Atti del Workshop, la proposta Ue di “Direttiva sulle Comunicazioni d’Impresa in materia di Sostenibilità – CSRD”

L’Eurispes, in collaborazione con SSC – Strategia e Sviluppo Consultans, Interest – Integrated reporting for SME Trasparency, GRI Community Member, ha promosso un workshop sulla proposta Ue di “Direttiva sulle Comunicazioni d’Impresa in materia di Sostenibilità – CSRD. Implicazioni e sfide per le imprese italiane”. Il workshop è stato anche l’occasione per presentare l’iniziativa dell’Eurispes per la costituzione di un “Laboratorio sulla sostenibilità” come tavolo di lavoro permanente, aperto alla collaborazione di studiosi, esperti, operatori, per l’approfondimento sulle opportunità-condizionalità per le imprese del processo di accelerazione verso un modello di sviluppo sostenibile avviato con il “Decennio di Azione” promosso dalle Nazioni Unite, dalla Ue e dai governi.

A seguire gli atti dell’incontro al quale hanno preso parte: Marco Ricceri, Segretario generale dell’Eurispes, Fabrizio Zucca, Comitato Scientifico dell’Eurispes, Luca Brusati, Università di Udine / Università Bocconi, Francesco Bicciato, Segretario Generale del Forum per la Finanza Sostenibile, Luca Fornaroli, partner SSC, Alessandro Bielli, Assolombarda, Giulia Genuardi, Responsabile Sustainability & Performance Management, ENEL e componente del Global Standard Sustainability Board, Global Reporting Initiative, Giovanni Tartaglia Polcini, Consigliere giuridico al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, Comitato Scientifico dell’Eurispes, Lorenzo Pagliuca, Componente del Gruppo Tecnico Fisco di Confindustria, Federico Busatta, Studio Legale Gianni Origoni. L’incontro è stato moderato da Andrea Delogu, Vicedirettore News Gruppo Mediaset

 

ZUCCA: Nella parte più rilevante del webinar, della conferenza di oggi, è sulla nuova direttiva che in qualche modo dovrà entrare in vigore nei prossimi 1 o 2 anni. Per quel che ci riguarda, quello che volevo iniziare a dire, dal punto di vista della sostenibilità che in questi ultimi anni se ne sta parlando soprattutto in relazione al nuovo PNRR. Se ne sta parlando moltissimo, però sembra quasi che la sostenibilità sia in qualche modo legata o comunque che sia uguale alla transizione energetica: cioè quando si sente o quando si legge sui media parlare di sostenibilità si pensa che la sostenibilità sia qualche cosa che si può acquisire passando da forme di produzione di energia fossile a forme invece di produzione di energia rinnovabile. Questo evidentemente è una notevole semplificazione. Quando si parla di sostenibilità bisognerebbe comunque andare a valutare una sostenibilità a più ampio respiro, a 360 gradi. Uno degli aspetti interessanti, che comunque va valutato e di cui si parla molto di meno, ad esempio, è l’accesso alle risorse. Qui sulla prima slide giorno non mi dilungherò molto tempo e lascerò poi la parola agli altri relatori, ma su questa slide voi vedete una tavola degli elementi. Che cos’ha di particolare questa tavola degli elementi: vedete fondamentalmente in colore diverso quelli che sono gli elementi che nei prossimi 100 anni, quindi nel prossimo futuro, potrebbero diventare critici, cioè elementi che potrebbero non essere più disponibili per la produzione di beni che poi vengono venduti. Qui, in particolare, poi vedete anche quali componenti della tavola periodica servono ad esempio a evidenziare le differenze tra gli elementi e alla relativa reperibilità: chiaramente il colore verde indica una abbondanza particolarmente elevata, poi per andare via via verso il colore giallo, arancione, rosso, che indicano invece elementi che sono soggetti o saranno soggetti a restrizioni o a mancanza in futuro; e poi vedete anche un colore più scuro grigio/nero che è legato ai componenti che vengono importati da paesi cosiddetti “in conflitto”, quindi i paesi dove questa estrazione viene utilizzata per poi finanziare delle guerre fondamentalmente. Ora, perché interessante questo discorso delle risorse? Forse avete sentito comunque parlare di questo fatidico giorno che in questo momento cade attorno a giugno o a luglio in cui noi consumiamo tutte le risorse che il pianeta è in grado di ricostituire in quell’anno. In pratica, questo vuol dire che a luglio tutte le risorse disponibili che il pianeta ha prodotto per quell’anno sono state consumate, quelle che andremo a consumare da luglio in avanti, sono risorse che nell’ordine vengono sottratte nella migliore delle ipotesi alle generazioni future, perché c’è una problematica intertemporale: quello che consumiamo noi oggi non lo potrà più consumare chi arriva dopo di noi. Ma questo è uno solo dei problemi. L’altro problema è che questo tipo di consumo delle risorse è appannaggio di un piccolo numero, purtroppo o per fortuna crescente, nell’ambito della popolazione mondiale. Al crescere della diffusione del nostro modello di business, quindi di un modello che spinge il consumo per accrescere il valore la produzione, chiaramente il consumo di risorse diventa sempre più massiccio al crescere delle persone che accedono a un certo tipo di benessere. Fino a 30 anni fa chi consumava eravamo solamente noi europei e gli americani, oggi ci sono milioni di cinesi, milioni di indiani, e chiaramente più queste persone, più questi paesi alzano il loro livello di benessere e più risorse vengono comunque consumate e questo, come ho detto, aggiunge il problema del consumo intertemporale – quindi quello che consumiamo oggi non lo potranno più consumare i nostri figli, i nostri nipoti, ma crea anche chiaramente una pressione sul costo delle materie prime, perché c’è più richiesta di materie prime e quindi anche una lotta nella accaparramento di queste materie prime e questo genera una più elevata differenza o disequilibrio all’interno anche dei paesi che già oggi hanno un certo benessere, perché creando un aumento dei costi, ovviamente, dà sempre meno la possibilità alle fasce del ceto medio, e sicuramente quelle del ceto basso, di accedere a queste risorse e dall’altro lato crea anche un problema di conflitto tra i paesi, diciamo così, ricchi, e i paesi invece che, mano a mano, stanno emergendo, stanno anche loro diventando ricchi. Quindi il punto è: bisogna poi andare a spiegare al cinese il perché lui non ha il diritto di comperarsi 300 paia di scarpe visto che il suo omologo in Germania in Francia negli Stati Uniti si arroga il diritto di comprarsi questi 300 paia di scarpe. Il problema è che in un modello che è fatto così, quello che è il risultato o meglio i due risultati sono: da un lato un sempre maggiore consumo di risorse e dall’altro un aumentare del conflitto. Allora, dico questo perché, secondo me, è importante che la problematica venga in qualche modo affrontata nel suo complesso. Quindi, che cosa si può fare? Che cosa si fa? Qual è una delle possibili soluzioni? Una delle possibili soluzioni, ovviamente sulla base di chi parla, è passare ad un modello diverso di economia e questo adesso mi serve per introdurre poi il tema importante che andremo a trattare oggi, quindi, i nuovi schemi regolamentari. Questo che vedete in slide è il modello di economia sviluppato dalla fondazione MacArthur, che è uno dei principali player del settore ed è una delle fondazioni, uno dei think tank, che per primo ha iniziato ad occuparsi di un cambio di modello, di un cambio di paradigma nell’ambito dell’economia mondiale. Ora anche su questo una piccola precisazione: quando si parla di economia circolare noi abbiamo spesso in testa qualche cosa che è legata al riciclo dei rifiuti quindi il fatto che in qualche modo il riciclo complessivo è dato da una estrazione di risorse, trasformazione, consumo, generazione di rifiuti che in qualche modo poi possano essere reimmessi nel ciclo iniziale di produzione salvando in parte l’estrazione di risorse nuove.  Ecco in realtà questa è una parte minima di questo modello ed è quello che vedete nel ciclo più esterno dove appunto vedete la parola riciclare. In realtà quando si parla di economia circolare, si parla di un processo attraverso cui si cerca di allungare il ciclo di vita dei prodotti, di sostituire il consumo di prodotti fisici con prodotti diciamo virtuali, quindi con servizi, e questo aspetto è molto interessante. Lo schema ripropone da una parte i cicli biologici – che però per questa giornata non tratteremo in quanto ci fermiamo ai cicli industriali – ripropone fondamentalmente tre cicli minori che sono: il ciclo legato alla manutenzione, al riutilizzo, alla redistribuzione e al re-manufaturing quindi a rinnovare il prodotto, che sono, appunto, dei cicli che sono tipici del settore industriale. Quindi e su questo punto mi voglio richiamare per introdurre poi le prossime i prossimi relatori e ai lavori di oggi il fatto che la sostenibilità passi attraverso un cambiamento radicale del modo di produzione chiama in causa, evidentemente, quello che il sistema produttivo, quindi le aziende, possono, e in qualche modo devono fare, per garantire che questo ciclo, che questo sistema possa essere messo in atto. Per venire quindi all’argomento di oggi, è chiaro che per poter riuscire a mettere in piedi un modello che guardi alla sostenibilità dal punto di vista produttivo, dal punto di vista sociale dal punto di vista ambientale e dei consumi è necessario possono essere necessarie alcune cose importanti: la prima cosa è che l’impresa, l’imprenditore, in prima battuta si rendano conto dell’impatto che la loro attività ha su tutto questo sistema, quindi sul sistema nel suo complesso, nell’utilizzo dell’ambiente, ma anche nell’impatto che ha a livello sociale e così via. Quindi, una consapevolezza che l’impatto va oltre la capacità di produrre un prodotto o di generare un profitto. Dopo di che è quello che è fondamentale che l’imprenditore inizi a capire e valutare è “capisco che ho un impatto e adesso lo voglio anche misurare questo impatto” perché senza misurare l’impatto che l’impresa ha su quelli che definiamo gli stakeholder, comunque stakeholder in senso allargato, diventa complicato poi costruire uno schema e un modello che permetta di definire una strategia e un miglioramento. Poi, ovviamente, l’altro aspetto fondamentale: dopo che io mi sono reso conto e l’ho misurato, l’altra cosa fondamentale è poterlo comunicare, quindi essere in grado di rendicontare quindi di dire ai miei stakeholder e all’opinione pubblica quello che io sto facendo per riuscire ad implementare un modello che sia più sostenibile. Come ho detto, più sostenibile nel suo complesso a livello generale. Quindi la mia introduzione è legata fondamentalmente a questo: il sistema imprenditoriale, sistema industriale è una parte integrante di un possibile cambiamento che possa portare tutto il sistema verso una logica di sostenibilità ed è per questo che l’unione europea in prima battuta già da molti anni ha iniziato un processo di analisi di studio di regolamentazione di questo fenomeno. Tenete conto che anche il PNRR è fortemente legato a questo tipo di approccio: la maggior parte dei fondi una quota rilevante dei fondi verranno comunque spesi per progetti che in qualche modo hanno questo tipo di di anima, quindi questo tipo di prospettiva. Come ultimi ci sono tutti questi nuovi elementi regolamentari che andremo ad analizzare oggi; alcuni già in essere – vedremo che questo processo è iniziato fondamentalmente già nel 2018 – alcuni, invece, che stanno, in qualche modo, per essere introdotti. Quindi a questo punto io direi che per il mio punto di vista la mia introduzione è finita e lascerei poi la parola al Dottor Bicciato che è il Segretario generale del Forum della Finanza Sostenibile che è collegato con noi

