero della pubblica istruzione in vista dell’attuazione del PNRR. Ci sono grandissime sfide tra le quali quelle di allineare la dispersione scolastica italiana a quella europea, il reclutamento degli insegnanti e il potenziamento degli ITS. Grazie ancora caro Luigi. La parola adesso al rettore dell’Università Mercatorum, professore Cannata.
Giovanni CANNATA: Grazie molte, ho ascoltato con una grande attenzione ed all’inizio tutte le considerazioni che sono state svolte. Saluto tutti, tanti amici che vede in giro. Voglio dire una cosa molto concreta. Io mi sento molto vicino all’intervento di Alberto Mattiacci e lo dico con grande franchezza. Io ho retto le università pubbliche per 18 anni e da sei anni reggo una università non statale, vi devo dare però qualche segno di insofferenza. Il segno di insofferenza è che come ha detto poco fa il mio amico Luigi Fiorentino questo è un sistema stellare. Noi siamo nella situazione di dover mettere insieme tutti i pezzi che fanno agenzie educative all’interno di questo nostro sistema italiano. Questo oggi non accade, Antonio Uricchio lo sa perfettamente, in maniera chiara e operativa. Dentro questo tavolo ringrazio Gian Maria per avermi invitato con Caligiuri a fa parte di questo tavolo, tavolo che ci vede insieme. Ho scavato trovando un libretto che abbiamo fatto insieme e che mi sembra emblematico: stamattina siamo partiti col tema delle povertà educative e questo libretto fa riferimento ad un lavoro fatto insieme ad Eurispes ormai da qualche tempo addietro.
Gian Maria FARA: Giovanni perdonami se ti interrompo. Mentre parlavamo mi hanno portato questo librone, invece, che è il primo Rapporto Nazionale sulla scuola del 2003. Sono passati vent’anni e stiamo dicendo le stesse cose di vent’anni fa. I problemi sono sempre quelli, così come le urgenze e le emergenze.
Giovanni CANNATA: Purtroppo funzionato così. Caro Gian Maria, c’è da interrogarsi perché funzioni così, c’è da interrogarsi perché ancora di fronte alle problematiche di cambiamento che sono state ricordate nell’intervento precedente, noi rispondiamo soltanto e prevalentemente con il tema le risorse finanziarie del PNRR. Io non ne faccio uso. Quello che è preoccupante è non comprendere lo dico veramente con grande enfasi al mio amico Antonio Uricchio, quello che io non riesco a comprendere è come non si riesca a ragionare sul fatto che tutte queste varie agenzie formative che esistono nel sistema possano essere messe al sistema. Quando apprendo di steccati che si determinano nell’accesso anche a fatti innovativi, per esempio il fatto straordinario di lavorare sulla formazione della Pubblica amministrazione, perché poi se i soldi ci sono e il cavallo non beve questo deriva dal fatto che probabilmente non abbiamo una Pubblica amministrazione adeguata, allora un grande sforzo dovrebbe essere il fatto su questo, mettere insieme le risorse. Questo non accade dobbiamo avere il coraggio di dircelo adesso prendo atto con piacere che dopo lunga e penosa sofferenza il Ministero dell’università ha convocato un tavolo in cui invita le università telematiche ad incontrarsi per discutere, per fare alcune riflessioni. Non ho bisogno di fare difesa dell’università telematica. Io sono Rettore di un’università telematica che nasce dalle Camere di Commercio, che sta sui territori, che ha cercato di interpretare i bisogni dei territori; credo fortemente nel valore della valutazione e dell’accreditamento iniziale, perché noi eroghiamo servizio pubblico al pari di tutti quanti, ma al pari vuol dire che la libera concorrenza ci pone ai blocchi di partenza in condizioni eguali. Poi corriamo e vediamo chi ha da tessere la tela. Vedete abbiamo atteggiamenti molto vecchi, permettetemi di dirlo. Io ho 75 anni e dal Settantaquattro sono stato di ruolo nelle università italiane. Ne ho viste di cose cambiare. Noi siamo vecchi negli approcci, abbiamo necessità di svecchiare assolutamente questo modo con cui noi interpretiamo la nostra presenza nelle Istituzioni. Ognuno fa quello che può. Io prometto al Presidente Fara e al professore Caligiuri di fare una buona attività di rappresentazione all’interno di questo tavolo delle potenzialità del tema formazione a distanza – rispetto al quale io sono basito del fatto che le università si siano trovate spiazzate nel momento in cui dovevano erogare formazione a distanza, ma soprattutto sono basito dal fatto che le difficoltà si siano realizzate nel mondo della scuola. Non ho figli piccoli come Alberto Mattiacci ma sono nonno e seguo le attività delle mie nipoti e ho visto il grande sforzo che si è dovuto fare da questo punto di vista. Penso che occorra avere una visione un po’ più coinvolgenti di tutte le realtà che operano nel sistema. Questa è una dichiarazione di principio che faccio ai 13 sopravvissuti del Comitato Scientifico che hanno avuto la pazienza di rimanere in linea come ho fatto io. Cercheremo di dare un contributo anche per il 34esimo Rapporto Eurispes. Sono molto lieto che questa cosa avvenga, che un’istituzione indipendente quale quella che tu Gian Maria hai avuto la preveggenza di fondare tempo fa faccia questo lavoro. Vi ho ascoltato con grande interesse.
