Atti del webinar “Innovazione e tradizione: politica, ricerca e sostenibilità. Valutazione dell’impatto generazionale” | Laboratorio capitale umano e futuro dell’Eurispes
Si è svolto lo scorso 25 novembre, l’11° Incontro promosso dal Laboratorio Eurispes sul Capitale Umano e Futuro dal titolo “Innovazione e tradizione: politica, ricerca e sostenibilità. Valutazione dell’impatto generazionale”.
Hanno partecipato al webinar Andrea Lenzi, Presidente del CNR ed Enrico Giovannini, Co-fondatore e Direttore scientifico dell’ASvIS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile
Ha moderato l’incontro Benedetta Cosmi, Coordinatrice del Laboratorio Eurispes sul Capitale umano
Di seguito sono disponibili la videoregistrazione e gli atti dell’Incontro.
Benedetta Cosmi: … Capitale Umano, e oggi a maggior ragione mi sembra di fare il quadro intorno a quello che ha rappresentato con gli undici appuntamenti, con le varie personalità che lo hanno arricchito il nostro scopo, quello di porci il problema di come le cose che facciamo ma anche quelle che non facciamo hanno un impatto sul presente ma, soprattutto, sul futuro e sulle generazioni future; su chi voce non ne ha oggi, e quindi direi sui bambini e sul bene comune che non vanno al voto (visto che siamo all’indomani di alcune elezioni). Chi non va al voto va rappresentato? Probabilmente sì, a maggior ragione perché questo significa fare politica e anche fare ricerca, cioè porsi il problema o anche la prospettiva di dove orientare, dove indirizzare le scelte, la capacità decisionale. Lo facciamo con due persone che sia nel mondo accademico sia di quello delle Istituzioni si spendono con qualità e quindi ringrazio entrambi, Andrea Lenzi, nuovo Presidente del CNR, del Consiglio Nazionale delle Ricerche ed Enrico Giovannini, che sulla legge di cui oggi parliamo ha anche dato il suo personale contributo. Quindi grazie e benvenuti. Andrea, auguri per il nuovo incarico che è partito verso fine luglio, per cui siamo proprio ai primissimi mesi, stai prendendo anche tu decisioni, immagino, oltre a quelle che hai ereditato su dove portare la ricerca e quindi il futuro. Che ci dici?
Andrea Lenzi: Intanto grazie per l’invito e saluto l’amico Enrico, amico di tante precedenti occasioni sia di rappresentanza nel mondo delle Istituzioni sia di riflessioni comuni. Questa avventura, possiamo chiamarlo così, che mi è capitata, come tu hai detto, a fine luglio e quindi a questo punto sono un non giovane dal punto di vista anagrafico, ma giovane Presidente, perché sono solo 3 mesi e mezzo, intanto mi ha paracadutato in un Ente di ricerca che io conoscevo da ormai oltre cinquant’anni, cioè da quando ero un giovane studente di medicina e venivo qui al CNR a fare le fotocopie perché era l’unico posto dove si trovava più o meno tutta la bibliografia mondiale che mi interessava e ho anche preso il primissimo finanziamento per la ricerca scientifica attraverso uno dei cosiddetti progetti finalizzati, così come si chiamavano loro. Ho ritrovato un Ente di ricerca straordinariamente sano, quello che la maggior parte delle persone che probabilmente ci ascoltano e comunque della cittadinanza non sa è che il nostro Consiglio Nazionale delle Ricerche lungi dall’essere un elefantiasico Ente poco produttivo, è uno dei sei maggiori Enti di ricerca d’Europa e nell’ambito della cosiddetta competizione internazionale – ma questa è una competizione sana perché la ricerca è competitiva necessariamente perché c’è chi arriva primo e tutti gli altri sono secondo, terzo, quarto, ma comunque arrivano dopo. Noi abbiamo una qualità straordinaria, perché ovviamente normalizzando il numero dei nostri ricercatori che è decisamente inferiore a quelle di altri Enti come quelli inglese, tedeschi, francesi, spagnoli, abbiamo una produzione scientifica che è decisamente superiore non solo come qualità, ma anche come quantità. E direi al contrario, non solo come quantità, ma anche come qualità. cioè noi abbiamo all’interno sette dei cento più citati ricercatori al mondo e abbiamo ben 520 fra i ricercatori più attivi, diciamo, classificati nel 2% migliore dei ricercatori del mondo dall’Università di Stanford. Non solo, abbiamo anche una produzione scientifica che con i cosiddetti indicatori bibliometrici che non amo tantissimo, ma che comunque sono, in un modo o nell’altro, una delle misure della produzione scientifica, siamo fra il primo e il secondo posto, a seconda se il CNRS francese ci supera o meno.