BICCIATO: Grazie, Professor Zucca. Grazie per l’invito. Buongiorno a tutti, io sono Francesco Bicciato e sono il Segretario generale del Forum per la Finanza Sostenibile, che un’organizzazione multistakeholder nata vent’anni fa quando in realtà di sostenibilità e di finanza sostenibile si parlava molto poco e quindi diciamo siamo passati da un ambito che era evidentemente un ambito di nicchia, ad un ambito che in questo momento è diventato mainstream, e quindi in qualche modo al centro delle agende sia pubbliche che private. Intanto, volevo richiamarmi un attimo a quello che il professore Zucca diceva prima sul fare un po’ di chiarezza attorno al tema della sostenibilità. In realtà il tema della sostenibilità è un tema non nuovo. Io direi che affonda le radici almeno dal Rapporto Brundtland in poi. Però senza fare la storia di quello che è stata l’evoluzione del concetto di sostenibilità, quello che è importante capire è che la sostenibilità comunque un concetto tripartito: economico-finanziario, sociale e ambientale. Quindi almeno dal nostro punto di vista deve essere considerato, utilizzando una metafora, come una sorta di sgabello a tre gambe per cui se sì taglia una delle tre gambe lo sgabello cade a terra. Quindi sostanzialmente tutti e tre gli elementi sono elementi fondamentali per avere una piena sostenibilità. Se applichiamo il concetto di sostenibilità alla parte finanziaria, quindi alla finanza, e qui richiamo molto rapidamente quella che è la definizione che normalmente viene utilizzata e che è anche incorporata nell’ambito delle normative e dei regolamenti di cui parleremo dopo, ci sono due elementi importanti. Quindi investimento sostenibile crea valore per l’investitore, per la società nel suo complesso e dispiega i suoi effetti migliori nel medio e lungo periodo; l’altro elemento importante, che è legato all’economia reale, ed è il concetto di integrazione che sostanzialmente integra l’analisi finanziaria con quella ambientale e sociale di buon governo. I cosiddetti fattori ESG ormai noti un po’ a tutti. Qual è il concetto importante qui? È proprio questo dell’integrazione, cioè il bilancio sociale, il bilancio di sostenibilità, così come lo conoscevamo fino a un po’ di anni fa non sono elementi complementari all’analisi economico-finanziaria, ma sono parte integrante dell’analisi finanziaria e questo diciamo è il l’approccio generale che muove un po’ le strategie degli investitori sostenibili. Se andiamo a vedere, lo richiamava anche il professor zucca prima, un po’ il processo per cui siamo arrivati a disciplinare, diciamo anche dal punto di vista normativo, la finanza sostenibile e la sostenibilità più in generale vediamo che il processo è abbastanza lungo: nel 2008 viene lanciato il primo Transparency Code; una data fondamentale è il 2015, quindi Agenda 2030, l’accordo di Parigi COP21 per la prima volta  si riconosce il tema del cambio climatico come un’emergenza che può avere degli impatti economico-finanziari molto pesanti e quindi diciamo questo diventa un po’ l’anno di svolta. Soprattutto a livello normativo in Francia una legge che è la loi de transition énergétique in qualche modo spinge verso il concetto che la protezione dell’ambiente è di fatto un fattore fondamentale per lo sviluppo economico. In quell’anno viene costituita anche la Task Force on Climate-related Financial Disclosure(TCFD) a livello globale, ma quello che è il momento più importante è nel 2016 quando viene costituito per la prima volta dalla Commissione Europea – tenete presente che fino a quel momento nelle politiche comunitarie legate appunto gli aspetti finanziari non si faceva cenno diciamo ai concetti legati alla sostenibilità –  viene costituito questo gruppo di esperti che inizia a ragionare sulla finanza sostenibile. Questo gruppo di esperti poi produce un rapporto e sulla base di questo rapporto nel 2018 viene lanciato il primo Action Plan sulla finanza sostenibile. Un Action Plan molto ambizioso che sostanzialmente mette al centro due aspetti: uno la trasparenza, quindi in qualche modo cerca di far uscire il settore finanziario da quella opacità che l’aveva caratterizzato negli anni precedenti, e l’altro elemento è quello di occuparsi sia della parte retailing sia della parte della finanza istituzionale, anche se per la verità è un Action Plan molto molto come dire concentrato sulla parte legata ai risparmiatori e al rapporto fra gli investitori e risparmiatori. Uno degli elementi interessanti di questo piano è che, anche se in linea teorica è un piano che deve applicare l’approccio ESG, di fatto il 2018 mostra che il primo piano di azione è molto concentrato sugli aspetti ambientali, quindi diciamo che gli aspetti sociali e di buona governance che sono gli altri due fattori che compongono appunto l’approccio ESG, sono trascurati in questa fase. Poi in realtà vedremo che questo è un problema che ci trascineremo e probabilmente ne parleranno anche i relatori che verranno dopo di me. Quindi sostanzialmente il piano è molto concentrato sugli aspetti ambientali. Viene costituito un Technical Group – vado via veloce rispetto a questo – e c’è un altro elemento normativo: che nel 2019, quindi prima della pandemia, viene lanciato il New Green Deal e questo è molto importante perché in realtà tutti i principi, e peraltro anche i fondi che vengono stanziati per le politiche ambientali europee, col New Green Deal del 2019, sostanzialmente sono riportati poi come principi generali anche nel Next Generation EU che invece appunto viene lanciato durante la pandemia. Quello che voglio dire è che esiste una continuità tra il 2018, 2019, 2020 su alcuni principi fondamentali: sostanzialmente l’ambiente da una parte, la digitalizzazione dall’altra, il piano di resilienza dall’altra, che in qualche modo costituiscono un continuum che fino a quel momento non era pronto, non era proprio delle politiche europee riguardo la sostenibilità.  Ecco questo è un po’ la road map. Oggi siamo di fronte a un processo di rinnovamento e di riforma  già della strategia sulla finanza sostenibile e da qui in poi sono partiti tutta una serie di atti normativi, che io qui elenco molto molto rapidamente: le SFDR, quindi voglio dire il regolamento sulla disclosure degli investimenti finanziari,  ovviamente la tassonomia che il regolamento 852/2020 che è un po’ la madre di tutte gli altri provvedimenti normativi, la direttiva sul disclosure non finanziaria (NFRD), che magari conoscete anche meglio perché affonda le radici nel 2014, il regolamento sui Climate benchmarks e poi abbiamo tutta una serie di atti normativi che non sono allo stato stati tradotti in regolamento né in direttiva, ma che sono fondamentali per il funzionamento del sistema della finanza sostenibile. Da una parte l’ecolabel, che tenete presente che non esiste in questo momento un label sulla finanza sostenibile per cui il tema è molto complesso, non esiste in questo momento un agente terzo che definisca che cosa è sostenibile e che cos’è sostenibili in finanza. La tassonomia non ha quell’obiettivo. La tassonomia ha l’obiettivo di classificare quei settori che possono essere considerati sostenibili. Quindi l’elemento del label elemento molto sentito per esempio in Francia molto meno in Italia, però sarà un tema fondamentale e vedremo se verrà tradotto poi in direttiva o regolamento oppure se rimarrà ancora, come è adesso, oggetto di un gruppo di studio di esperti dell’unione europea. Abbiamo poi EU Green Bond Standard(GBS) questo è un tema invece molto più importante nel senso che ancorché non oggetto di regolamento o direttiva però gli standard, European Bond Standard sono ormai riconosciuti si fondano sui Green Bond Principles, che nascono tre quattro anni fa in realtà, e in qualche modo hanno dato un grande impulso per l’emissione dei Green Bond: da una parte di un impulso per quanto riguarda l’emissione dei green bond e poi dei Sustainability Bond nel mercato SRI – Sustainable Responsible Investment – uso questi acronimi vive perché in realtà poi sono quelli che si trovano nei documenti ufficiali. Quindi da un lato il mercato privato che lancia molti anni fa i bond verdi o Sustainability Bond, dall’altra parte questi standard in qualche modo servono anche per quanto riguarda l’emissione dei Green Bond sovrani, quindi sostanzialmente quelli emessi dallo stato. Noi abbiamo emesso il nostro primo l’anno scorso con i buoni postali. Questo perché lo dico: lo dico perché in realtà il mercato dalla finanza sostenibile e più avanti del mercato pubblico della finanza sostenibile e questo è un elemento abbastanza interessante. Finisco rapidamente qui dicendo appunto citando il Corporate Sustainability Reporting Directive che è stata menzionata all’inizio dalla dal Professor Zucca, di cui si parlerà più tardi, che costituisce sostanzialmente un po’ un’evoluzione dalla direttiva sulla rendicontazione non finanziaria. Questo è molto importante perché in realtà CSRD deve allinearsi alla tassonomia e le altre normative europee. Quindi sostanzialmente questo è molto importante perché queste normative qui ve le ho sintetizzate le tre più importanti in questo momento, devono essere parte di un ingranaggio. Quindi la tassonomia che ci parla delle classificazioni condivise – operatori finanziari dividono le attività sostenibili – il Non Financial Reporting e poi appunto la CSRD, che pare che ci parla più delle imprese che devono divulgare informazioni e dati misurabili affidabili delle loro politiche di investimento, e poi, appunto, la disclosure sulla sostenibilità del settore finanziario che è fondata sostanzialmente sul concetto di comunicazione informazione e trasparenza. Questi diciamo sono i principi che guidano questi atti normativi. Alcune novità quindi le ultime arrivate come dire, quindi non vi sto a parlare di tutto il processo della messe di provvedimenti che sono i prodotti nel frattempo tra un regolamento e l’altro, però vi cito solamente molto rapidamente questi aspetti che rappresentano un po’ le ultime novità di policy: la prima è la proposta dalla CSRD con l’obiettivo di incrementare la qualità, quantità e comparare abilità delle informazioni di sostenibilità, tenete presente che questo è fondamentale per uno dei problemi principali è proprio il reperimento di dati e il reperimento di dati misurabili e quindi l’obiettivo di allargare il perimetro di applicazione si parla sapete rendicontazione non finanziaria dell’obbligatorietà per le imprese sopra i 500 dipendenti ora l’obiettivo è quello di abbassarla i 250 dipendenti, quindi, sostanzialmente, si parla di un perimetro che passa da 11mila imprese più o meno nel nostro paese a un 50 mila 49 mila imprese che potrebbero essere interessate dalla CSRD, ma poi in realtà questa direttiva è destinata a essere avere un ambito di applicazione molto più ampio ,vedete deve essere sempre legata alla sala tassonomia, cioè tutti questi elementi devono essere in qualche modo coordinati e coerenti con la tassonomia. Il nuovo atto del delegato complementare se n’è parlato molto, anche nei media, a volte anche in maniera poco precisa, dove sostanzialmente viene incluso il gas e l’energia nucleare come attività di transizione all’interno della tassonomia green. Quindi voi sapete qui c’è stato un grande dibattito fra cui appunto fondava il processo di tassonomia green sulla cosiddetta science based approach – e quindi sostanzialmente dice che il gas non è considerabile un’energia fossile altri lo ritengono fondamentale per la transizione – ora io qui cito solamente il fatto che questo è un oggetto di dibattito di fatto però queste due forme di produzione energetica sono state inserite nella tassonomia green. È una cosa molto molto importante da sottolineare su cui magari si fa ogni tanto un po’ di confusione è tener conto che la tassonomia non dice che cos’è e che cosa non è sostenibile, quindi sostanzialmente non c’è il divieto di produrre gas. Il tema che è stato oggetto di dibattito, anche abbastanza aspro, è se il gas può essere considerato una fonte energetica green o almeno di transizione. Quindi sostanzialmente questo è stato un dibattito recente delle scorse settimane che volevo appunto menzionare. Altri standard tecnici di implementazione per la disclosure ESG delle banche, quindi voglio dire molto importante anche qui, basta in qualche modo spingendo verso standard che siano più aderenti alle esigenze del mercato, così con una proposta di UE Green Bond Standard su base volontaria per guidare il mercato con l’uso dei proventi allineati alla tassonomia alla trasparenza al la verifica esterna con la supervisione dell’ESMA. Quindi diciamo queste sono le ultime novità di policy. Io qui volevo solamente fare in conclusione una qualche riflessione rispetto all’impatto sull’impresa di queste normative europee, quindi sostanzialmente la relazione fra investitori e imprese in questo nuovo quadro legato appunto alla sostenibilità. È evidente che per quanto riguarda il nostro paese, in cui non abbiamo la struttura economica tedesca, è chiaro che le piccole e medie imprese sono fondamentali. Quindi il nuovo processo di sviluppo e anche il processo diciamo legato all’agenda 2030 alla decarbonizzazione a tutto quello che è legato in qualche modo al miglioramento delle condizioni ambientali, passa anche da un sostegno alle piccole e medie imprese, che evidentemente durante la pandemia hanno subito dei danni molto molto importanti. Qui mi limito a fare due considerazioni su una serie di ricerche che abbiamo fatto, questa in particolare abbiamo condotta con DOXA, per verificare qual era la sensibilità da parte di un campione, circa 500 imprese che abbiamo che abbiamo sondato, relativamente appunto alla conoscenza almeno del tema della sostenibilità e a quanto questo viene considerato importante. Vedete che, in realtà, noi abbiamo una fetta fra chi ha risposto molto e abbastanza, abbastanza consistente, cioè oltre l80% delle imprese intervistate dicono di conoscere il tema della sostenibilità e di comprendere che è un tema molto molto importante. Poi abbiamo fatto una distinzione fra settori su cui non mi dilungo troppo. Volevo solamente farvi vedere questa quest’ultima slide, relativamente proprio al rapporto fra imprese e credito nell’ambito appunto della valutazione degli aspetti ESG, quindi in qualche modo la domanda era “secondo voi nell’ambito della concessione del credito gli operatori finanziari dovrebbero valutare anche aspetti ESG?” l’81% dice di sì. In realtà poi da un lato appunto esiste questa propensione da parte delle imprese sondate, dall’altra parte però non esistono diciamo vere politiche di sostenibilità, che in qualche modo vengono internalizzate all’interno dell’impresa e in qualche modo si produce un mismatch fra investitori e imprese proprio per quello di cui si diceva prima e cioè il fatto di poter disporre di dati affidabili e misurabili che molto spesso è difficile raccogliere dalle piccole e medie imprese. Chiudo dicendo facendo appunto riferimento a quest’altra domanda che abbiamo che abbiamo posto relativamente ai rating di sostenibilità abbiamo chiesto appunto “qual era il grado di conoscenza di alcuni strumenti che abbiamo identificato ovvero in rating il di legalità, il rating di sostenibilità, il rating sociale, la dichiarazione non finanziaria?” voi potete vedere le diverse percentuali e purtroppo si rileva una percentuale piuttosto alta relativamente alla dichiarazione non finanziaria, così come anche in parte sugli altri tipi di rating, le percentuali di imprese che non ne hanno mai sentito parlare è molto alta. Questo è un problema nel senso che evidentemente fa emergere un tema di assistenza tecnica molto molto importante che io credo che sarà uno dei temi che ora dovremo sicuramente portare avanti per fare in modo tra l’altro che questa, che poi nella pratica appunto delle imprese quotidiana, le normative europee non vengono viste come un cappio, un vincolo troppo stringente, ma possono aiutarle diciamo nel processo di sviluppo. Io interrompo la condivisione e mi fermo qua e vi ringrazio.

ZUCCA: Grazie Francesco. Abbiamo sentito parlare molte volte di tassonomia quindi, a questo punto, direi che passerei la parola al dottor Luca Fornaroli, che ci spiegherà che cosa sono la tassonomia sociale, la tassonomia e la tassonomia ambientale.