Mario CALIGIURI: Grazie professore Cannata, la parola a Paolo Benanti, della Pontificia Università Gregoriana di Roma.
Paolo BENANTI: Grazie, buongiorno. È per me un onore aver ascoltato gli interventi della mattinata e poter, per quanto posso, portare una prospettiva. Io nel Settantaquattro nascevo, quindi ero ancora lontano dal mondo universitario ma, ahimè, ancora lo frequento. La mia storia, anche come ragazzo che scopre il computer in epoca giovanile, è più attenta alle dinamiche del digitale, dell’Intelligenza Artificiale e soprattutto di questa nuova forma che sta assumendo il capitalismo nei confronti del digitale che sono le Platform. C’è una distribuzione di servizi di intermediazione così radicale. Rispetto ai temi che ci siamo detti volevo provare a dare una prospettiva che è quella di come il digitale interseca, è interessato e, in qualche misura, può influire su questi temi. Il primo è questo: di fatto algoritmi che sono stati studiati per orientare il comportamento dei consumatori all’interno di un mercato globale sempre di più hanno influenza su quello che è la formazione di comportamenti personali e di formazione del vissuto delle credenze delle persone. Questa forma di educazione implicita almeno dal maggio dello scorso anno, grazie agli studi del dl Proceedings of the National Academy of Sciences siamo in grado di chiamarla come una stewardship globale del comportamento. Allora esiste e resiste una forza di educazione almeno implicita che ha un effetto ed è effettiva all’interno di questo scambio di servizi gratuiti in cambio dei dati degli utenti. Questa è un’istanza e quindi ci dice che c’è un nuovo attore all’interno di quello che è la formazione delle persone, dove per formazione è chiaro che indico un qualcosa di profondamente riduttivo rispetto all’educazione e anche di diverso rispetto all’education, ma che in qualche misura ci interpella. La seconda questione è una questione che riguarda l’effetto che hanno questi algoritmi da un punto di vista sociale: di fatto un algoritmo che ha il potere di orientare la vita delle persone assomiglia molto ad un altro artefatto umano che si chiama legge. La legge è un dispositivo che, in qualche misura, vuole regolare il comportamento umano. Il nostro sistema democratico ci ricorda che uno stato di diritto ha bisogno che la legge o qualsiasi cosa ad essa assimilata goda di alcuni princìpi, uno di questi è la conoscibilità un’altra è l’universalità, un’altra la generalità. Un algoritmo che funziona da pseudo-legge non gode di conoscibilità, perché è un qualcosa di codificato che esegue solo la macchina o, quantomeno, se anche fosse open source non sappiamo tra il codice scritto e il codice eseguito quale sia l’equivalenza. Non è universale, perché l’algoritmo in questione profila e scegliere gli utenti; non è generale perché il soggetto non è chiunque, gestito secondo funzionamento democratico, ma solo il padrone del server. Tutto questo è anche in tensione con il funzionamento del sistema democratico di cui l’istruzione e la scuola e una forma di educazione dovrebbe essere compartecipe. La terza grande questione è, sempre per quanto riguarda la mia esperienza, il fatto che le grandi aziende Hi-T non trovino all’interno dei grandi sistemi istruttivi e informativi delle competenze adeguate e stanno offrendo delle loro scuole. Una tra tutte penso al P-Tech di IBM, che si propone di essere surrogato dei processi universitari ed almeno negli ultimi due anni dei processi di formazione superiore. Se noi lasciamo alle compagnie private di poter surrogare l’identità, facciamo l’accesso ai server con un log in da loro fornita, la moneta, con la moneta digitale, e anche l’educazione, direi che il digitale ci provoca almeno su altri tre fronti. Con questo spirito mi unisco al coro di chi ha parlato e spero di poter veramente contribuire ad un sistema, quello pubblico, che è stato anche alla base della mia formazione e al quale sono molto grato.
Mario CALIGIURI: Grazie per il tuo contributo costruttivo e intelligente. La parola adesso la dottoressa Saurini, di Save the Children.
Arianna SAULINI: Buongiorno a tutti, buongiorno Professor Caligiuri, grazie per l’invito Ho sentito molti interventi e quindi non ripeto alcune cose che sono state dette ma ci terrei a tornare sul tema dell’investimento, cioè di investire nell’educazione. Ieri ero ad un convegno a Bologna dove parlava appunto il Commissario Europeo per l’Educazione, di investimenti nella prima infanzia e della necessità di metterlo nell’agenda politica dei vari paesi, cosa che peraltro molti stanno facendo in questo momento. Credo che il tema della prima infanzia, quando si pensa al percorso educativo, cioè il fatto che parte dallo 0-6, sia un tassello fondamentale. Noi come Save the Children abbiamo spinto tantissimo affinché si potesse inserire nell’agenda politica il tema dell’integrazione del 0-6, e anche del primo segmento, cioè lo 0-3, e questo perché ci sono studi che dimostrano, come anche noi nel nostro piccolo avevamo fatto con una pubblicazione in cui dimostravamo come le disuguaglianze si creano fin dai primi 1000 giorni fin dai primi dai primi mesi di vita. Credo che fondamentale sia però, in questo momento in cui questo messaggio è passato, qui si sta parlando banalmente dei nidi, tener conto di quello che è un divario enorme che abbiamo nel nostro paese. Sappiamo che lei viene dalla Calabria, dove l’accesso è intorno al 3%. Quindi l’obiettivo del 33% è molto lontano per alcune regioni. Va però pensato anche al contrario, cioè quei bambini anche in una regione come l’Emilia Romagna cioè quel 60%-70% per cento dei bambini che non usufruiscono del servizio lì chi sono? Sono i bambini, molto spesso, anche di famiglie più svantaggiate dal punto di vista economico e sono famiglie e bambini che vivono in aree il territorio sprovviste di ogni tipo di servizio socio-educativo-sanitario. Quindi nell’investire occorre anche avere una lungimiranza nel capire dove va investito maggiormente e con quale priorità proprio perché bisogna avere attenzione a quelli che sono i divari del nostro paese. L’altra considerazione che in questo momento stanno arrivando dei fondi sui nidi, ma i fondi del piano nazionale di resilienza, che sono i fondi per la costruzione dei nidi, devono essere affiancati, e per fortuna la legge di bilancio lo ha fatto in maniera assolutamente ottima nel livello essenziale LEP sui nidi, mettendo dei soldi che probabilmente non saranno sufficienti, però i fondi del PNRR vanno affiancati ad altri fondi integrati in maniera che ci sia una visione, una strategia rispetto agli obiettivi che si vogliono raggiungere e questo perché altrimenti, e ne parlavamo anche noi in una recente pubblicazione in cui parlavamo di arcipelago delle risorse, perché nello 0-6, che può essere un caso di studio perché si vede come l’attenzione politica e fondi in alcune regioni dove c’erano dei fondi europei e non si è riuscito ad investire nelle cosiddette regioni di convergenza, perché non c’era una struttura per poter impiegare quei soldi in maniera efficace. Ecco, il ragionamento che ha fatto in questo momento è capire effettivamente l’efficacia dei fondi che arriveranno perché al di là dei bandi importantissimo noi abbiamo dei problemi di fondi che sono quelli dei divari, divari socio-economici, divari di aree territoriali, anche divari di genere come è già stato detto ma che è un aspetto interessantissimo. Sentivo gli interventi all’inizio rispetto ai dati che abbiamo nell’atlante dell’infanzia a rischio di due anni