FORNAROLI: Buongiorno a tutti, visto che ci sono molti ascoltatori online. Io ho portato con me delle slides che non so se riesco ad attivare già dal telecomando oppure no. Tassonomia come strumento per la sostenibilità del business. In realtà chi mi ha preceduto ha già detto molto, e tra l’altro notavo come sia dell’intervento di Zucca, dove parlava di altre tante cose di responsabilità transnazionale cioè tra le nazioni a seconda del diverso grado di sviluppo, il rischio di depauperamento delle risorse a detrimento delle nazioni in via di sviluppo o a più basso tasso di sviluppo, e che questa cosa naturalmente sta cambiando con l’emergere di nuovi paesi di nuove potenze economiche, e dall’altra parte il Dottor Bicciato che mi ha fatto venire un brivido di piacere perché ha parlato, tra le altre cose anche lui, della responsabilità trans-generazionale che è quella che era stata fissata dal rapporto Bruntland che lui aveva accennato, dove chiaramente si diceva noi dobbiamo utilizzare le nostre risorse, ma in modo tale da non di paura di depauperare le generazioni successive, che mi sembra un impegno non di poco conto in termini proprio anche di rilevanza etica in quanto ci riguarda evidentemente tutti, anche nelle nostre abitudini consumo normali, quotidiane. Naturalmente, come già stato menzionato, quando si parla di tassonomia alla fine ci dobbiamo ricollegare agli obiettivi di sviluppo del millennio e all’agenda 2030: sono i 17 obiettivi, immagino che questa immagine scusate il gioco di parole, l’abbiate vista in più documenti, in più siti e così via, e quello che dico sempre quando spesso parlo di queste cose, ma soprattutto a piccole e medie imprese, immagino che molti di voi soprattutto imprenditori possano dire “ma io cosa c’entro con questa roba cioè non sono argomenti che mi riguardano direttamente sono argomenti macro”. In realtà quello che stiamo facendo in più sedi è quello di individuare degli indicatori, e la tassonomia è sostanzialmente una forma, una tipologia di indicatori, che mi consentano di capire che cosa sto facendo io per il raggiungimento degli obiettivi del millennio qual è il contributo che la mia piccola azienda di 12 persone che fattura 1.500.000 € comunque può fare per il raggiungimento degli obiettivi del millennio. Possono essere piccolissime cose da, che ne so, cambiare l’approvvigionamento di gas da un’azienda un’altra. Ho in mente, ad esempio, un caso dove sono state cambiate delle lampadine; sono state usate quelle a basso consumo; e altre cose di questo genere oppure verificare i contratti delle persone dei cui servizi mi avvalgo, per sapere se sono effettivamente formalizzati o no a proposito di tassonomia sociale. Insomma, questi sono tutti elementi che in qualche modo mi garantiscono un percorso che va in questa direzione. Però non volevo prenderla troppo alla larga. Allora, per quanto riguarda la tassonomia le norme di riferimento sono i regolamenti. Qui bisogna fare una precisazione anche rispetto agli interventi precedenti: il regolamento, come molti di voi sanno, è già una legge dello Stato quindi non deve passare attraverso l’iter parlamentare nel momento in cui viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea, il regolamento diventa legge dello Stato e quindi è vincolante, a tutti gli effetti come una legge come un’altra. Altro è la direttiva, che deve invece passare attraverso il recepimento da parte del parlamento, quindi deve essere recepite da una norma interna, la norma interna deve passare attraverso parlamento e, a quel punto, poi diventa legge dello Stato. Quindi nel momento in cui la commissione ritiene che un determinato argomento debba essere disciplinato da un regolamento ci sta dicendo tutto il peso e l’importanza che questa azione ha per la commissione, tant’è che ritiene che debba essere uniforme in tutta Europa e adottata in tutta Europa nello stesso momento indipendentemente dalla propensione favorevole o sfavorevole che i singoli parlamenti nazionali potrebbero avere. Questo punto mi sembra fondamentale per capire in che ambito ci muoviamo. Allora, i due regolamenti fondamentali quando si parla di tassonomia sono: la Taxonomy Regulation, o più precisamente il regolamento 2020/852, e un’integrazione dello stesso regolamento che è il regolamento 2178 del 2021, quasi esattamente ad un anno di distanza. La cosa curiosa della Taxonomy Regulation è che il regolamento 2020/852 non parla mai di tassonomia, cioè il termine tassonomia non è compreso nel regolamento. Nell’integrazione successiva, cioè quella di un anno dopo, il termine tassonomia compare 177 volte. Però curiosamente la Taxonomy Regulation è la 852, perché fissa i principi e i paletti di quella che conosciamo come tassonomia. Andiamo avanti. Alcuni “consideranda” del regolamento 2021 cioè della taxonomy regulation 2021/852, che spiegano obiettivi e ragioni sottostanti alla taxonomy regulation. I “consideranda” sono la parte iniziale di un regolamento; cioè sono quelle che potremmo dire le premesse che poi portano al testo normativo. La lettura delle premesse, per quanto possa sembrare noiosa, è in realtà fondamentale perché consente di capire la ratio sottostante il regolamento. Cioè perché la Commissione ha deciso, il Parlamento a secondo, ha deciso di emettere, emanare un regolamento di questo tipo. Lì ci sono tutte le ragioni e anche diciamo l’iter che la norma ha avuto dal suo nascere. Da questo punto di vista sono interessanti. Allora, il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile nell’unione europea, richiede, questo dice considerandum 9, l’incanalamento dei flussi di capitali verso investimenti sostenibili. Allora, se vogliamo che la sostenibilità abbia concretezza, dobbiamo fare in modo che la finanza si orienti questo senso: le risorse economiche devono andare lì, perché se non ci sono risorse economiche non succede nulla come è evidente. Considerandum 11: questo non è proprio il testo è un estratto del testo, volevo essere chiaro non l’ho virgolettato perché non è precisamente il testo ma era per riassumere. La messa a disposizione di prodotti finanziari che perseguono obiettivi ecosostenibili è un modo efficace di incanalare gli investimenti privati verso le attività sostenibili. I requisiti puntano a aumentare la fiducia degli investitori, e questo è fondamentale se non c’è fiducia non c’è neanche credito anche etimologicamente, se sensibilizzarli maggiormente verso gli impatti ambientali, quindi creare cultura verso gli impatti ambientali, verso prodotti finanziari di questo tipo; creare visibilità e affrontare il problema del greenwashing. Il greenwashing che cos’è? È marketing alla fine, cioè io faccio finta di essere verde, faccio finta di sposare dei requisiti di sostenibilità, ma perché mi serve per darmi una “verniciata di verde” sul mercato e fare finta che i miei prodotti siano migliori degli altri quando così non è. Qualcuno potrebbe dire che tutta la manfrina sulle automobili elettriche rispetto ai modelli diesel, forse è stata influenzata greenwashing, un altro direbbe di no, ma insomma ci sarebbe da ragionare da questo punto di vista. Mi ricollego a quello che diceva Professor Zucca quando lui parla di tassonomia sociale, che in realtà come espressione ancora non c’è, stiamo attenti perché così come potrebbe esserci il greenwashing ci potrebbe essere il social washing, ossia far credere di essere a posto dal punto di vista dei requisiti sociali ma poi produrre in paesi dove tutte le norme che normalmente noi abbiamo accettato nei nostri paesi vengono sistematicamente violati. Tipicamente l’uso di schiavi oppure l’uso di lavoro infantile e così via. Trasparenza per gli investitori, perché uno dei delle finalità della tassonomia è che l’investitore abbia le informazioni che gli servono per poter sapere se sta mettendo i soldi laddove i suoi valori vengono riconosciuti cioè laddovve i suoi valori ecosostenibili vengono condivisi. Quindi bisogna adottare il sistema di criteri uniformi di ecosostenibilità; questa della uniformità dei criteri è un problema non da poco, perché fino adesso, soprattutto nei paesi occidentali, ci si muoveva ognuno per la sua strada, nel senso con certificazioni proprie con regolamentazioni proprie più o meno ricche più o meno cogenti, prima sempre nel discorso di Zucca lui ha menzionato tutto quello che riguardava i metalli e le sostanze utilizzate per fare i telefonini. Allora negli Stati Uniti avevano emanato una norma notissima che è la Wall Street Reform and Consumer Protection Act cioè la legge di riforma di Wall Street e di protezione del consumatore. Molto interessante questa doppia questa doppia denominazione: riforma di wall street perché stabiliva delle nuove regole per chi voleva essere quotato a Wall Street, cioè il fatto che non si sfruttassero risorse da paesi in guerra, soprattutto dalla Repubblica Democratica del Congo che era quella più interessata, con risorse derivanti da quell’area,  dall’altra parte è anche un Protection Consumer Ex ,è una legge una norma di protezione del consumatore e quindi questo ci fa capire come anche una delle finalità della tassonomia è da una parte l’informazione nei confronti dell’investitore, che è anche il consumatore nel momento in cui io vado in banca e compro un fondo o quant’altro sono cliente/consumatore/investitore, quindi ha uno scopo di rilevanza sociale anche da questo punto di vista. Non danneggiare quindi gli interessi degli investitori, che quindi non dobbiamo immaginare come il grande investitore ma noi con gli investitori che cerchiamo di gestire i nostri risparmi in qualche modo. A chi è destinata la Taxonomy Regulation? È destinata a coloro che si rivolgono, come ripeto anche i piccoli investitori, ai mercati finanziari: ho comperato quel fondo, ho comperato quell’azione e così via. E poi questo è uno spunto molto importante: alle imprese soggette all’obbligo di pubblicare una dichiarazione di carattere non finanziario o una dichiarazione consolidata di carattere non finanziario ai sensi rispettivamente nell’articolo 19 bis e 29 bis. Se non vi siete addormentati, questo articolo, parliamo del 19bis perché tanto il 29 bis non dice niente di diverso, parla di imprese di grandi dimensioni, di 500 dipendenti quotati in borsa dipendenti in media, le quali hanno una serie di obblighi da dover affrontare – tutto questo è contenuto nella direttiva 2013/34 che è già in vigore, tra cui una breve descrizione del modello aziendale, una descrizione della politica applicata dall’impresa per quanto riguarda gli aspetti ecosostenibili, sociali, anticorruzione, eccetera eccetera eccetera, qual è il risultato di queste politiche interne, i rischi connessi, gli indicatori fondamentali, le prestazioni, eccetera. Allora uno dice di questa roba qui non me ne frega praticamente niente, se riguarda sostanzialmente quelli che poi sono anche enti di interesse pubblico, cioè società quotate in borsa, assicurazioni, banche e così via, in quanto “io produco chiodi” o “io produco imballaggi” dell’agenda non me ne importa nulla. In realtà non è esattamente così, perché se è vero che la Taxonomy Regulation direttamente si rivolge a gestori di attività finanziari e gestori di attività non finanziarie, cioè imprenditori, ma di quelle dimensioni, imprese d’investimento, banche, enti creditizi, assicurazioni, eccetera, però, tra gli imprenditori a cui si rivolge c’è sì la grande azienda, ma ci sono anche tutte le imprese che fanno parte della filiera di quell’azienda, cioè tutte le imprese di fornitura anche piccole di quell’azienda alla fine sono obbligati a fornire le stesse informazioni che servono poi alla grande impresa per elaborare la propria rendicontazione. Quindi sostanzialmente sono obbligate a una rendicontazione, anche se indirettamente da questo punto di vista. Molti di voi, magari, hanno avuto a che fare nella loro esperienza quotidiana con le richieste relative alla Life Cycle Assessment, per cui vi dicono “ma quanti mezzi di trasporto usate? Sono diesel, sono benzina, sono elettrici e così via” è una roba in cui francamente io non avevo visto una richiesta fino a otto mesi, ma da otto mesi a questa parte, non dico quotidianamente, dalle grandi imprese alla piccola impresa, di cui mi occupo, fanno richieste di questo genere. E non sono semplicissime le risposte da dare: molto spesso queste informazioni vanno raccolte e non è semplice farlo. Allora, vi dicevo che a integrazione della Taxonomy Regulation, cioè del regolamento 852, c’è questo regolamento 2178 del 2021 il quale all’articolo 1 elenca una serie di definizioni che vi invito ad andare a vedere perché sono molto chiare. Un’attività economica allineata alla tassonomia è un’attività economica che soddisfa i requisiti di cui all’articolo 3 nella Taxonomy Regulation. Ma quali sono questi requisiti del Taxonomy Regulation? Vediamo che sono pochi ma sostanziosi, nel senso che al fine di stabilire il grado di eco sostenibilità di un investimento l’attività economica è ecosostenibile se soddisfa il Criterio SC (Substantial Contribution), cioè da un contributo sostanziale al raggiungimento di uno o più obiettivi che sono elencati e sono 6 all’articolo 9 della Taxonomy Regulation. Quindi, sei eco sostenibile se dai un contributo se la tua attività le tue attività avranno contributo sostanziale al raggiungimento di quegli obiettivi di cui vedremo. Secondo criterio: non arreca un danno significativo a nessuno di quegli obiettivi là e quindi il criterio è il cosiddetto DNSH (Do Not Significative Harm) non arreca danno significativo l’acronimo è più complicato del concetto. Penultimo punto: rispetta le garanzie minime di salvaguardia, un’espressione complessa per dire i diritti sociali, e è conforme ai criteri di tipo tecnico. Allora quali sono questi diritti sociali? queste garanzie minime di salvaguardia? Non sono niente di speciale, nel senso che sono cose per cui chi opera nel mercato italiano già deve rispettare se rispetta la legge italiana. Se uno è perfettamente rispettoso e conforme alla normativa italiana, per esempio per quanto riguarda lo statuto dei lavoratori, non ha non ha problemi. È chiaro che ci si rivolge a un mercato più ampio e ad altre nazioni oltre la nostra. Comunque queste garanzie minime sono contenuti nelle linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali, attenzione qui per quelle linee guida quando si parla di impresa multinazionale non si intende la grande azienda, ma si intende qualsiasi azienda che opera su più mercati differenti, magari avendo delle diverse unità produttive, questo già basta per essere un’impresa multinazionale. I principi guida le nazioni unite i principi del dell’ILO, quindi dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, e la carta internazionale dei diritti dell’uomo. Niente di speciale nel mondo occidentale direi, anzi. Casomai posso dire che le linee guida OCSE in Italia non sono conosciutissimi forse varrebbe la pena farci un seminario perché dicono parecchie cose interessanti per la gestione stessa dell’azienda. Tutto questo, vedete, rappresenta il pilastro sociale della strategia della commissione e il pilastro sociale del famoso ESG, pilastro economico, sociale e ambientale, è, così come recita un documento della commissione stessa, quella che poi ha dato via ai vari piani d’azione, è il primo pilastro fondamentale dell’Unione Europea. Cioè, non si possono intraprendere azioni che violino le norme di tipo sociale e soprattutto perché sono requisiti minimi le norme di tipo sociale. Quindi è un po’ il perimetro entro il quale bisogna muoversi. Quindi ha ragione Zucca quando dice c’è una sensibilità alla tassonomia sociale anche se il termine è forzato, perché è quello e live view dentro il quale dobbiamo muoverci per antica tradizione probabilmente cristiano-sociale che ha sempre governato l’Europa dopo la guerra. È presto per parlare di tassonomia sociale? Ma, insomma. Abbiamo una serie di standard che già l’affrontano: la SA8000, la Social Accountability 8000 che magari qualcuno di voi ha in una propria azienda, affronta esattamente queste tematiche. La stessa Global Reporting Iniziative, nella maggior parte dei propri standard, sono standard di tipo sociale, poi ci sono quelli economici e ambientali, ma quelli sono i più numerosi, o meglio mi ero messo a far la conta e così mi risultava. Quindi danno anche i criteri per come andare ben oltre il requisito minimo e avere soprattutto delle prove a portata di mano del proprio livello di coinvolgimento. Cosa sono invece i criteri di vaglio tecnico, che vi ricordate l’altro punto parlava di criteri di vaglio tecnico: specificano anche qui prescrizioni minime che devono essere soddisfatte per evitare il famoso danno significativo a qualsiasi degli obiettivi ambientali tenendo conto dell’impatto a breve ea lungo termine. Dall’altra parte devono essere quantitativi possibilmente se non sono quantitativi saranno qualitativi e poi lo vedremo in un modello che viene fornito ad esempio. Tengono conto del ciclo di vita, vi ricordate che prima accennavo a delle richieste di Life Cycle Assessment e il ciclo di vita, cioè dalla nascita da quando io mi procuro le materie per fare il mio prodotto a quando il mio prodotto lo consegno o viene consegnato al mio cliente. Questo è il ciclo di vita per quanto riguarda la mia azione. Poi il prodotto ha un proprio ciclo di vita che finisce poi con la morte, l’esaurimento del prodotto. Qui ci ricolleghiamo a quello che diceva il Professor Zucca: che fine fa quindi il mio prodotto? O diventa rifiuto, o diventa energia, o diventa un altro prodotto, o viene riutilizzato, dipende poi dal processo come si declina. Devono essere di facile utilizzo. L’articolo 9 del regolamento 852 è quello che fissa gli obiettivi aziendali. Allora quali sono gli obiettivi aziendali? Sono 6: la mitigazione dei cambiamenti climatici, cioè l’azione sulle cause dei cambiamenti climatici e la prima cosa che deve venire in mente sono i gas a effetto serra e sono due i principali: c’è l’anidride carbonica e il metano. Poi ci sono anche gli idrofluorocarburi ed altri ancora, ma i due principali sono questi metano che deriva naturalmente dall’estrazione, ma anche dall’attività dell’allevamento del bestiame, queste povere mucche sono responsabili della produzione di co2 metano. Metano che quando viene bruciato poi produce co2 nuovamente. L’adattamento ai cambiamenti climatici invece, secondo obiettivo, agisce sugli effetti. Cioè va bene, produciamo tanta co2, ma c’è un modo per ridurre la quantità di co2 prodotta? Si stanno studiando tecnologie per l’assorbimento della co2, tecnologie verdi e così via, l’utilizzo delle piante e via di seguito. Terzo punto: l’uso sostenibile e la protezione delle acque delle risorse marine. Se qualcuno di voi ha investito dal Single Used Plastic Directive, della direttiva sul sulle plastiche monouso, sa di che cosa stiamo parlando, perché ha esattamente lo stesso obiettivo, cioè evitare che le plastiche monouso e quindi micro granuli di plastica finiscano nel mare. Direttiva a straordinario fondamento ambientale, che però crea qualche problema,  come sanno benissimo gli operatori del settore, perché nell’interpretazione italiana si è considerato che le bioplastiche non fossero comprese nella direttiva, la Commissione Europea si è opposta con un documento recentissimo maniera molto violento – dicendo “non avete prove scientifiche per dire che le bioplastiche non sono inquinanti e quindi per noi sono inquinanti – questo significa che un settore di grande espansione tecnologica, di grande ricerca in cui l’Italia è leader, rischia di essere messo al bando da una direttiva che a questo punto avrebbe quindi una ricaduta sociale, quindi a tutela dell’ambiente rischio di bloccare un settore produttivo innovativo e su questo bisogna ragionare. Quindi c’è anche un trade off tra le varie tassonomie, diciamo così a cui il legislatore deve badare. La transizione verso l’economia circolare, che vi risparmio perché ne ha già parlato prima il collega, e che prevede anche delle norme iso – mi raccomando riducete la quantità di materia prima di partenza oppure utilizzate più materia prima secondaria, cioè quella materia prima già ottenuta da un processo di riciclo come succede per l’alluminio che è quasi tutto riciclato quello che c’è in giro. Prevenzione e riduzione della dell’inquinamento, escluso l’effetto serra che è coperto dai primi due obiettivi, e protezione ripristino della biodiversità e degli ecosistemi, gestione foreste – fondamentale nei settori del packaging, che è il mio settore, nel settori dei legnami legati alla produzione di mobili e così li agita programmi gestionali è un problema importantissimo perché il mercato sempre di più sta chiedendo di utilizzare prodotti della lavorazione del legno come la polpa di cellulosa o il legname stesso che sia certificato fsc o pfc che ha naturalmente dei costi diversi rispetto al legno normale. Anche qui per proteggere le foreste e soprattutto in taluni paesi in via di sviluppo, non è tanto un problema europeo anche se l’abbandono della plastica che in qualche modo si è spostato verso la carta chiaramente ha fatto saltare un sistema di equilibri che era quello della carta. Anche qui vedete gli impatti non finiscono mai dove si vanno ad affrontare. Quale reportistica le imprese devono adottare? Dal primo gennaio 2022 fino al 31 dicembre 2022 le imprese non finanziarie comunicano la quota delle attività economiche ammissibili alla tassonomia e non ammissibili alla tassonomia cioè quelle in regola e quelle non in regola, tra virgolette, con la tassonomia. Attenzione questi criteri: il fatturato, le spese in conto capitale, le spese operative totali e le informazioni qualitative. Il dettaglio di tutta questa roba si trova nell’allegato dall’1 all’allegato 11, a seconda del settore vostro di appartenenza, del famoso regolamento 2178. Lì trovate tutto quello di cui stiamo parlando. Naturalmente quando si parla di fatturato si tratterà di una quota percentuale del fatturato eco sostenibile rispetto quindi ammissibile alla tassonomia rispetto al fatturato globale della vostra azienda, le spese in conto capitale, anche qui esattamente la stessa roba, e lo stesso per le spese operative, cioè è sempre un confronto tra le singole attività che io ho messo in piedi e che sono compatibili con la tassonomia e quelle che non lo sono ancora o che non lo potranno essere. Questo fa capire la difficoltà poi di reperire queste informazioni e di organizzarle al vostro interno. Per le imprese finanziarie di risparmio. Allora, da allegato numero 1 al numero 11 sono importantissimi. Sono quasi più importanti del testo perché sono una specie di linea guida. Allora per ogni tipologia di soggetto interessato, cioè di tipologia di azienda di quelle che abbiamo menzionato prima, è prevista una coppia più o meno una coppia di allegati composta da una serie di indicatori, istruzioni, definizioni, modalità di raccolta e organizzazione dei dati in forma quantitativa e qualitativa e, soprattutto utilissimo un modello di reportistica, un modello tabellare di reportistica molto chiaro. Per farvi un esempio, a livello di azienda io posso intraprendere la tassonomia quindi la sostenibilità sia a livello di asset cioè di attività economica che svolgo, per cui l’attività economica “A” è compatibile in questi termini mentre “B” e “C” per esempio non lo so o lo sono in termini differenti, a livello di progetto, che poi è quello che mi garantisce di avere i Green Bond, oppure a livello di azienda nel complesso. Vado un po’ più veloce. Questo è il modello di cui vi parlavo, che estratto, è copiato e incollato così come è dall’allegato 2 del regolamento 2178. Qui abbiamo una colonna attività economica e dove dice quali sono le attività ammissibili dalla tassonomia e, andando sotto, quelle no. Poi, muovendoci verso destra, abbiamo: criteri per il contributo sostanziale, criteri per il fatto di non arrecare un danno significativo. I primi sono tutti i criteri percentuali mentre i secondi invece sono criteri si/no un altro caso. Invece se parlo di contributo sostanziale, per esempio: mitigazione dei cambiamenti climatici le tue attività in che percentuale contribuiscono alla mitigazione del cambiamento climatico, in percentuale rispetto alle altre attività che svolgi? E lo stesso per tutti gli altri obiettivi. Questi sono i 6 obiettivi. 6 per la parte DSNH e 6 per la parte SC, insomma criteri sostanziali. Sulla colonna quest’altra invece vedete la quota di spesa per esempio in conto capitale oppure di fatturato oppure eccetera eccetera a secondo delle varie voci. Poi c’è anche la parte relativa ai requisiti minimi di salvaguardia, stessa roba anche lì espresso in sì e no. Io ho fatto una una slide diciamo così riassuntiva con l’elenco attività ammissibili della tassonomia, l’elenco delle attività non ammissibili, sempre che voi svolgete. Per ogni attività ammissibile e non ammissibile riportare Key Performance Indicator relativi a fatturato, spese in conto capitale, spese operative CapEx e OpEx. Per ognuno dei sei obiettivi e per ogni attività indicare i criteri di ammissibilità relativi a contributo sostanziale e al non arrecare danno. Le garanzie minime di salvaguardia sono espressi in termini invece di sì o no(sì rispettiamo queste garanzie oppure no). Distinguere le quote percentuali di fatturato CapEx e OpEx allineate e non allineate la tassonomia, siamo molto lontani dai requisiti; identificazione delle attività di in transizione, perché adesso stiamo cambiando le lampadine, eccetera eccetera. Allora il mio suggerimento è quello di fare un’analisi dei rischi prima, perché facendo un’analisi dei rischi, a parte che rispondete già a tutti i requisiti relativi al non arrecare danno, perché solo si/no e se dico che sono esposto al rischio si/no ho già risposto a questa domanda, ma anche per quanto riguarda il contributo sostanziale, perché capisco dove devo andare a lavorare con priorità, per quanto possa essere un’analisi preliminare. Ho cercato di pensare a quali potessero essere i pro e i contro del dover adeguarsi a questo tipo di normative a qualsiasi livello, sia direttamente che indirettamente. Allora, i “contro”: ulteriore documentazione da produrre come se non bastasse quella che già ci abbiano; difficoltà a reperire o organizzare le informazioni, che è quello che vi dicevo prima; nuove competenze da acquisire per quanto riguarda le risorse umane, perché non si hanno magari in casa e quindi si devono costruire o comperare; risorse e tempo da dedicare, risorse anche economiche non solo umane; interlocutori spesso non preparati, quindi vado in banca e c’è uno che mi dice delle cose di cui neanche lui sa di cosa sta dicendo, tanto per essere brutali; possibile difformità di interpretazioni su qualità e rilevanza delle informazioni fornite: su questi argomenti se sentite me, Zucca, Brusati o gli altri probabilmente abbiamo opinioni diverse rispetto a singoli dettagli perché è normale che chi se ne occupa non abbia una sola opinione ma ci sia un divergere di opinioni e di interpretazione; gli investimenti potenzialmente cospicui per il raggiungimento degli obiettivi, cosa che non sottovaluterei perché costa, pensate solo alla  direttiva SUP che costa tremendamente e per alcuni significa rinunciare determinati investimenti; qualcuno menzionava l’energia nucleare e gas serra che sono stati trattati il 2 febbraio scorso in una nuova comunicazione della Commissione Europea che dice che questa roba qui rientra per quanto riguarda la tassonomia sulla base di una giudizio del Joint Research Centre che è il centro scientifico della commissione indipendente. Qualcuno potrà dire “beh, allora tutti gli investimenti che abbiamo fatto fino adesso allora vanno a farsi friggere…”. Chiaramente si tratta qui non di una logica si/no, ma ci sono dei livelli al di sotto dei quali è necessario stare per rientrare nella soglia di ammissibilità quindi magari lo sforzo dovrebbe essere quello di stare sotto quei livelli di emissioni di gas. Ma quali sono i pro che ci interessano magari di più? Razionalizzazione di alcuni processi aziendali, che magari non sono mai stati razionalizzati che non ci siamo occupati molto poi si scoprono dei costi nascosti proprio perché loro sono stati razionalizzati; maggiore monitoraggio delle attività, che non consideravamo e che invece adesso cominciamo a considerare; consolidamento delle relazioni all’interno della filiera se vuoi siete un mio fornitore e so già che siete compatibili con gli stessi requisiti e avete adottato gli stessi requisiti che adotto io, prima di trovarne un altro di fornitore ci penserò su po’ perché mi costa un sacco la ricerca di un’alternativa molto spesso; risparmio in termini di consumi di utilities, perché sto ragionando su quello , quindi riduco l’approvvigionamento di gas perché sto utilizzando un approvvigionamento ad un’energia diversa o utilizza la luce in maniera più responsabile e così via; maggiore coinvolgimento delle risorse umane in un obiettivo condiviso, perché qui stiamo parlando di roba che non riguarda solo le aziende ma riguarda anche alcuni uno di noi come consumatore, che guarda caso è molto attratto dal prodotto che ha diciamo così la etichetta green, tant’è che si parlava prima di greenwashing, cioè di prodotti che sembrano green ma non l’ho sono; vantaggio comparativo sui concorrenti dirty, perché noi abbiamo fatto degli investimenti, anche intellettuali, che gli altri non hanno fatto e quindi forniamo dei prodotti che incontrano nel mercato rispetto a determinati requisiti, cose che i nostri competitor non sono in grado di fare; reputazione sociale sul mercato, la mia reputazione di azienda seria che rispetta i regolamenti e i diritti delle persone; accesso al credito proprio come conseguenza e poi estensione del criterio di qualità, cioè non è più qualità del prodotto ,qualità del processo, diventa anche qualità relativa al rispetto dell’ambiente,  del lavoratore, del consumatore; crescita delle aspettative dei consumatori. Io con questo ho terminato io vi ho messo dei link dove ci sono dei file di Excel che vi possono essere utili. Sono pubblicati dalla commissione europea e passo la parola poi la parola al Professor Brusati.