fa, abbiamo preso tutta una serie di dati disponibili disaggregandoli per genere. Allora quando parliamo di LEP quello che magari salta all’occhio è che anche in regioni virtuose c’è un divario tra ragazze e ragazzi. Quindi le ragazze vanno meglio a scuola banalmente fino ad un certo punto, poi con il l’ingresso nel mondo del lavoro la cosa si inverte e allora si inverte anche però quando, guardando i dati perché vedete il rapporto tra i maschi e le femmine è di 1 a 4 per ragazzi ma diventa 1 a 5 per le ragazze e questo non solo nelle regioni del sud ma anche in Emilia Romagna e Trentino Alto Adige. C’è comunque un problema di genere. L’altra cosa fondamentale ecco diciamo fin dalla prima infanzia e poi un tema molto forte anche qui è presente nel PNRR è il tema delle mense, della refezione scolastica intesa come momento non solo del pasto ovviamente, ma di integrazione e anche propedeutico all’apertura delle scuole nel pomeriggio. Di nuovo c’è un bando che è già aperto e avviato sulle mense scolastiche per 1000 edifici, quindi sarà limitato, ma va affiancata una strategia se si vuole tenere aperte le scuole anche con il supporto dei territori e di nuovo gli investimenti andrebbero focalizzati in quelli che sono i territori più deprivati. Il problema dei bandi, e questo credo che sia una cosa su cui ragionare in termini proprio di monitoraggio, è capire se il bando effettivamente va a colpire quello che è il territorio; si parlava di indicatori della povertà educativa in legge di bilancio del 2018. C’era un’indicazione per costruire degli indicatori di povertà educativa, in maniera tale che il Ministero e i bandi potessero andare prima di tutto a investire in quelle scuole, in quei luoghi che sono quelli in cui c’è un alto tasso di dispersione scolastica e non solo una serie di indicatori da concordare e ancora in itinere. Quindi, è un problema diciamo non solo di fondi, ovviamente. Io mi ritrovo molto in quello che aveva detto la Professoressa Ugolini, nel dire che ci vuole una visione e che se manca la visione complessiva, non c’è una strategia e quindi non è solo una questione di fondi. Però è vero che in questo momento, e concludo, siamo in un momento in cui la pandemia e i fondi che arrivano dal livello europeo, oltre a tutte l’impatto negativo, ci offrono un’opportunità per ripensare un sistema scolastico che, come avete detto all’inizio proprio in apertura, è un sistema scolastico a cui dedichiamo uno dei tassi più bassi del pil a livello europeo abbiamo fatto dei tagli lineare all’istruzione degli anni di cui paghiamo ancora oggi. Questo è un momento che offre un’opportunità da non perdere: non ci possiamo permettere di perdere quindi tutto quello che possiamo fare in termini di monitoraggio, di orientamento degli investimenti e di creare, sostanzialmente, un sistema, perché bisogna dare più importanza a quella che è la capacità di progettare, di spendere e investire, quindi occorre monitorare anche quella che è l’efficacia e l’impatto attraverso l’uso dei dati lo possiamo fare. E lo possiamo misurare andando a vedere se effettivamente investendo quei soldi e con quel tipo di programmazione andiamo ad impattare perché, alla fine, il risultato ultimo è impattare sulla povertà educativa dei nostri ragazzi e sugli altri indicatori che sono rilevanti.
Mario CALIGIURI: Grazie cara Arianna tu hai toccato un punto fondamentale, quello della povertà educativa che è centrale soprattutto nelle regioni del sud. Adesso se è in linea la Professoressa Carla Xodo dell’Università di Padova le passo la parola per il Suo intervento, prego Carla.
Carla XODO: Innanzitutto ti ringrazio per questa bella iniziativa di cui credo noi abbiamo veramente bisogno, perché non voglio adesso ripetere tutto quello che è stato detto stamattina, in quanto sono stati toccati molti temi e sono temi che abbiamo tutti un po’ sotto controllo o che cerchiamo almeno di avere, ma io vorrei soltanto soffermarmi, facendo riferimento alla realtà che rappresento. Io sono stata Presidente di un’associazione nazionale pedagogica che è nata proprio sul problema della ricerca. Ho sentito colleghi che prima sono intervenuti sottolineando come ci sia poca ricerca educativa in Italia. È vero, non c’è molta ricerca in Italia, ma c’è però. Il problema è come si fa ricerca educativa in Italia e si fa ricerca educativa, a mio modo di vedere, senza cercare di valorizzare e di ampliare maggiormente l’aspetto della dimensione empirica della ricerca. Noi abbiamo molta ricerca teorico-pedagogica, molta ricerca storica-pedagogica e poca ricerca empirica; poca ricerca empirica collegata a quella storica e a quella teorico-pedagogica per una tradizione culturale che non sto qui adesso a rivangare ma che tutti abbiamo presente. Allora noi abbiamo la necessità proprio di potenziare e di innovare la ricerca cercando di articolarla su tutti questi fronti. Abbiamo bisogno di avere un linguaggio nuovo anche della ricerca, perché nel momento in cui noi tocchiamo la realtà, noi parliamo molto di come l’educazione dovrebbe essere ma non parliamo di come l’educazione di fatto è. Abbiamo difficoltà a collegarci con questa realtà, ad assumere anche il linguaggio che effettivamente viene speso in educazione. È una questione di linguaggio e per questo io non mi scandalizzo, anzi: credo che il linguaggio sia una realtà molto viva molto mobile, il linguaggio si rinnova continuamente e deve rinnovarsi anche quello educativo e pedagogico. Io non mi scandalizzo quindi se nel linguaggio educativo pedagogico, per esempio, entrano temi e entrano prospettive di collegamento ad ambiti di ricerca che sono stati visti con una certa diffidenza sempre nel nostro ambito come ad esempio l’economia, per esempio. L’educazione è anche un investimento di tipo economico, perché la vita umana è fatta certamente di bene, di buono, ma anche di utile. Noi lavoriamo anche per l’utile non solo per il bene per il buono e per il bello come dicevano gli antichi. Io credo che il problema dell’educazione, della pedagogia è quello di riuscire a mettere insieme queste tre dimensioni non di escludere quella che diventa più problematico gestire e quindi di tornare a trincerarsi dietro vecchi schemi che oggi devono essere superati perché noi non rinnoviamo e non risolviamo il problema dei neet, il problema della dispersione, come è stato detto, se non riusciamo a leggere la realtà per come la realtà oggi è, e non ci daspo non ci consente sconti su questi fronti. Quindi io non mi scandalizzo se si parla anche di investire in capitale umano; perché io devo scandalizzarmi quando lo leggo pedagogicamente? Ultima questione che voglio affrontare è questa la formazione degli insegnanti. Si è detto non bisogna immaginare che tutto dipenda dalla scuola, dagli insegnanti, perché c’è anche difficoltà che sono preliminari e che avvengono sul piano sociale; sappiamo di realtà sociali e socio-culturali diverse nel nostro paese, però io credo anche che se noi parliamo di educazione e siamo degli esperti in educazione, in pedagogia dobbiamo anche concentrarci sul nostro ambito e allora dobbiamo anche avere il coraggio di dire quello che non avviene che non la si realizza in maniera conveniente al nostro interno. Allora, è inutile negare che la mia esperienza universitaria e scolastica prima mi dice che c’è una tendenza che è sempre presente che quell’appunto dell’autoreferenzialità: noi ci andiamo sempre a difendere attraverso questo atteggiamento autoreferenziale per cui ragioniamo sempre cercando prima ciò che conviene all’istituzione, conviene al mantenimento di uno stato di fatto, piuttosto che valutare ciò che invece dovrebbe essere dato in termine poi i nodi risultato sul piano sociale e sul piano economico e allora dobbiamo avere anche il coraggio di dire che ragionando in termini di autoreferenzialità non possiamo negare, dobbiamo evitare cioè questo modo di dire, che in Italia da quando è stata istituita la scuola pubblica, non abbiamo ancora deciso in che modo si forma un insegnante. Abbiamo sperimentato alcune modalità, abbiamo istituito gli orsai, abbiamo istituito i TFA eccetera eccetera ma noi non sappiamo ancora decidere come si forma un insegnante e questo è problema fondamentale ed è un problema appunto che va a colpire, a cogliere quell’aspetto, che è stato evidenziato, per il quale non basta avere delle risorse, non basta quindi avere delle leggi che innovano, bisogna che ci siano anche i muratori che sappiano costruire le case si è detto, quindi se non abbiamo insegnanti formati, non possiamo immaginare bene come possano essere risolte tante questioni che riguardano il nostro paese. e qui mi fermo qui essendo che a mio modo di vedere abbiamo di fronte un problema di ricerca, un problema di creare una comunità scientifica dialogante dal punto di vista della ricerca e credo che l’iniziativa dell’Eurispes sia fondamentale proprio perché essendo un organismo esterno riesce a superare tante difficoltà di dialogo che accadono all’interno dell’accademia e favorire questa comunità da un punto di vista esterno ed unitario che è fondamentale per poter dare un impulso innovatore nella soluzione dei tanti problemi che abbiamo di fronte, grazie. A voi.