Brusati: Bene signori, allora salto tutta la parte introduttiva in considerazione del tempo limitato. Sappiamo tutti, se siete qua, cosa si intenda per ESG, c’è sicuramente una attenzione crescente da parte degli operatori e dell’opinione pubblica alla problematica della trasparenza della performance in una dimensione, non solo economico finanziaria, ma anche di questa misteriosa cosa che si chiama sostenibilità che si declina in modi molto diversi. Sulla sinistra c’è una immagine molto nota e molto utilizzata che dice delle determinanti del valore delle imprese sono legate sempre di meno agli asset materiali e sempre di più agli asset immateriali; qui c’è, invece, una survey più recente condotta da Ernst and Young c’è un po’ di politically correct, di dire che è importante, però questa survey condotta in vari anni (2018 e 2020) fa vedere che si richiede una maggiore disclosure da parte delle imprese, gli operatori richiedono alle imprese una maggiore disclosure sui rischi legati alla dimensione ESG della performance. Sappiamo che esiste una normativa già in vigore che, tra virgolette, obbliga, è un obbligo piuttosto morbido, alcune organizzazioni con caratteristiche particolari, cioé devono essere di interesse collettivo e quindi ci stanno le grandi banche e le grandi assicurazioni, le imprese con titoli quotati e così via, attenzione però che la cifra menzionata nel primo intervento (circa 11.700) non sono in Italia sono a livello di Unione europea le realtà tenute a questo tipo di rendicontazione. Ci sono dei vincoli dimensionali ma non è che tutte le imprese con più di 500 dipendenti e con un attivo superiore ai 20 milioni di euro, con ricavi sopra i 40 milioni di euro devono qualificarsi come realtà di interesse collettivo. Altrimenti possono rendicontare ma non è una rendicontazione obbligatoria. È chiaro che molte lo fanno per una questione di aspettative dei diversi stakeholder, ma non ricadono gli obblighi di questa normativa. Due elementi importanti di debolezza dell’attuale approccio: secondo la direttiva originaria e secondo il recepimento con il decreto legislativo 254 chi rendiconta per ottemperare a questo obbligo può scegliere il modello di rendicontazione che vuole. Questo ovviamente pone problemi enormi in primo luogo di venues shopping, cioè io scelgo il modello di rendicontazione che mi fa fare una figura migliore e poi viene a mancare la confrontabilità, perché basta dire dare un motivo per cui si è scelto ci può rendicontare come si vuole. Altro elemento di debolezza, perché dicevo un obbligo tra virgolette, perché se l’obbligo non esiste nessun tipo di sanzione per cui la maggior parte delle imprese che ricadono ovviamente ottempera lo stesso ma per una questione più di political correctness che di norma cogente. Qui c’è un esempio di una nota banca italiana che segue alla lettera quanto previsto dal decreto legislativo. Quindi la struttura della rendicontazione è, voce per voce, quanto scrive il decreto legislativo. In che senso questo rappresenta un problema e quindi si pone l’esigenza del suo superamento? è un problema sia per chi deve leggere le informazioni che per chi deve produrle. Per chi deve leggerle chiaramente al momento in cui manca la confrontabilità non si capisce quanto siano rilevanti le informazioni effettivamente fornite. Uno degli standard di rendicontazione per esempio previsto da grrai a dire bene dove paghi le tasse? non ci sono tante imprese che questa cosa la vanno a dire nel loro report di sostenibilità. Ti dicono che hanno messo i bicchieri di carta ma dove pagano le tasse non lo scrivono. Andatevi a vedere il report di sostenibilità di autostrade per l’Italia degli anni scorsi e troverete delle cose abbastanza interessanti. Ovviamente manca la confrontabilità, che quindi rende difficile fare un’analisi, ci sono delle forme di asseveramento ma non sono sempre particolarmente chiari. Non si sa dove trovarli questi documenti, nel senso che è scelta dell’impresa come, quando e a chi metterla a disposizione, e così via. Ovviamente questo comporta un rischio piuttosto serio di greenwashing che non è solo un problema etico-morale. Vuol dire che qualcuno delle imprese sono soggette a determinati rischi – torniamo al caso di autostrade per l’Italia di cui dicevo prima – senza che l’investitore abbia informazione di questi rischi; e allora cosa mi serve, è uno strumento di relazioni pubbliche? Forse. Non ci basta. E quindi mancanza di accountability. Peraltro il problema è serio anche dal lato delle imprese perché nel momento in cui le regole sono poco chiare diventa difficile andarle a chiedere ai propri fornitori della supply chain, i requisiti cambiano nel tempo perché ogni momento mi viene fuori qualcosa di nuovo, quindi devo ottemperare (il che tra l’altro vuole anche dire che devo modificare i miei standard di rendicontazione quindi anche rispetto alla singola impresa io devo modificare nel tempo i mezzi di dati che vanno modo a mettere perché manca perfino la confrontabilità nel tempo rispetto alla stessa impresa). Questo vuol dire costi in sovraccarico amministrativo è una rincorsa dell’ultimo aggiornamento che dice no ma devi mettere anche questo e c’è un problema abbastanza serio che è uno dei problemi che interessano l’Unione europea l’idea, la filosofia o, diciamo, l’obiettivo di policy è dire: vorrei che più risorse e, se possibile, a condizioni più vantaggiose, andassero ai progetti più sostenibili. Anche perché una volta che ci mettiamo dentro il vincolo di bilancio delle istituzioni finanziarie se io do più soldi a condizioni più favorevoli a chi è sostenibile, automaticamente ne do meno o zero o a costi più alti a chi sostenibile non è. E questo è un modello abbastanza intelligente di regolamentazione del mercato, il sustainability (…) long lo ha inventato il mercato, non l’ente pubblico, ma nel momento in cui l’ente pubblico fa trasparenza sulle condizioni del mercato, forza un po’ la mano su una maggiore diffusione, una maggiore applicazione di questo tipo di strumento di finanziamento. Chiaramente, nel momento in cui c’è una situazione altamente dinamica nella quale io non so che regole varranno domani, questo crea problemi per tutti gli operatori del sistema. Qui c’è un esempio recente che spiega come delle regole ci sono, poi qualcuno viene colto in castagna che forse ha detto di essere sostenibile non è vero e ci sono conseguenze abbastanza importanti di queste pratiche di green washing sul settore finanziario. Fine aprile del 2021, dopo una elaborazione di circa un anno e mezzo la commissione mette sul tavolo una proposta di Corporate Sustainability Reporting Directive. Notiamo che cambia anche la denominazione non è più rendicontazione non finanziaria ma è rendicontazione di sostenibilità. Il 6 maggio importante webinar con duemila persone collegate di presentazione di questa proposta di direttiva è stato aperto dalla Lagarde ed è stato chiuso da uno dei vicepresidenti della commissione (per dire che la volontà politica dietro è molto forte altrimenti non metto in ballo la Lagarde e mi pare fosse Dombrovskis per presentare questa cosa). Questo perché ci rileva in termini pratici? chi se ne frega di quello che c’è nella Brussels bubble. Questo per dire che la volontà della commissione di andare avanti su questa cosa è forte. Allora cosa prevede questa proposta che, ripeto è una proposta di cui poi parleremo delle tempistiche e di cosa mi aspetto io in questo intervallo di tempo, allora che questa proposta di direttiva debba applicarsi a tutte le grandi imprese ma definite secondo la definizione standard dell’Unione europea, non secondo quei 500 eventi 40 della direttiva del 2014. Quindi definizione standard dell’Unione europea vuol dire più di 250 full time equivalent e un bilancio oppure un bilancio superiore a 43 milioni di euro e ricavi superiori ai 50 milioni di euro, più tutte le altre imprese che non sono grandi con titoli quotati, su una qualunque delle borse valori della dell’Unione europea, alcune delle quali sono a Lubiana, se si è quotati alla borsa di Lubiana dove non ci sono grandissime imprese è comunque un titolo quotato sul mercato regolamentato sul mercato dell’Unione europea e quindi ricade sotto questa regola. Per queste piccole imprese ci sono dei termini specifici delle dilazioni temporali ma non entriamo su dettagli. Questo invece è un tema che ci interessa perché ha delle implicazioni importanti che vedremo dopo. La stima è che questa direttiva si applicherebbe a circa 50.000 imprese. Da 11.700 a 50.000 è un bel salto ma ne parleremo. Qua ci sono un po’ di dettagli ma a me quello che interessa verosimilmente è l’ultimo, cioè, è vero che questa direttiva secondo quanto scritto sulla direttiva non si applica alle pmi. Nel momento in cui, però, le imprese devono rendicontare sulla propria supply chain è ovvio che vanno a chiedere delle informazioni, quindi si stanno ponendo il problema: come faccio a fare in modo che i miei fornitori mi diano le informazioni, oppure, approccio alternativo: io scelgo quelli che l’informazione me le sanno dare e gli altri… problema loro. Questo è un tema che già si sta verificando. Allora non abbiamo tempo per entrare nel dettaglio di questa lista, però questa lista fa abbastanza paura perché chi vive nella Bruxelles bubble si dimentica di come funziona il mondo reale. Quindi non solo hanno messo tutto, ma come vedremo tra un attimo, ci stanno ragionando in una prospettiva che, io l’ho detto direttamente parlando con le persone della commissione che se ne occupano è fuori di testa. Scusate, allora, o dite esterno quello sul quale ci si sta concentrando e poi secondo me ci si concentrerà anche in futuro si sta già lavorando sulle problematiche legate ai climate change e qui torniamo a quanto proposto dai relatori prima di me, cioè, sostenibilità è tutto poi però quando c’è da stringere si va su un novero di temi abbastanza ristretti. Scusate, vi faccio vedere la questione che citavo, poi torniamo indietro, questo è uno dei primissimi documenti, quindi un documento di discussione sulla rendicontazione con riferimento ai climate standard, la cosa impressionante sono le 51 pagine solo di questo documento. Per questo dicevo che secondo me si sta andando su una traiettoria un po’ sovietica di iper regolamentazione del dettaglio trascurando la realtà alla quale queste cose si devono applicare. Però ci sono dei possibili correttivi. Questa slide, magari altri relatori dopo di me ne daranno qualche dettaglio in più, però volevo darvi due elementi conoscitivi. Allora, nel documento ci saranno i principi fondamentali e le linee delle linee guida concettuali. C’è una soluzione che secondo me è abbastanza intelligente allora qui ci sono due approcci quando si parla di rendicontazione di sostenibilità. L’approccio al cosiddetto principle base che dice io non ti dico specificamente gli indicatori, perché questo strumento te lo devi adattare alle caratteristiche della tua azienda che in una logica gestionale, strategica, d’identificazione delle vulnerabilità e degli elementi da sfruttare è l’approccio che io trovo più intelligente. Problema di un approccio cosiddetto principle base è che i documenti non sono confrontabili. Principle base tipicamente international integrated boarding council. Allora, l’approccio alternativo al cosiddetto approccio rule base che ti dà, sto semplificando un pochino per evidenti esigenze di tempo, che ti dà già la lista degli indicatori. Devi rendicontare su questi indicatori qui, chiaramente minore valenza strategica, maggiore confrontabilità.Ci sono già una serie di ibridazioni di questi modelli.Quello che che ha in mente la commissione europea è un ibrido, secondo me, intelligente. Cioè, si dice, ci sono degli indicatori che dovranno rendicontare tutte le imprese; ci sono degli indicatori che dovranno essere specifici di settore per garantire una migliore confrontabilità delle imprese che rientrano in quei settori sector specific e, poi, c’è spazio per degli indicatori che la singola entity cioè l’impresa soggetta al vincolo di rendicontazione si mette per i fatti propri e quindi alla valenza strategica senza che ci sia l’elemento di confrontabilità che secondo me è una integrazione, diciamo è un approccio intelligente. Punto secondo me è molto sottostimato, perché tutti chiaramente pensano agli obblighi di rendicontazione, guardate che sta roba è molto ambiziosa in termini gestionali perché l’idea, che personalmente condivido, poi vedremo come si può fare, è che non ci sia solo la rendicontazione, bisogna stabilire gli obiettivi per l’anno dopo. E su quelli poi andare a misurare i risultati raggiunti che fatto in modo intelligente è un bel passo avanti. Per cui (…) reporting areas strategy cosa intendea fare? dove intendo arrivare? Implementation. hai detto che arrivi li. Adesso spiegami bene comen intendi farlo, ma prima di farlo, e poi mi racconti cosa hai fatto, non solo mi va a raccontare cosa hai fatto scegliendo gli ambiti sui quali hai fatto bene. Anche questo è impegnativo. Ecco questo diciamo ci sono gruppi di lavoro che stanno lavorando con una velocità impressionante e con molta intelligenza, è la massa che mi preoccupa. Tempistiche: secondo trimestre del 2022 approvazione della proposta di direttiva da parte del parlamento da parte del consiglio. La commissione europea notoriamente non decide quando non stiamo parlando di regolamento, ma deve essere il consiglio. Qui secondo me ci sarà una tagliola abbastanza importante, cioè non sono sicuro che 27 paesi membri dicano prego buttate questi oneri sulle imprese. Per cui ci sarà una negoziazione tra la commissione e i paesi membri (scommessa mia, si comincerà con alcune parti, le altre verranno poi introdotte gradualmente) però si andrà avanti, per questo che ho citato il coinvolgimento della Lagarde e di Dombrovskis. Se questa tabella di marcia sarà rispettata, entro il 31 ottobre verranno approvati di standard generali di rendicontazione, che di fatto sono già pronti, e questa stanno già elaborando; poi 31 ottobre 2023 l’approvazione degli standard settoriali, quelli del secondo blocco quali per la confrontabilità a livello di settore e quelli specifici per le pmi perché c’è un grosso dibattito come facciamo a semplificarli, a garantire trasparenza però semplificata e semplificato cosa? mi fai semplificare se dopo devi utilizzarli. Secondo questa tabella di marcia questo vuol dire che nel secondo trimestre del 2024 si dovrebbero pubblicare i nuovi bilanci di sostenibilità redatti secondo i nuovi criteri. Siccome i bilanci presentati nel 2024 devono far riferimento all’esercizio 2023, se devo cominciare a raccogliere i dati dal primo di gennaio del 2023, dovete cominciare a pensare alle procedure di raccolta dei dati prima di pranzo ok perché adesso sto un po’ esagerando, però sicuramente a settembre non a dicembre del 2022 e siete tra sei mesi. Qualche commento e con questo mi avvio alla conclusione. Allora spunto di riflessione. C’è stata una forte accelerazione, in parte vedi fridays for future ce lo si può aspettare, però a questo livello è largamente in attesa, cioè tutti gli operatori dicono noi questa velocità di evoluzione del dibattito non l’abbiamo mai vista. Sicuramente ci saranno margini più ridotti per il greenwashing, resta però una via d’uscita cioè se io faccio disclosure selettiva, cioè certe cose non te le dico è un peccato di omissione ok e quindi bisogna vedere come saranno gli standard potrebbe esserci dello spazio per ad escludere selettiva. Punto che ha due facce, ma questa decisione qual è l’obiettivo vero? che poi ha un’altra faccia, le imprese come la prenderanno. C’è uno scenario del quale vedo traccia parlando con gli imprenditori, quelli più sgamati che dice: mi dà gli strumenti per implementare, incorporare la strategia nelle mie strategie aziendali. C’è qualcuno che dice: io stesso questo voglio vincere su questo voglio vincere il confronto competitivo, questo non è un discorso di compliance, voglio capire sul mio modello di business nella prospettiva che mi incorpori la sostenibilità. Perché può diventare un selling point, può essere un vantaggio nei confronti dei collaboratori, della collettività, dei miei clienti, ecc. È la prospettiva che in ambito accademico, ma anche consulenzario, viene chiamato dello shared value, vinco io, in termini di impresa e vince il mondo. È un discorso di reputazione? torniamo al punto di prima. C’è un’operazione di relazioni pubbliche nei quali cerco di dialogare, magari in modo un po più credibile di quanto sia oggi, con i portatori di interesse oggi per come sono fatti i bilanci di sostenibilità è brutto non farlo ma mi domando quale stakeholder davvero ci guardi dentro e si fidi di quelle informazioni per come vengono fatte. Oppure una logica di esercizio formale, cioè di compliance. Ripeto, questo sia dal lato del regolatore sia dal lato delle imprese. Punto debole del quale stiamo cercando di mandare i segnali alla commissione: signori, se oggi questa cosa viene fatta per obbligo più o meno da 11.700 imprese a livello europeo più qualche altro migliaio sicuramente che lo fa in modo un po così volontaristico e dobbiamo andare a farlo per 50 mila su degli standard pesanti e super dettagliati, dove li troviamo quelle che fanno questa cosa? anche perché, signori, se la vostra impresa è enel, chiamate una delle big four e ve lo fanno pagando certi prezzi dove ritrovate quelli che fanno ste cose? nominalmente i commercialisti dal 2005 dovrebbero essere in grado di fare tutti sta roba. Non ne conosco tanti che siano davvero capaci di farlo. Ce ne sono, ci si stanno interessando, si stanno muovendo e così via. Che cosa hanno fatto come SSC? da un anno e mezzo siamo partner di un progetto europeo che lavora su questi temi che è andato specificamente a elaborare basandosi sul modello dell’international integrated reporting committee un modello di rendicontazione integrata, una guida che abbiamo finito in inglese ed è stata tradotta in italiano e una serie di moduli formativi pronti in inglese accessibili con gli esercizi e quant’altro. Su questo abbiamo già sperimentato dei pezzi nell’ambito di un corso che abbiamo organizzato su quattro moduli tra novembre e dicembre e, sempre nell’ambito del progetto in collaborazione con Confapi Friuli Venezia Giulia, abbiamo trovato sei cavie che stanno lavorando formati su questi materiali a abbozzare l’edizione zero del proprio bilancio di sostenibilità. Questo è uno dei moduli del corso di formazione online, le slide saranno poi disponibili in italiano per il momento è tutto online solo in inglese però insomma ci stiamo lavorando, in modo da avere dei deliverable che in qualche modo non sono stati concepiti solo nella follia delle nostre notti di lavoro, ma siano stati testati con degli operatori in carne ed ossa che dicono: non c’ho capito niente, oppure sì, effettivamente ho capito. Con questo direi che abbiamo concluso e passo la parola al coordinamento del dibattito.