Mario CALIGIURI: Grazie a te cara Carla per il contributo molto oculato, opportuno che ci hai rassegnato e che raccoglieremo certamente le indicazioni che tu ci hai detto. Adesso, la parola al Dottor Gerolamo Balata che è il responsabile della sede Eurispes dell’importante Regione della Sardegna
Gerolamo BALATA: Buongiorno Presidente, la ringrazio per avermi invitato a far parte di questo prestigioso Comitato. Un saluto al Direttore dell’Osservatorio Mario Caligiuri e agli autorevoli componenti del Comitato Scientifico. Ho ascoltato con interesse le relazioni introduttive, soprattutto nella parte in cui le politiche educative vengono poste al centro dibattito pubblico. Io oggi vi porterò, dopo una breve premessa, l’esperienza della sede regionale sarda dell’Eurispes, che ha ritenuto necessario, durante la pandemia, dare vita ad una fase di studio e ricerca all’interno della scuola per verificare come gli adolescenti stavano vivendo quella fase difficile dalla loro vita che poteva avere effetti negativi nel loro sviluppo culturale, civile e sociale. La scuola, come tutti sappiamo, ha ricoperto soprattutto nel passato un ruolo fondamentale della crescita nella formazione degli studenti, favorendo il processo di costruzione della loro identità. Questo ruolo oggi, alla luce delle trasformazioni in atto, dovute soprattutto al progresso tecnologico, ha la necessità di essere ridefinito. L’esperienza scolastica è essenziale nella crescita individuale a patto però, che sia la scuola, che la famiglia e la società più in generale, si dotino di mezzi e metodi educativi più adeguati ai tempi. I ragazzi, fin dai primi anni di vita, crescono in un mondo che, rispetto al passato, si muove più velocemente. Nascono da subito coinvolti nella tecnologia e vivono in totale sintonia con gli strumenti di comunicazione sfuggendo quasi sempre al controllo degli adulti. Un ambiente così caratterizzato, influenza necessariamente il vivere quotidiano dei ragazzi e degli alunni. Cambia il linguaggio, cambiano i tempi e il modo di relazionarsi. È necessario trovare un punto d’incontro che favorisca il dialogo fra i giovani, gli adulti e l’istituzione. La pandemia non ha certo favorito questo confronto anzi ha ulteriormente allontanato i giovani dalla realtà. Infatti vivendo costantemente all’interno della rete, quasi sempre connessi, hanno finito per vivere come un’identità virtuale. Il rapporto tra i giovani e la rete ha fatto emergere una serie di criticità è aggravato alcuni fenomeni che purtroppo erano già presenti come il cyber bullismo e la dispersione scolastica. Fenomeni che, a nostro giudizio, vista la gravità con la quale si manifestavano e rilevata l’incidenza negativa che esercitavano nella crescita civile, culturale e sociale dei ragazzi, andavano necessariamente analizzate. Il primo lockdown e la conseguente adozione della didattica a distanza nelle scuole, dopo un iniziale momento di smarrimento che ha riguardato un po’ tutti, ci ha suggerito di cogliere negli strumenti utilizzati per la DAD l’occasione per intraprendere un percorso di ricerca e studio all’interno della scuola, aprendo una finestra di approfondimento sulle problematiche che la nuova situazione aveva generato o aggravato, comprese le problematiche educative. Si è ritenuto necessario realizzare, grazie agli strumenti utilizzati per la didattica a distanza, un’indagine conoscitiva sul cyber bullismo nelle scuole della Sardegna con lo scopo di offrire alla comunità scolastica e alle istituzioni elementi utili alla riflessione e alla programmazione di interventi finalizzati alla crescita culturale e civile degli adolescenti. Oltre al cyber bullismo si sono realizzate altre indagini: una sulla DAD e sugli effetti devastanti che questo ha avuto sulla dispersione scolastica che in Sardegna è un fenomeno molto importante, sul rapporto tra i giovani una rete e sul problema del tabagismo nella scuola. Complessivamente sono stati coinvolti circa 200 istituti scolastici, rappresentativi delle varie realtà geografiche della Sardegna. I questionari predisposti per ogni indagine sono stati inseriti con un link degli strumenti della didattica a distanza, piattaforma scolastica e registro elettronico. Per quanto riguarda il cyber bullismo, sono stati inseriti tre link: uno per gli studenti, uno per i docenti e uno per i genitori. Riteniamo quest’ultima indagine un’esperienza unica, che ci ha consentito di esplorare una platea vasta e composita; sono stati circa 6 mila i questionari somministrati. Ovviamente, affinché questo metodo di indagine risulti efficace, è necessario che vi sia alla base il coinvolgimento di tutte le istituzioni, soprattutto di quella scolastica, che deve essere più agile e aperta al territorio. È indispensabile ripensare una scuola che abbia la capacità di rapportarsi con diverse modalità, sia al proprio interno, che all’esterno. Per il raggiungimento di questi ambiziosi, ma non impossibili obiettivi, è fondamentale non solo riqualificare il patrimonio edilizio scolastico, ma attivare anche interventi mirati a una diversa formazione degli insegnanti. Una formazione non episodica, ma continua, indicata come indispensabile anche nelle conclusioni dell’indagine da noi condotte e segnalata fra le azioni prioritarie previste nel PNRR che è stato approvato da poco. Io penso di aver finito aggiungendo che a mio giudizio e vanno individuate anche azioni formative nei confronti delle famiglie, soprattutto per quanto riguarda l’educazione digitale, grazie.
Mario CALIGIURI: Grazie Direttore. Se il Professor Fabbri riesce a sentirci dal treno, passerei ora a lui la parola.
Maurizio FABBRI: Sì, io vi sento. In questo momento ho enormi problemi di connessione quindi non sono se sono in grado di fare un intervento. Poche battute per ringraziarvi, ringraziare te personalmente Mario ringraziare e il Presidente dell’Eurispes del costante per un impegno. Vorrei dire solamente questo: abbiamo sentito interventi ricchissimi, grandi spaccati, analisi approfondite anche trasversali a tanti ambiti. C’è un aspetto che rimane prioritario in questi mesi e in questi anni: io ero sempre orgoglioso di dire ai miei studenti “siete consapevoli del fatto che l’esperienza educativa è rimasta l’unica esperienza con ampie possibilità di aggregazione e socializzazione”? Viviamo come noto in un contesto sociale sempre più molecolarizzato, sempre più frammentato, ricco di solitudini ma anche povero di solitudini ed eravamo rimasti noi capaci di favorire l’incontro, lo scambio, la relazione, la socializzazione, il fare esperienza. Ecco dalla pandemia in poi, tutto questo è venuto meno anche all’interno dell’esperienza educativa. Allora, io non è che sia pregiudizialmente contrario alla dad, ma la DAD deve essere una risorsa integrativa per evitare le conseguenze terribili che la didattica a distanza, realizzata in questo modo, in queste scuole ha avuto sugli apprendimenti dei nostri studenti. L’Invalsi ce lo dice rispetto alla scuola, ma noi sappiamo benissimo che anche all’Università è così: gli ultimi anni sono stati anni davvero terribili rispetto alla qualità creando un’intera generazione di studenti non preparati ad affrontare le proprie responsabilità professionali. Allora consentitemi di dire di ripartire dalla presenza. Certo possiamo muoverci negli orizzonti anche estremi dell’intelligenza artificiale ma sono orizzonti di là da venire, che richiedono la costruzione di ambiti, di competenze e di saperi, anche in ambito tecnologico e didattico, che al momento non abbiamo. Lo dico con una certa forza perché anche in ambito universitario adesso stiamo… (connessione saltata)
Mario CALIGIURI: Se il Professore Fabbri non riesce a ricollegarsi vediamo di la giornata di oggi. Il Professore Fabbri è Direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Alma Mater di Bologna e quindi della più antica Università dell’occidente ed è Presidente del SIPeGeS, la Società italiana di Pedagogia Generale e Sociale. Attendiamo le tue conclusioni così terminiamo il convegno.