Delogu: Buongiorno se fossimo nel 1750-60 avremmo in aula probabilmente Adamo Smith e lui si domanderebbe: come ci collocheremmo nella materia economica, che lui stava fondando, la sostenibilità. Tutti sappiamo che Adam Smith è famoso per la “Ricchezza delle Nazioni” ma lui, che era un filosofo, in particolare scrisse prima la “Teoria dei sentimenti morali”. Io me la sono riletta recentemente e non ho mai trovato la definizione di sostenibilità ma ho trovato più volte il riferimento alla governabilità alla governance. Ebbene, abbiamo creato un panel con sei relatori per cercare di mettere a terra tutti gli interessanti spunti che abbiamo ascoltato fino adesso. Abbiamo un giornalista, abbiamo magistrato che sta facendo, in questi ultimi periodi, un esemplare lavoro di consulente giuridico del Ministero degli Affari Esteri, abbiamo un legale che poi ci parlerà anche della responsabilità degli amministratori, abbiamo due rappresentanti degli stakeholder istituzionali-imprenditoriali. cioè sono (…) e Confindustria e, in ultimo, chi in una grande impresa ma per le piccole imprese si occupa di sostenibilità e governance e in parte sono qua presenti in parte sono in collegamento; inviterei quindi qua accanto a me Luca Testoni, giornalista, direttore di Etica News, inviterei il magistrato che però è in collegamento, buongiorno, grazie Giovanni Tartaglia Polcini, magistrato e consulente giuridico che parlerà dopo il nostro giornalista, poi inviterei l’avvocato Federico Busatta dello Studio Gianni Origoni, poi inviterei i rappresentanti di Assolombarda e Confindustria Bielli e Pagliuca e sul finale si presenterà la dottoressa professoressa Genuardi. Allora, io inizierei quindi con il giornalista direttore di Etica News, in qualche modo abbiamo creato un link parlando della morale, quindi chiederei a lei un inquadramento tenendo conto del fatto che abbiamo già avuto una ampia disamina tecnico-giuridica ma chiederei a lei adesso di mettere a terra tutti quanti gli argomenti.

Testoni: Allora, poiché parlo da giornalista, io sono direttore di Etica News e di Business Review che è l’unico giornale cartaceo che si occupa di tematiche environmental social and governance. Vivo con un po’ di orgoglio, io credo che sia l’unico giornale di questo tipo senz’altro in Europa; è un semestrale che esiste da due anni e mezzo ormai e monotematico sulle questioni della sostenibilità in chiave aziende e finanza. Parlando di giornalismo, allora parto da un aneddoto che riguarda due articoli di giornale usciti nelle ultime settimane: uno sul Financial Times e uno su Responsable Investor. Uno si intitolava largo circa vi parlo dell’esaurimento da ESG perché io sono esaurito; l’altro titolo era “oh, no un altro articolo ESG” allora questi aneddoti che trovate sul nostro sito linkato e oppure se fatto un giro su google danno la sensazione, sono anche articoli interessanti perché probabilmente ci si può riflettere nel senso lo specchio si può rivedere in quello che scrivono in queste lettere perché sono professionisti che appunto dicono non e possibile, io non sono più in grado di seguire quello che sta succedendo, mi accorgo che giorno per giorno c’è un volume tale di news ovvero information ma soprattutto di over regulation per cui non ce la posso fare e vado in esaurimento e in sbattimento totale. Abbiamo utilizzato questi aneddoti per fare una riflessione in un editoriale di qualche di qualche giorno fa in cui si parlava appunto della over regulation. La difficoltà in questo momento del sistema che è stata evidenziata anche dagli interventi che ho seguito prima del mio. Mi sono segnato le virgolette, una lista di flag, di cose da flaggare interminabile. Prendo poi un altro aneddoto, una connessione sempre con chi mi ha preceduto, non ricordo il nome del signore che sta in seconda fila, che spesso chi chiede informazioni ESG, a chi viene richiesto qualcosa di termine informazioni ESG, si rende conto che chi chiede non ha idea di quello che ti sta chiedendo, cioè, è quello che stiamo vivendo anche noi negli ultimi mesi abbiamo proprio avuto la percezione, questi soggetti dicono abbiamo registrato una violenta escalation di richiesta di informazioni di sostenibilità, non sappiamo cosa rispondere e se tu a questi soggetti chiedi ma tu hai la percezione di chi ti chiede, se chi ti chiede sa quello che ti sta chiedendo?  E la risposta è sempre no. Ma io sono sotto interrogatorio da un sistema che ammette o comunque che mi evidenzia che lui stesso non sa dove sta andando. Allora tutta questa serie di aneddoti dei giornalisti è per dire che è evidente che ci troviamo in una situazione di stress generato da una over regulation quindi un eccesso di regolazione che non finirà, non è destinato a finire, al contrario nel 2022 c’è un interessante report di (…) che ha fatto un’analisi e dice ci sono ben 34 consultazioni di 12 organismi internazionali – 34 consultazioni – per norme che devono chiudersi nel 2022 legati alle environmental, social and governance. Quindi prendete quello che abbiamo oggi e metteteci su questo ulteriore carico (tra parentesi, il 15 febbraio era attesa un’importante direttiva sulla soustainible governance europea) questa, secondo me, è un’altra di quelle norme che se oggi siamo arrivati qui, nel senso se immaginiamo il nostro insieme di mondo, con questa li giriamo completamente, perché mi aspetto che da questa normativa si vadano di fatto anche a rendere effettivi in termini di legge le questioni dello stakeholder capitalism da quello che ho capito e dalle consultazioni che hanno fatto pre questa normativa si andrebbero a introdurre degli elementi tipo la responsabilità del consigliere la responsabilità ESG del consigliere di amministrazione. La responsabilità ESG del consigliere di amministrazione è enorme in termini orizzontali ma anche in verticale perché ti dicono sarai responsabile anche verso lo stakeholder. Questo era nelle consultazioni vedremo cosa viene fuori. All’interno di questa normativa che era attesa al 15, hanno detto la rappresenteranno il 23 di febbraio, quindi la prossima settimana, ci sarà poi un altro elemento di moltiplicazione non solo concettuale ma anche operativo. Ho visto citare la nuova DNF credo che un effetto altrettanto dirompente avrà la normativa in arrivo sulla supply chain. Ad oggi in termini normativi semplicemente una proposta dal parlamento europeo che chiede, è una richiesta di direttiva avanzata alla commissione. Questo imput dato alla commissione anch’esso, sono d’accordo con chi mi ha preceduto, con un forte con una forte valenza un forte messaggio politico dietro chiede di normare come all’interno della filiera il committente deve accertarsi del fare più diligence sui propri fornitori. Quindi, se già oggi la tassonomia sta facendo impazzire le filiere perché ci sono aziende che davvero si trovano a dover rispondere a domande che fino al giorno prima nemmeno potevano immaginare che fossero messe sul tavolo, questa roba diventa normata a tutti gli effetti. Quindi prendete le regole di oggi la lista da paura che diceva il professore prima e la moltiplichiamo per n. Ora tutto questo dalla visione nostra cioè di un giornale think thank che fa analisi e studia informazioni e fa consulenza su queste cose, significa avere di fronte una prospettiva a due rami. O ragioniamo quindi tutti a vedere aziende, istituzioni, regolatori, investitori, perché in tutto questo manca tutto il discorso della (…) regulation che è l’impatto della tassonomia dal lato finanza che a sua volta deve andare a impattare sulle aziende moltiplicare quella tutte le questioni di complessità. Dicevo abbiamo due modi di affrontare questo discorso: o la super compliance, cioè tutti i soggetti diventeranno grandi ragionieri nel senso non agente amministrazione spregiativi ma compilatori di documentazione e, come dire, diventerà importante il know how per seguire, essere follower, essere applicativi; l’altra… fermiamoci su questo. Immaginiamo questo mondo: quindi di super compliance. L’azienda è in linea, quindi è compliance. Io credo che in un’ottica di questo tipo di quello ed è quello che già sta succedendo, ci si trova l’istituzione, il regolatore si trova in una situazione di paradosso di Zenone. Cioè continuamente con le norme l’azienda cerca di avvicinarsi con la sostenibilità poi si sposta ancora è un continuo inseguire un mondo di documentazione e di dati senza arrivare mai alla fine perché poi lo sappiamo, l’abbiamo visto, le norme continuano a moltiplicarsi, se tu vuoi entrare sempre più nel dettaglio, vuoi regolare fino all’ultima particella di ESG devi continuare a normare e tu devi continuare a seguire. Quindi c’è una prospettiva di paradosso in arrivo. E credo che in questo mondo paradossalmente si torni si evidenzi lo spettro che era quello iniziale da cui si scappava: il greenwashing. Allora il professore diceva che con tutto quest’insieme di norme probabilmente si riduce la possibilità di greenwashing, ma mentre si riduce la possibilità di greenwashing volontario, ma involontario, tutto quello che si lega a un discorso io non so io non capisco io non riesco a seguire io non posso non posso farcela ad essere complain esplode. Non solo. È fisiologico anche un greenwashing nel mondo in cui tutti siamo compliance. Pensate a quello che sta succedendo nella finanza la (…), quindi la tassonomia per la finanza, ha creato le categorie articolo 8 e articolo 9 per dire il prodotto finanziario è sostenibile. Sei complain perché fai questo e quest’altro. Avete idea di che percentuale di articolo 8 e 9 e ci sia oggi sul mercato? qualcuno mi dà un’idea? se vi dico il 5% è plausibile? se vi dico il 40%? in europa il 40% dei prodotti finanziari nel giro di quattro mesi sono compliance. È evidente che non è così cioè non è possibile che in quattro mesi la finanza abbia solo prodotti allineati ESG. È lì che si nasconde il problema del greenwashing. Se tutti siamo articolo 8 come lo distinguo? ed ecco la seconda strada che dicevo. Allora abbiamo di fronte o la strada della over regulation e del super compliant o l’altra strada, anche questa citata dai regolatori, è quella di creare, di puntare a crearsi una consapevolezza ESG quella che noi chiamiamo, quando facciamo formazione o consulenza, identità ESG, ESG identity. Cioè il soggetto non è più solo un grande ragioniere che compila, risponde e compila, ma è un soggetto che si è creato questa ESG identity. Vuol dire che questo soggetto si è dato uno scopo, quindi una cultura interna, questa cultura l’ha tradotta in un sistema di governo, in una governance, l’ha tradotta in impegni, commitment, è stato capace di tradurla anche in una struttura commerciale, con dei framework precisi per i propri prodotti, per i propri servizi, il suo modo di porsi e capace di relazionarsi in chiave ESG con la sua catena di fornitura a monte e a valle ed è in grado di valorizzare questo suo standing ESG al di fuori. Credo che quest’ultima parte del valorizzarsi sia quasi automatica se tu fai tutto il percorso, se ti sei costruito una governance, se sei riuscito a permeare di questo concetto anche la tua rete commerciale, poi il tuo valorizzare all’esterno penso che sia quasi automatico. Questo vale sia per l’azienda che sta sul mercato vale per l’azienda b2b e b2c, ma forse ancor più per l’azienda b2b che deve interfacciarsi con una catena di fornitura che non è la signora al supermercato che compra i biscotti, la catena di fornitura magari ti fa una commessa da un miliardo e non scherza cioè lui vuole veramente che tu sia quello che stai dichiarando di essere, non batta il bollino, uno dei miliardi di bollini di sostenibilità che ci sono oggi. E vale anche per la finanza. Tanto è vero che, e qui chiudo, con uno degli esercizi che noi consigliamo oggi alle aziende big ma anche alle aziende di dimensioni più ridotte, e qui mi ricollego sempre quello che poi è stato detto anche prima, cioè il passaggio culturale è quello di crearsi di ragionare sulla creazione di questa ESG identity e quindi vale sia di suo sia per aziende grosse ma anche le pmi, quindi il modello (…) quindi costruiamo sono in grado di verificarlo e anche questa è la nostra sfida lo stiamo costruendo in questi mesi, un modello di governance degli ESG all’interno degli investitori e quindi dei grandi gestori perché anch’essi fino ad oggi si sono limitati a monitorare l’asset su cui investono quindi andare a chiedere ma l’asset e grinta sono unicamente ESG o quello che vuoi però in prospettiva questo abbiamo già tangibilità sul mercato chi ti comra un prodotto finanziario, un fondo non ti chiede più se quel fondo ha l’etichetta verde azzurra rosa articolo 8 articola 9 ecolabel quello che vuoi. Ti chiede chi è il gestore e ti tiene se è sostenibile il gestore. E per essere sostenibile un gestore si torna al discorso deve costruirsi una propria identità ESG. Su questo concetto mi fermo e spero di aver in qualche modo riassunto il quadro attuale.