Maurizio FABBRI: Non so se mi abbiate sentito perché mi pare che la connessione stia andando a via. Proponevo semplicemente di aprire un dibattito franco e trasparente, disinteressato, non viziato da posizioni ideologiche precostituite, perché dentro questo dibattito ci possono stare tanto le ragioni della didattica in presenza, quanto le ragioni della didattica in remoto, l’importante che non siano pensate come reciprocamente antagonistiche e alternative le une alle altre. Vi ringrazio ancora molto e vi faccio i miei più cari auguri a tutti, grazie.
Mario CALIGIURI: Grazie per averci dato il suo contributo sebbene abbiamo perso qualche pezzo, però il senso dobbiamo perfettamente compreso. Quindi saluto ora il Professore Pier Giuseppe Rossi che è stato fino a poco fa collegato e che poi è dovuto andare via. Pier Giuseppe Rossi, già Presidente della Società Italiana di Ricerca sull’Educazione Mediale. Concludiamo e ringrazio tutti i partecipanti a cominciare dal Presidente dell’Eurispes Gian Maria Fara e ai relatori di base: Professor Antonio Uricchio, il Professore Roberto Ricci, la Professoressa Luigina Mortari che, per ragioni di famiglia, ci trasmetterà poi il suo contributo scritto nei prossimi giorni. Oggi c’è stata una giornata inaugurale molto significativa. Una maratona di quasi tre ore e mezzo, come avevamo preventivato. Abbiamo ascoltato punti di vista molto interessanti non tutti ovviamente collimanti ma è indispensabile ed era inevitabile vista la vastità e la complessità dei problemi che sono sul tavolo. Non mi soffermo sui tanti e interessanti temi trattati per ovvie ragioni, cosa che però faremo nel corso del nostro lavoro nell’Osservatorio. l’Osservatorio, come ha evidenziato il Presidente Fara, è un punto d’incontro, di riflessioni diverse, un attrattore di intelligenze con visioni multiple variegate sempre più innovative e cangianti. Ribadisco il concetto essenziale: l’educazione è un tema talmente importante che nessuno ne ha l’esclusività, ne è un tema che si può affrontare dall’inevitabile limitato punto di vista che ciascuno di noi ha. Occorre quindi, consentitemi la parola e il paragone, un lavoro di intelligence per unire i ponti di chi vuole costruire, individuare i dati rilevanti, quelli che possono determinare i cambiamenti strutturali, che sono quelli che realmente contano e hanno un significato. Quindi occorre definire cosa serve e soprattutto chi fa le cose, perché sgranare il rosario dei problemi è utile per avere dei punti di riferimento, ma è inutile se poi non si è conseguenti. Sui problemi vediamo che più che necessità di risorse, hanno necessità di una qualità della spesa, ma soprattutto di una visione politica, perché la scuola come tutti i grandi temi, l’educazione, è un tema essenzialmente squisitamente politico. I temi sono gli stessi di 20 anni fa e in più sono aumentati, sono di gran lunga aumentati. Hanno subito una maggiore complessità. Occorre fare presto: con tutti i limiti, il PNRR rappresenta un’opportunità. Infatti, non a caso, è uno dei tre punti chiave della nostra attività. Partiamo dall’ azione di diffusione culturale per porre nel dibattito politico e scientifico del nostro paese il tema dell’educazione in sostituzione di quello dell’economia e poi monitoraggio del PNRR, ma più che della spesa, delle riforme e il Rapporto Italia che quest’anno avrà una significativa sezione sull’educazione, ma, soprattutto negli anni a venire, vedremo di implementarlo. Oggi parte un percorso, una sfida difficile, molto difficile, ma è l’unica che possa avere un senso. Perché non ha nessuna utilità la manutenzione del dolore, cioè gli interventi di dettaglio, le riforme delle riforme, ma occorrono, invece, iniziative strutturali che sono indispensabili e da attuare rapidamente. C’è alla base bisogno di visione, c’è bisogno di lucidità e dice Yuval Noah Harari, lo storico israeliano che “in un mondo alluvionato di informazioni irrilevanti, la lucidità è potere”. Speriamo che il nostro Osservatorio possa dare un contributo a una maggiore lucidità nel dibattito pubblico, nel dibattito politico e nel dibattito educativo del nostro paese. Saluti a tutti e speriamo di rivederci presto.