Delogu: in modo eccellente più che da giornalista, quindi grazie. Cedo ora la parola al magistrato dottor Giovanni Tartaglia Polcini e in particolare con il professor Zucca ci chiedevamo quale potesse essere il suo contributo, le chiederemo in particolare occuparsi della governance, perché abbiamo parlato tanto delle materie però dietro c’è l’applicazione da parte degli esseri umani, quindi le chiediamo un’attenzione in particolare sulla governance. Prego.

Tartaglia Polcini:  grazie mille dell’invito e soprattutto un cordiale saluto a tutti voi e un particolare ringraziamento al professor Fabrizio Zucca, non solo per l’organizzazione di questo interessante evento ma anche per il suo sforzo in questo specifico settore e anche naturalmente dell’Eurispes, vedo professore Marco Ricceri che saluto, l’amico Marco Ricceri, e io rispondo alla sua sollecitazione anche se devo introdurre, anche dal punto di vista del concetto dogmatico, il motivo della mia partecipazione a questo evento e anche il possibile contributo al vostro dibattito. Io sono magistrato prestato al servizio del mondo diplomatico e mi occupo di prevenzione e di repressione della corruzione a livello internazionale. In particolare nel 2021 ho presieduto il gruppo di lavoro anticorruzione del g20 nel quale sono delegato per l’Italia e così come sono delegato per l’Italia presso le organizzazioni alla cooperazione allo sviluppo economico a Parigi, l’Ocse e altri temi anti corruzione e le Nazioni Unite per i temi anticorruzione e l’agenda 2030 dagli obiettivi di sviluppo sostenibile sono, devo dire, negli ultimi anni uno dei leitmotiv dei record business del nostro sforzo dal punto di vista del government e quindi, diciamo, in particolare concentriamo la nostra attenzione su come orientare gli sforzi dei governi per il raggiungimento di uno degli obiettivi degli ESG: l’obiettivo numero 16, che quello che vuole assicurare pace e giustizia, raggiungimento di standard di legalità, per tutto il pianeta entro il 2030. L’obiettivo si dice è un obiettivo che noi definiamo trasversale cross cutting perché sosteniamo che non è possibile perseguire e raggiungere gli altri obiettivi se non anche attraverso questo obiettivo. Non è immaginabile raggiungimento di riduzione delle distanze in termini di standard se non attraverso l’applicazione di principi, valori e tecniche che sono deputate a incrementare. Un obiettivo 16 è quello deontologicamente più impegnativo, non solo per i governi, ma anche per il modo business, per le imprese del mondo aziendale. Questa è la prima premessa, diciamo, concezionale, per spiegare quello che può essere il mio contributo al nostro dibattito; la seconda premessa attiene un po alla scienza del diritto internazionale e del diritto pubblico internazionale contemporaneo. Faccio riferimento ad una nuova teorica che vede il principio di legalità totalmente trasformato e che viene definita dell’ambiente legalmente orientato o socio economico legalmente orientato in un ordinamento giuridico multilivello. Che cosa si sostiene ormai a livello internazionale? che non è più tempo di un soliloquio dei governi sia nazionali sia sovranazionali. È il momento di un dialogo multi stakeholder applicato. In che termini in che senso? mentre prima si discuteva dalla possibilità di mettere tutti i soggetti di fronte alla legge con la posizione di uguaglianza, che poi è lo scopo ultimo della rule of law, del principio di legalità, assicurando che i diversi poteri si controllino vicendevolmente in maniera tale da evitare che uno possa debordare rispetto agli altri, questa visione del principio di legalità sicuramente confermata ma viene superata in ragione dell’attuale architettura del nostro pianeta che prevede un architettura tipo verticale. L’ordinamento giuridico del paese guarda verso l’alto a quelle che sono fonti del diritto di provenienza internazionale e sovranazionale e guarda verso il basso solo geometricamente non valorialmente perché chiama le determinazioni e alla compartecipazione attiva la vigilanza collaborativa per l’assicurazione del rispetto del principio di legalità la società civile ed il settore privato. In questo nuovo modo di inquadrare il principio di legalità il ruolo dell’impresa dell’operatore economico e del business sector è profondamente mutato. E questo è il termine di riferimento della direttiva che oggi diciamo state commentando soprattutto per quanto mi riguarda con riferimento all’obiettivo 16 dell’agenda di sviluppo sostenibile. Il ruolo dell’impresa è cambiato sia collettivamente considerato sia singolarmente considerato; quindi dal government approach passiamo alla governance come mi è stato richiesto. L’impresa collettivamente considerata è un interlocutore privilegiato dei governi attraverso sistemi ormai chiari e condivisi a livello internazionale. Finanche nel G20, in molti non sanno, non si siedono solo i leader dei paesi ma si siedono anche i rappresentanti degli imprenditori attraverso gruppi che noi definiamo engagement brooks che presentano le loro proposte le loro raccomandazioni che commentano l’adozione dei provvedimenti e delle attività di soft law da parte dei governi dando le indicazioni di una strada migliore. Tra gli engagement brooks il business twenty è tra i più attivi. L’impresa individualmente considerata nell’obiettivo 16 come termine di riferimento per l’agenda per lo sviluppo sostenibile per la dimostrazione del rispetto di queste nuove regole di comportamento risponde con una parola: l’integrity. L’integrity è il capitolo fondamentale dello sviluppo dell’attività di impresa per il futuro e l’integrity richiama anche la necessità della misurazione dei comportamenti aziendali nel rispetto di quelle che sono le regole di comportamento. Il concetto della misurazione della corruzione o del rischio di corruzione o del fenomeno della corruzione o dell’impatto che le regole per evitare la corruzione o comportamenti simili hanno nella effettività. Ebbene, richiamare il progetto di misurazione della corruzione in un webinar organizzato dall’Eurispes è come parlare del core business di un’impresa all’interno di quella impresa perché l’Eurispes ha portato avanti una battaglia negli ultimi anni prima a livello nazionale poi a livello internazionale multilaterale per far valere il concetto della misurazione della corruzione che sia più oggettiva possibile. Sia lontana dalla mera percezione. Perché molte volte un approccio di tipo percettivo che può corrispondere ad esempio una considerazione che dal punto di vista dell’impresa singola noi potremmo definire reputazionale, no per intenderci, percettivo, può essere assolutamente fuorviante. Noi abbiamo bisogno di indicatori oggettivi che siano effettivamente affidabili per un semplice motivo: non stiamo parlando di argomenti di carattere sociologico, noi discorriamo di argomenti di carattere tecnico giuridico. L’agenda 2030 quando all’obiettivo 16 in particolare sotto obiettivi 16.4 16.5 richiama il concetto della misurazione dell’attività dell’impresa in questo caso per fare in maniera tale che venga abbattuto il gap rispetto al raggiungimento di standard di riferimento dello sviluppo dell’etica e del comportamento legale all’interno dell’impresa e per l’attività d’impresa, evoca un articolo della convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione. La convinzione di Merida che in acronimo conosciamo con la definizione Uncac. L’articolo 61 della convenzione di Merida dell’Uncac, recita che occorre procedere alla misurazione della corruzione in senso funzionale. Non è possibile pensare di misurare la corruzione per fare rating, per fare ranking, per dire che un’impresa è più degna di un altro come compiere un governo che più degno di un altro. Questo è fuorviante, è ontologicamente errato ed è scientificamente insostenibile. Quello che invece si può fare e si deve fare secondo la convenzione delle Nazioni Unite per il contrasto alla corruzione che è lo strumento in questo settore del multilateralismo giuridico che conta, più firme da parte dei paesi cioè la costituency di quella convenzione unica è la più ampia del pianeta della convenzione di Merida e la corruzione si misura allo scopo di meglio prevenirla e meglio reprimerla. A noi, in questa sede, interessa soprattutto il capitolo della prevenzione. Lo scopo della misurazione e di questi obiettivi 16.4, 16.5 è di tipo organizzativo e quindi vedete che ci troviamo di fronte a una sfida che in un certo qual modo siamo già percorrendo probabilmente da vent’anni, che è quella della compliance, perché tutto in questo settore torna alla compliance. C’è una straordinaria convergenza tra il concetto di responsabilità degli enti e di rispetto degli ESG e degli SDC in questo specifico settore che va valorizzato e va considerati, convergenza che va valorizzata e va considerata. Il cerchio in buona sostanza si chiude. E non è un caso che negli ultimi documenti multilaterali si faccia sempre più riferimento all’integrity dell’impresa con riferimento a concetti che sono stati più volte ripetuti in questo webinar, come ad esempio, quello della responsabilità sociale dell’impresa e del rispetto dei canoni dei cosiddetti business and human rights terms of reference del BAchar e io sono convinto che questo tipo di attività includerà la maggior parte del tempo del consulente tipo di carattere aziendale sia in source che in outsource del futuro, non solo guardando all’approccio che fino a questo momento abbiamo sviluppato in materia di responsabilità degli echi derivante dal reato, cioè dal punto di vista della prevenzione rispetto ad una possibile repressione penale per determinate condotte che i funzionari all’interno di una compagine aziendale, se non anche dal punto di vista della compartecipazione attiva di cui parlavo all’inizio, della vigilanza collaborativa che può essere un’opportunità anche per le aziende, delle grandi aziende, così come per le aziende medie e per le piccole e medie imprese per partecipare allo sviluppo sostenibile. Concluderei quest’intervento evocando un paradosso, perché ne ho sentito anche evocare alcuni interessanti. Io ragiono spesso per paradossi, materia di misurazione della corruzione con i professori Ricceri, con il presidente dell’Eurispes Gian Maria Fara abbiamo coniato un paradosso che noi definiamo il paradosso di Trocadero. Pensate che uno dei paradossi più citati a livello proprio universale negli studi che si occupano di questa materia, studi delle Nazioni Unite, documenti del G20 evocano questo studio che dice in buona sostanza: più contrasti la corruzione più la rendi percepibile, più la rendi percepibile. Ed è singolare che avere una maggiore percezione della corruzione poi dopo si manifesti e si riveli come una patente negativa per un sistema. È veramente paradossale, eppure al tempo d’oggi questo accade. Perché ci sono paesi nei quali probabilmente si usa la tecnica della polvere sotto il tappeto e quindi non si slatentizza il fenomeno della corruzione così come avviene altrove. Vale anche per la criminalità organizzata, devo dire e, invece, le statistiche, le graduatorie premiano gli ordinamenti inerti e premiano i paesi che di solito sono meno attenti a quella che è la realtà. Ma questo era un altro paradosso. Il paradosso di Trocadero l’ho richiamato solo perché facciamo riferimento alla misurazione della corruzione che pure ho citato. Paradosso di cui vi vorrei parlare, oggi, è invece il paradosso della 231 e il mio è un viatico per i vostri sforzi e soprattutto per quello che state facendo come studiosi come accademici e come professionisti e come rappresentanti del mondo dell’economia con riferimento a questo tema cruciale dei ESG con riguardo all’attività d’impresa. Ve lo dico come vecchio 231nista, perché seguo la responsabilità degli enti da vent’anni da quando quel decreto legislativo per rispondere a ben 5 fonti di diritto internazionale fu adottato nel nostro paese. Io vedo una storia già scritta e mi pongo il problema di come evitare quelli che sono stati gli errori commessi per quanto riguarda l’antecedente storico. Il decreto legislativo 231 del 2001 ha compiuto praticamente 21 anni, 20 di sicuro. C’è da chiedersi se quella cultura della compliance sia perfettamente esistente nel nostro paese, se sia effettivamente radicata e su questo da osservatore dal punto di vista internazionale posso dirvi che ci troviamo di fronte realmente a dati sconfortanti, in particolare ricostruendo la possibilità dal punto di vista giudiziario della considerazione della verifica dei comportamenti aziendali nei casi previsti dalla legge su mille procedimenti in astratto suscettibili di inquadrare anche il coinvolgimento di un’impresa, sapete quante se ne iscrivono nel registro generale delle notizie di reato nei nostri uffici giudiziari? in media uno. Uno su mille. Peraltro si registra a livello nazionale una strana situazione per cui questo decreto legislativo trova un’applicazione straordinariamente ampia in alcuni distretti, assolutamente inesistente in altri. È come se fosse una materia elitaria non solo dal punto di vista dell’applicazione la prevenzione nelle aziende ma addirittura nei nostri tribunali. E perché paradossale la situazione? perché l’impalcatura l’impianto del decreto legislativo 231 del 2001 non è di per sé sola da considerare fallace o la causa di questa scarsa applicazione. Tutt’altro, e qui è il paradosso. Molti non sanno che il nostro decreto legislativo 231 del 2001 è stato letteralmente copiato in numerosi altri ordinamenti in particolare gli ho fatto un’attività diciamo di ricerca di esegesi perché dovevo occuparmi di rispondere al questionario in sede multilaterale sul tema, posso dirvi che in alcuni casi si tratta di veri e propri plagi legislativi. La legge sulla responsabilità degli enti nel regno di Spagna è la ley organica sulla responsabilità degli enti è integralmente copiata dal decreto legislativo 231. Pensate che uno dei più importanti professori di diritto spagnolo che ha commentato questa vicenda ha intitolato il suo contributo il “plaghio legislativo” e come la Spagna noi abbiamo una replica del nostro modello normativo in numerosissimi altri paesi, non solo nella famiglia degli ordinamenti giuridici cosiddetto latini o germanica, ma anche in paesi di common law. Potrei ricordarvi quelli che a memoria mi sovvengono più agevolmente il Brasile l’Argentina il Messico il Perù. il Costa Rica perché lì ho verificati di recente, hanno un decreto legislativo uguale al nostro. Quindi un modello in espansione nel mondo lo abbiamo noi scritto e creato tipico e specifico che da noi non incontra quella attenzione dovuta. E il paradosso anche una propaggine interna: perché tutti sapete che dall’iniziale catalogo veramente ristretto dei delitti presupposto della responsabilità degli enti che avevano consentito l’introduzione nel nostro ordinamento la responsabilità degli enti derivante dal reato oggi si è arrivato ad una visione addirittura pletorica a mio avviso quasi inarrestabile di un catalogo crescente che ha modificato la ratio stessa di quella iniziale decreto legislativo, trasformandolo in un contenitore anche un po, in alcuni casi, incoerente. Eppure a fronte di questo sforzo normativo nell’ampliare le figure del reato che si possono responsabilità degli enti non abbiamo avuto un’amplificazione dal punto di vista delle statistiche giudiziarie di cui facevo riferimento prima dell’impatto di quella normativa. Ecco il perché il mio viatico facciamo in maniera tale che quella vischiosità culturale che non ha consentito il decollo di quella normativa dal punto di vista applicativo anche da parte dei tribunali questo tempo a sottolinearlo non si ripeta con riferimento a questa nuova sfida imponente che chiama e io uso un termine forte proprio per richiamare l’attenzione di tutti, chiama alle armi il business sector, la società civile, così come la pubblica amministrazione per la creazione di uno sviluppo di un mondo con uno sviluppo sostenibile e per porre effettivamente tutti gli operatori economici così come tutti i soggetti di diritto in una posizione di uguaglianza di fronte ad una legge. Una legge considerata come rule of law non solo nazionale ma in un ordinamento giuridico che è sempre più multilivello. Questo mi sentivo di dirvi come contributo d’esperienza e vi ringrazio per questa grande opportunità, avevo partecipato, avevo letto proprio in data di ieri un bellissimo articolo sul sole 24 ore su il tema degli ESG e della lotta alla corruzione mi aveva colpito proprio l’approccio è l’attività dell’Unione europea in questa materia. Sono a disposizione per eventuali domande e vi ringrazio dell’attenzione.

Delogu: Cedo la parola quasi naturalmente a Federico Busatta se è presente. Peccato perché sarebbe stato il punto di vista interessante di un legale che avrebbe messo a fuoco la responsabilità degli amministratori, in particolare. Allora, a questo punto, in assenza del legale, prima di passare la parola al rappresentante dell’Enel io chiederei ai nostri responsabili, per quanto riguarda la sostenibilità, di Assolombarda e di Confindustria, di mettere a fuoco il loro punto di vista e non solo se vogliamo passare dal particolare al generale. Quindi iniziamo con Assolombarda.

Viani: Grazie della cortesia, è bello sembrava che ci stessimo rimpallando la cosa. Allora i presenti sono Alessandro Viani lavoro in Assolombarda ormai da un bel po di anni dal 2006 mi occupo di tutta la parte relativa all’accesso al credito e finanza poi dei temi della sostenibilità in senso lato. Mi sono sempre occupato fin dal mio percorso di studi… laurea in economia con tesi sullo sviluppo sostenibile e lo ho insegnato anche per un po’ di anni all’università quindi è da un po che sia me ne occupo personalmente sia in Assolombarda insieme naturalmente a tanti altri colleghi perché penso che già dalle slide che abbiamo visto stamattina, cioè la multidisciplinarietà nell’affrontare questo tema è assolutamente fondamentale. Cioè non si può dire è compito dell’ufficio marketing, compito dell’(…) perché in prima battuta è compito di chi governa l’impresa, quindi secondo me è proprio il tema della governance è importante in questo senso qui, cioè deve esserci una consapevolezza di quello che viene fatto, non possono essere singoli azioni perché il mercato non le premierà. Ci sarà una lente di ingrandimento incredibile io adesso mi stacco un attimo dal discorso delle regole per provare ad aggiungere qualche spunto di discussione sulla coerenza. Le aziende verranno misurate sulla coerenza delle azioni cioè se il mercato dall’esterno, che come è stato citato anche da tanti relatori questa mattina si sta muovendo addirittura più velocemente rispetto alla parte normativa perché anche loro per varie convenienze tra cui le convenienze di business e su questo non è che dobbiamo riuscire abbiamo un sistema che si muove per convenienza di business e ci dimentichiamo perché qui ci sono dei termini che fortunatamente pian piano stanno mettendo un po posto. Cioè ESG enviromental, social and government, e l’economico? e no, ma è dato per scontato, dato per scontato va bene, ma certo dimentica sempre l’equilibrio deve essere anche un equilibrio economico se no sei un filantropo non sei un soggetto economico se no sei un ambientalista cioè ci sono varie tematiche per carità vanno benissimo però se parliamo della cessione di sostenibilità bisogna sempre tenere presente queste cose questi aspetti. Anche lo stesso finalmente vi dico dal mio punto di vista cambio di normativa da non financial disclosure che, guardate che ha sempre lo stesso ragionamento. Non finanziaria, perché tutto quello che è finanziario non va bene, non andava bene era il cattivo, tutta la parte finanziaria che facevano le aziende peccato che sui flussi finanziari siano importanti per l’azienda al pari di quanto lo possano essere altre cose. Diamogli almeno pari dignità rispetto anche alla lotta ai cambiamenti climatici, andare in contro le preferenze dei consumatori, così via. Quindi portare qua anche questo termine su (…) e anche qui un altro grande passo avanti cioè corporate social responsability a me ha sempre fatto venire un prurito. Perché deve essere un qualcosa a parte? ma arriviamo da degli anni in cui ben ben venga che ci fosse questo aspetto, adesso lasciatemi essere un po provocatore su queste cose. Però sembrare all’approccio compensativo che si usava ed era a validato tanti anni fa. Cioè non riesco a fare tutto per il tramite di un’attività economica e allora compenso la grande insegnamento in questo senso che abbiamo visto sono le banche con le fondazioni. Le fondazioni hanno fatto del male? ma no ci mancherebbe altro, quanti progetti vanno a finanziare. Però è un approccio che se lo raccontate oggi alle generazioni future l’approccio compensativo non gli piace più e non si accontentano del dire allora io non sono bravo a fare queste cose, mi creo un altro veicolo. Per questo è molto importante che come che come imprese si ragioni quando prima si domandava qual è l’intento del legislatore, integrare le strategie, avere una buona relazione con i propri stakeholder, la compliance cioè per noi di Assolombarda la risposta è unica, ma anche per Confindustria che aveva un filo diretto anche con i colleghi di Roma e anche il tra i due gruppi tecnici che ne dite finanze e fisco. Integrare le strategie nella sostenibilità perché non c’è altra strada a livello imprenditoriale per cogliere appieno tutti questi aspetti. È una sfida difficile e ce ne accorgiamo in prima battuta noi perché essendo poi vicine al territorio da parte delle aziende bisogna agire in ottica preventiva, perché quando arrivano gli obblighi su una cosa così grande è tardi non si può, è stato sottolineato e lo condivido, prendere dire chiamo la kpmg di turno il consulente di turno che mi mette a posto il report. No perché non andrà bene o per lo meno si tamponeranno magari gli effetti della normativa e delle sanzioni ma il mercato non si accontenterà di questa cosa Quindi bisogna muoversi prima Bisogna adattarsi, bisogna capire come fare, è difficile per tutti ma io voglio lanciare un messaggio da un lato di fretta nel senso prima ancora che ci siano gli obblighi pensateci. Parlate con i professionisti venite a parlare con l’associazione cioè iniziate a interrogarvi. Nessuno pretende ma anche la normativa che si diventi esperti di tutto però bisogna maturare una sensibilità e la sensibilità si matura quando rientra nell’identità dell’impresa. Uno quando lancia un nuovo prodotto un nuovo servizio dice devo stare attento anche a queste cose. Bisogna allenarsi mentalmente a questo processo. Quindi prepararsi prima, cercare l’adattamento per non arrivare a reagire, perché quando devo reagire rispetto a quello che mi impone qualcun altro, me lo impone con le sue regole. Io non ho avuto il tempo di adattarmi e capire come azienda come tirare fuori valore. Poi allora sappiate per essere proprio ben chiari che non è che vi sto dicendo arrendetevi a quello che succede perché con Confindustria, tra consultazioni, tra incontri anche tramite business europe che raccoglie tutte le confindustrie europee, cioè si sta facendo una forte azione di lobby su tanti principi per evitare tanti problemi alle imprese, cioè ve ne cito uno proprio pratico partiamo da quelli pratici: la selezione avversa cioè la normativa non ti dice cara banca escludi chi non è sostenibile, ma se la banca a sua volta deve dimostrare di essere sostenibile e arriva il cliente che magari non al piano bello fantastico innovativo che ha un’altra azienda ma è sostenibile, lo prenderà perché così centrerà il proprio obiettivo. Ci sono veramente tantissimi aspetti ma, e qua ve lo assicuro anch’io non si torna indietro, almeno ad oggi tutte le indicazioni che arrivano sono che si tira dritto lungo questa strada. Si daranno degli aggiustamenti i tempi sono velocissimi cioè non si era mai visto un processo così veloce e organico a livello europeo. Quindi diamolo per assodato tiriamo fuori quello che di buono ci può dare questa questa normativa in arrivo sapendo che fortunatamente ci sono tutta una serie di punti di contatto, le associazioni, i commercialisti, il sistema dei consulenti, cioè a cui vi potete appoggiare chiedere dei pareri. Cioè sarebbero veramente tante le cose da da dire sia a livello di attenzione al sottolineato reti in la comparabilità dei dati. Ecco un’altra cosa molto importante il dialogo col sistema finanziario: sistema finanziario che anche lui è in mezzo a uno tsunami. Sapete si parlava già di tutti gli n regolamenti che gli arrivano dalla Bce, in più arriveranno anche tutti questi dovranno formare le persone, cioè da un lato ci si può aspettare che una banca non è una piccola impresa che sono dieci persone, 15 persone, fa 3-4 corsi di formazione ed è fatta. Cioè si parla di migliaia di persone con migliaia di personalità diverse. Anche in quello l’invito se avete bisogno il sistema associativo c’è perché noi abbiamo dei canali costanti di dialogo col mondo finanziario con referenti dedicati per far arrivare problemi e risolverli ma soprattutto, concludo con questo, comunque con questo invito più cose sappiamo noi livello di problematiche pratiche più aiuta la nostra attività di lobby come sistema confindustriale ma anche diciamo l’attività più vicina al territorio di dialogo con gli interlocutori, la regione, la camera di commercio, le banche, il mondo del fintech, perché bisognerà accompagnare. Cioè qua si da per presupposto che ci sarà un sostenibile e un non sostenibile. Poi adesso abbiamo parlato tante parole nuove che vanno di moda, la resilienza, transizione, però in realtà sono delle parole che hanno un reale peso. Vuoi diventare sostenibile? secondo me la scelta è per forza che può dire no non voglio, ma dato che lo devo diventare ci sarà una transizione per forza. La finanza sostenibile si attiva solo se sei arrivato per regolamento e quindi la tassonomia devi dimostrare di rispettare e per arrivare fino lì? devo investire e soprattutto in che cosa bisognerà investire? in quelle cose che normalmente non piacciono molto. Gli intangibili, le consulenze, il come trasformare la propria azienda, la formazione, che non sono spese facilmente finanziabili dal mondo bancario. Anche su quello stiamo facendo una battaglia, ma lo potrebbero essere in parte dal mondo bancario in parte dalla pubblica amministrazione attraverso degli incentivi. Cioè c’è veramente tanto da fare e secondo me la cosa bella che ci troviamo davanti è che dobbiamo trovare noi il modo di riuscire a farlo girare come più piace a noi e non dico noi rappresentanti del mondo imprenditoriale o gli imprenditori. Cioè come noi tutti.

Delogu: complimenti, è sempre bello sentir parlare un responsabile di un’unità associativa con questo linguaggio, non chiaro, trasparente, ma soprattutto come se fosse un collega di un’impresa coinvolta nella gestione del business. Complimenti. Naturaliter passo la parola e la palla al rappresentante di Confindustria.

Pagliuca: Sì grazie. Di spunti ne sono venuti fuori tanti, anche perché io sono in Confindustria come imprenditore la vivo da oltre 10 anni con ruoli di rappresentanza. Ho avuto il piacere di condividere anche con Alessandro, col Dottor Bielli progetto “Banco pass” poi dico perché lo tirerò dentro. Oggi di tutto ciò che è stato detto abbiamo compreso che le aziende dovranno organizzarsi perché ci sono degli adempimenti nuovi. Se pensiamo al nostro gruppo PMI parliamo di 160mila imprese e se ci mettiamo anche le grandi non andiamo molto oltre, ma il nostro tessuto imprenditoriale è fatto soprattutto di microimprese parliamo di oltre 4 milioni di microimprese. Andiamo a vedere poi l’impatto dal punto di vista sociale: le 160mila assorbono circa 4 milioni di addetti della forza lavorativa; altri in 11 milioni sono sullemicroimprese. Se vogliamo dare una risposta a questa proposta di direttiva che in qualche modo cerca di raggiungere degli obiettivi che ci sono all’interno di quell’acronimo, quegli obiettivi si raggiungono con un’operazione di massa oggi obbligatorie con alcuni e poi volontaria per altri. Ma come facciamo affinché tutti si possano uniformare? Qual è il percorso che dobbiamo seguire? È soltanto un percorso di educazione culturale o dobbiamo dare degli strumenti? E gli strumenti in che modo diventano sostenibili con uno stato dell’arte che è quello che stiamo vivendo proprio in questi ultimi mesi? Non possiamo soltanto ragionare in termini di applicare una direttiva e anche questo un po’ ci fa paura, perché noi l’abbiamo vissuto qualche anno fa, direttiva 1.023 del 2019, ci è arrivato lo tsunami di una riforma del Codice della crisi d’impresa condivisa nella ratio fin dal 2015, ma poi, ovviamente, applicata – e io l’ho detto dal primo giorno che ho vissuto quella riforma – a posteriori, dopo che il decreto legislativo 14 era stato approvato (non commento il perché siano arrivati tardi, ma non avevamo tavoli dove confrontarci), era il toro preso per la coda, cioè potevi frenarlo non potevi fermarlo. Oggi siamo arrivati, dopo un dialogo costruttivo sui tavoli di confronto, a un decreto (il 118 ultimo dell’anno scorso sulla composizione negoziata) che in qualche modo ha raccolto anche quelle che erano le nostre posizioni come Confindustria. Ci troviamo spesso a dover vivere ciò che viene vissuto a livello europeo come uniformare una legislazione importante come concetto affinché tutto il mondo dell’impresa possa avere un percorso condiviso unanime e poi con una declinazione sul nostro stato che non tiene conto da dove partiamo. Prima il Magistrato ha citato il decreto legislativo 231, importantissimo anche quello, nasce vent’anni fa con una logica, oggi i reati presupposti ci sono tutti, sono stati assorbiti tutti, fino anche l’ultimo, i reati tributari, e quindi in qualche modo assorbe anche la logica dell’insolvenza e del default, non più soltanto in termini di responsabilità così come modificati nel Codice civile, perché una parte di quella riforma del Codice della crisi d’impresa dal 2019 è attuativa il secondo comma del 2.086, il secondo comma del 24 76, perciò anche l’organo amministrativo, si parlava di governance, di una piccola impresa, di una microimpresa ha le stesse responsabilità dell’organo amministrativo di una S.p.A., sulla vigilanza, sull’integrità del patrimonio sociale. Quindi noi abbiamo avuto sempre un’attività legislativa volta a recepire ciò che serve per poter uniformare le legislazioni poi con una declinazione che non tiene conto di quello che stiamo vivendo quello che stiamo attraversando. Oggi ancor peggio con gli effetti post-pandemia, ovvero post-pandemia sanitaria, ma il 2022 ci aspetta ancora quelle che sono le risultanze della pandemia economica. Abbiamo avuto delle misure che hanno congelato gli effetti pandemici dal punto di vista patrimoniale e hanno dato un sostegno dal punto di vista finanziario. E dal punto di vista economico? Sono finite le moratorie, la parte finanziaria va bene, e la parte economica? Le moratorie sui leasing? Ritornano le fatture di costo. Siamo pronti per poterle riassorbire? Anche in un contesto in cui abbiamo un aumento dei prezzi sul costo delle materie prime, sul costo dell’energia. Noi lo abbiamo detto anche come Confindustria in un posizionamento di fine anno rispetto a questa proposta di direttiva, siamo assolutamente d’accordo, la ratio è condivisa, cerchiamo di creare dei tempi che non significa prenderne di più, ma che siano congrui rispetto a quello che stiamo attraversando, affinché ci possa essere un adeguamento delle nostre imprese, fossero anche soltanto oggi le grandi imprese le PMI quotate, in grado di poter assorbire all’interno dei propri bilanci quelli che sono nuovi adempimenti. Su questo mi è piaciuto quello che diceva Alessandro, perché spesso consideriamo la valutazione dell’intangibile soltanto come le informazioni da dare agli stakeholders, da dare ad altri. E perché non valorizzarli? Un grande lavoro lo facemmo all’epoca con il Patent Box, potrebbe esserci una rievocazione non è l’ultima versione. Quindi in qualche modo iniziare a dire che quel valore qualitativo che siamo riusciti anche a far includere all’interno del rating bancario, bisogna farlo diventare anche un valore che possa essere utile ad incrementare lo stato patrimoniale di un’impresa e che possa andare a generare anche un interesse ulteriore a fare quel tipo di investimento che non diventa soltanto un costo di assorbire all’interno del margine operativo dell’attività svolta. Non vi devo raccontare nulla di nuovo, usciamo fuori con dei bilanci fortemente appesantiti, oggi l’incidenza degli oneri finanziari su MOL rispetto al 2007 è 24 volte maggiore. Abbiamo avuto una necessità di indebitamento sulle imprese, per poter superare questa fase, tale che abbiamo un costo che è quello dovuto all’acquisto di denaro che meno male che c’è stato. Dobbiamo essere in grado oggi di poter prevedere anche un’evoluzione normativa che possa essere assorbente non soltanto per quelli obbligati nella prima fase ma, soprattutto, per quelli che poi devono contribuire a raggiungere, da qua al 2050, l’azzeramento delle emissioni di gas serra. In qualche modo noi dobbiamo vivere all’interno di quella cronico anche una parte di bilancio sociale che diventa bilancio sostenibile sotto la declinazione ambientale, sotto quella energetica, sotto tutte le sfaccettature che possano servire non soltanto a vivere degli obblighi, come adempimenti, ma che possano farli diventare anche delle opportunità di crescita di confronto sul mercato ormai sempre più globalizzato. Concludo con questa riflessione: dobbiamo essere sicuramente coesi, mi sembra che anche il dibattito che è venuto fuori oggi abbia dato spunto affinché ognuno nel suo ruolo possa portare un contributo sui tavoli istituzionali. Ha fatto bene il Magistrato poc’anzi a citare il ruolo di partecipazione attiva che abbiamo anche come associazioni datoriali all’interno del G20. Ricordo nel 2012 ero Presidente dei giovani industriali del Mezzogiorno, organizzando il convegno di Capri facemmo proprio questo con i giovani industriali. C’è un confronto che fu fatto con gli altri colleghi degli Stati membri che ovviamente portava addirittura lì forse ad una visione un po’ troppo esagerata di dire “ma perché non proviamo a costituire gli Stati Uniti d’Europa?” se proprio dobbiamo uniformare le legislazioni, eravamo giovani. Oggi in maniera un po’ più concreta ci accorgiamo che è un processo che siamo obbligati a dover costruire, poi non so quando si andrà a realizzare. Però sicuramente dobbiamo essere in grado di poter comprendere che ci sono delle regole del gioco che vanno uniformate affinché non ci sia una concorrenza scorretta all’interno degli stessi paesi che compongono la nostra comunità europea ma, al tempo stesso, dobbiamo utilizzare la corretta declinazione affinché tutti possano raggiungerlo in un modo di non subirla, ma di condividerla e costruirla insieme. L’auspicio è che ci possano essere più momenti di approfondimento e un grazie agli organizzatori con cui abbiamo anche avuto modo di confrontarci poc’anzi nella pausa, soprattutto su quelli che devono essere ulteriori momenti di approfondimento. Lo dicevo qualche giorno fa col mio amico Aldo Ferrara, Presidente di Confindustria Calabria, al quale ho rappresentato che forse dobbiamo essere ancora più incisivi, non tanto nel fare un confronto soltanto tra noi, ma soprattutto per poter portare questo confronto in quei tavoli istituzionali in cui c’è necessità di avere un approccio molto pragmatico ad una realtà che potrebbe essere ben definita in termini dottrinali ma poi deve avere una declinazione applicativa. Mi fermo qui. Grazie.

Delogu: Prima richiamavo Adam Smith, che ha fondato, ha creato questa meravigliosa definizione, metafora della mano invisibile ….. dobbiamo sperare che tutti remiamo dalla medesima parte e che quindi la sostenibilità deve diventare qualcosa che non appartiene solamente ad una tassonomia, ma anche a qualcosa di naturale. Adam Smith ha creato questa meravigliosa metafora del fornaio: quando andiamo dal fornaio non dobbiamo contare sulla sua generosità per acquistare un buon pane a un prezzo equo; ecco, così dobbiamo auspicare che le aziende sostenibili siano tali non perché sono generose, ma semplicemente perché conviene essere sostenibili. Gli conviene perché in questa maniera producono beni e servizi più graditi ai consumatori e quindi che questo sia un’occasione e un’opportunità di mercato. A questo punto cedo la parola per un commento finale dal Professor Gian Maria Fara, Presidente di Eurispes che commenterà questa interessante giornata di oggi. Ringrazio anch’io gli organizzatori, il Professor Zucca, devo dire che è stata un’occasione assai interessante. Sono sicuro che i materiali che sono stati distribuiti saranno disponibili a breve. Prego Professore.

Ricceri: Sono Marco Ricceri, il Segretario generale di Eurispes, porto i saluti del Presidente Professor Gian Maria Fara, che non può intervenire per una indisposizione di salute all’ultimo momento. Ho seguito il dibattito ed è veramente molto interessante e pieno di stimoli per un’azione condivisa da organizzare il prossimo futuro. Ringrazio al Prof. Zucca per aver creato questa importante e molto qualificata occasione e come Eurispes siamo pronti a dare tutta la mano possibile, per quella che è la nostra esperienza, ad affrontare diversi dei grossi problemi che sono stati messi sul tappeto oggi dai relatori, anche nella tavola rotonda. Qualcuno ha usato la parola tsunami: in effetti, noi siamo entrati – lo dice il titolo dell’evento – nel decennio dell’azioni. Allora i rapporti delle Nazioni Unite dicono che bisogna accelerare al massimo i processi verso lo sviluppo sostenibile, perché i rischi di rottura del nostro sistema complessivo sono altissimi e rischiamo veramente di entrare in un tunnel senza fondo. La raccomandazione delle Nazioni Unite è quella del decennio di azione e di accelerazione. L’Unione europea ha fatto proprio questo messaggio, con il Green Deal e sta accelerando al massimo tutta la regolazione, la pianificazione, la programmazione delle iniziative in questo settore, legandola ad un obiettivo ben preciso, ben illustrato nel Green Deal: agendo in questo modo l’Unione europea vuole recuperare la sua capacità competitiva a livello mondiale. Quindi, il discorso dello sviluppo sostenibile è legato, nella declinazione transizione verde, transizione digitale, eccetera, al recupero di competitività del sistema europeo. Questo è un fatto molto significativo e vorrei richiamare un discorso che è venuto fuori: la necessità di creare dei tavoli di collaborazione per chiarire alcuni aspetti essenziali e per coordinare meglio le azioni sia delle imprese, sia degli operatori istituzionali. Siamo, quindi, entrati nel decennio di azione, l’Unione europea ha accettato e ha deciso di vivere con Green Deal legando questo processo di accelerazione ad un discorso di competitività, in questo modo, agendo per la sostenibilità, l’Unione europea vuole recuperare la competitività nella nello scenario internazionale. Sta, inoltre, procedendo con una intensificazione di atti regolativi e di pianificazione che richiedono il massimo della collaborazione e dello scambio tra responsabili istituzionali, tra rappresentanti di categoria, tra imprese che vivono il mercato nella logica della governance inclusiva che è stata definita adesso. Vorrei ricordare che, una volta approvato il Green Deal, nel 2020, nei mesi di febbraio, marzo, aprile quando tutta l’attenzione era rivolta sulla proposta del Next Generation EU, quindi il fondo di solidarietà per affrontare la crisi e pandemica, la Commissione Europea ha approvato una serie di provvedimenti, di direttive sulla nuova politica industriale, comunicazione per le piccole e medie imprese, la nuova strategia digitale, cioè una serie di atti molto intensi e profondi che hanno modificato lo scenario della competitività a livello europeo, come sistema, e all’interno degli Stati. Credo che siamo stati molto disattenti, come sistema italiano, rispetto a questi provvedimenti e, per inciso, mi domando, siccome questi provvedimenti non nascono senza la partecipazione degli esponenti italiani pubblici e privati chi ha partecipato alla loro definizione? Bisogna raccordare i suoni nel suo complesso. Ho in mente la comunicazione sulle piccole e medie imprese in cui si è arrivati, già nel 2000, a parlare di prodotti sostenibili individuando i singoli settori (nel tessile, nel mobile, ecc.) in cui sono elencate le specifiche delle singole produzioni. C’è da recuperare una collaborazione tra gli attori principali dello sviluppo in questa fase di accelerazione, questo è il primo aspetto. Il secondo aspetto riguarda il raccordo con i piani nazionali. Ogni Stato sta presentando alle Nazioni Unite i piani nazionali per lo sviluppo sostenibile che sono sottoposti a revisione internazionale. L’Italia ha un piano che risale al 2017, ma ha annunciato che quest’anno presenterà il proprio piano (così fanno tutti gli altri Stati, europei ed extra europei). Quella riflessione su come viene organizzato il piano nazionale per la sostenibilità credo che debba entrare e accompagnare le riflessioni sulle politiche italiane. Un’ultima considerazione riguarda questa proposta, che è maturata col Professor Zucca, di organizzare un laboratorio dell’Eurispes, in collaborazione con i soggetti esterni, proprio per approfondire bene i temi e alcuni aspetti chiave della sostenibilità. Abbiamo un’esperienza di questi laboratori e vorremmo seguire nell’organizzazione di questa struttura basata sulla partecipazione volontaria che ha l’obiettivo di organizzare al meglio il confronto fra gli attori principali per capire le condizionalità e le opportunità. L’azione di questo laboratorio deve essere di rispondere a quel programma che accompagna l’Agenda 2030, cioè il rapporto fra scienza e politica, in cui si raccomanda il lavoro interdisciplinare, usciamo fuori dai silos, l’economista deve parlare con il sociologo, con il giurista, con l’operatore; applichiamo nel nostro modo di lavorare, proviamo ad applicare, anche a titolo sperimentale, quello che viene definito l’approccio interdisciplinare integrato con l’approccio trans disciplinare. C’è bisogno veramente di entrare e chiarire alcuni aspetti essenziali. La sfida principale è sugli indicatori: mentre quelli economici sono abbastanza chiari e la descrizione che è stata fatta della tassonomia è molto importante, è fondamentale, credo che ci sia molto da chiarire ancora sugli indicatori ambientali (cosa si intende? La riduzione delle emissioni, o la tutela degli ecosistemi?) e degli indicatori sociali (cosa si intende? L’incremento della assistenza, della correttezza delle regole interne legate alla responsabilità sociale, o il contributo che una impresa dà alla realtà sociale esterna in termini di incremento della coesione del sistema della comunità all’interno della quale essa opera?). Queste sono questioni aperte che ancora la tassonomia non ha definito, ma che sono applicate per esempio dai principali attori finanziari e creditizi a livello mondiale. Stiamo facendo un grande approfondimento sui modelli di sostenibilità applicati dalle Banche Multilaterali di Sviluppo, fra cui la BEI e la BERS, che sono gli interlocutori poi delle banche nazionale, e ci accorgiamo che questi modelli vengono aggiornati continuamente arricchiti di significati e sono quelli che poi verranno applicati dalle banche nazionali e presentati agli operatori economici e alle imprese. Costruire un tavolo di confronto con questo approccio trans disciplinare e interdisciplinare sulla sfida degli indicatori da applicare. Credo che sia un contributo molto importante per favorire quello che diceva il Prof. Zucca all’inizio citando l’economia circolare, il nuovo modello, il passaggio da un sistema basato sulla quantità ad un sistema basato sulla qualità. È stato rilevato, giustamente, il valore e i passaggi da dare al valore degli intangibles, il valore delle nuove professioni, insomma, c’è uno uno sforzo collettivo che va organizzato: forse un tavolo che ragiona liberamente su alcuni punti aperti, che sono dirimenti, può dare un contributo molto importante. Citavo prima il ruolo e le indicazioni che vengono in termini sostenibilità dalle Banche Multilaterali di Sviluppo. Se li andiamo a vedere per bene queste Banche hanno fatto una maturazione, quello che era l’idea del sociale della BEI e della BERS o come l’idea dell’ambiente della BEI e della BERS, all’inizio era semplicemente riduzione delle emissioni, l’incremento dell’assistenza diffusa, e così via; oggi, invece, a distanza di due o tre anni, sono diventate delle indicazioni molto complesse. Di questi cambiamenti che poi condizionano la concessione dei crediti, i rapporti finanziari, bisogna veramente assumere coscienza e diffonderla attraverso un’azione collaborativa comune. Siamo nella logica della governance inclusiva. Noi pensiamo che un tavolo, un laboratorio come tavolo di confronto sui punti chiave aiuterà, potrà dare un grosso contributo ad entrare in questa accelerazione del processo che ormai è una strada obbligata destinata a intensificarsi nell’avvio di questo decennio. Grazie a tutti voi, l’Eurispes con la sua esperienza ormai di oltre 30 anni di approfondimento di queste tematiche si mette a disposizione, sperando di essere di aiuto a tutti.

Zucca: Come tu ben sai sono il primo a sostenere il fatto che sia necessario portare il dibattito in una fase più sistemica, quindi cercare di fare emergere quella che è, effettivamente, la portata di un cambiamento, di una transizione ecologica, quindi non banalmente di una transizione solamente energetica. Con l’occasione del laboratorio speriamo di riuscire ad attrarre un numero sufficiente di persone di esperti di vari settori con cui si possa mettere appunto una visione da condividere e pubblicare nei prossimi mesi. Ringrazio tutti quelli che hanno avuto la costanza di stare tutta la mattina collegati e tutte le persone che sono venute a trovarci in sala. Direi che come primo evento abbiamo deciso di fare un evento forse un po’ lungo, ma comprensiva di tutte quelle che sono le novità che sono in arrivo, quella che è, appunto, la nostra visione della sostenibilità. Ringrazio tutti e spero di vedervi la prossima volta.

 

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