Benedetta Cosmi: Allora dopo ci spieghi meglio, entriamo meglio dentro la materia. Proviamo a capire quindi come il Paese a questo punto se ha questa mole di competenze, di sfide aperte, come se la potrà giocare? Intanto anche a te Enrico grazie di essere qui, di aiutarci a entrare in particolare su questa nuova opportunità legislativa, se vogliamo, che però risponde sicuramente a una domanda forte che parte dalla società civile ed è quella di avere delle leggi e quindi dei politici e quindi anche degli elettori che quando si pongono davanti a una questione lo fanno con prospettiva, che può essere di impatto ambientale, sociale, ma sicuramente generazionale. Da dove è partito, dove stiamo andando, che rischi vedi, cioè nell’attuazione, e se c’è qualche segnale già adesso e quali saranno le prime leggi per le quali l’impatto verrà preso in considerazione?
Enrico Giovannini: Grazie, grazie di questo invito. Un saluto anche ad Andrea e auguri di buon lavoro per la prosecuzione del suo importantissimo incarico. Dobbiamo fare un passo indietro, un passo indietro al concetto di sostenibilità perché, si dice, lo dice la Commissione Brundtland del 1987, è sostenibile quello sviluppo che consente alla generazione attuale di soddisfare i propri bisogni senza pregiudicare il fatto che le generazioni successive possano fare altrettanto. Quindi, contrariamente a quello che molti pensano, la sostenibilità non è una questione puramente ambientale, è una questione di giustizia tra generazioni e il mondo insostenibile in cui siamo è dovuto in gran parte al fatto che le generazioni precedenti, compresa la nostra, non hanno adottato questo principio, ma si sono, in qualche modo, per usare un termine tecnico “pappate”, cioè hanno usato capitale naturale, capitale umano, capitale sociale che in realtà appartenevano alle generazioni successive. Dunque, quando nel 2015 viene approvata dall’ONU l’Agenda 2030 con gli obiettivi di Sustainable Development Goals al 2030 e nasce ASviS, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, fin dall’inizio abbiamo fatto due proposte che hanno proprio a che fare con il ragionamento di oggi. La prima proposta riguardava il cambio della Costituzione. In un articolo sul The Guardian che potete ancora trovare “Say goodbye to capitalism: welcome to the Republic of Wellbeing” insieme a dei colleghi internazionali scrivemmo una lista di sette cose che un nuovo paese nato improvvisamente per realizzare l’Agenda 2030 avrebbe dovuto fare. Il primo punto era scrivere in Costituzione il principio di sostenibilità. Bene, l’Italia ci ha messo un po’ di anni, ma nel 2022 ha attuato questa proposta dell’ASviS, perché ora il principio, uno dei principi fondamentali, l’articolo 9 della Costituzione dice che la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni. Nel mio libro I ministri tecnici non esistono racconto anche il modo con cui questo è accaduto durante il dibattito sulla fiducia al Governo Draghi, un parlamentare chiese al Presidente cosa contava di fare sull’ambiente, io ero seduto proprio davanti a lui nei banchi del Governo, gli passai un foglietto dicendo: «C’è una proposta in Parlamento perché non la sosteniamo?». Lui, fidandosi di me, ci conosciamo da oltre 40 anni, nella sua replica disse: «Il Governo sosterrà questa legge». In un anno, tra febbraio 2021 e febbraio 2022, abbiamo ottenuto con tempi record il cambio della Costituzione, tra l’altro per la prima volta uno dei princìpi fondamentali è stato cambiato, in cui c’è il testo che ho ricordato un attimo fa. Una volta cambiata la Costituzione, incontrai i tecnici del Senato e della Camera dicendo: «Beh, adesso voi cambierete il modo di valutare la costituzionalità delle leggi»; mi dissero di no e io obiettai: «Come no, scusate, ma come funziona?». «Funziona che noi ci basiamo sulle sentenze della Corte Costituzionale»; «Dunque bisogna avere dei casi che vengano rinviati alla Corte, la Corte si esprime e solo a quel punto avete la consapevolezza di come valutare la costituzionalità delle leggi?». «Sì, noi operiamo in questo modo». A questo punto andai dalla Ministra Casellati, Ministra del Governo Meloni per le riforme e le dissi che questa cosa non può essere, che dobbiamo evitare il rischio di varare delle leggi incostituzionali che poi magari anni dopo vengono valutate come tali dalla Corte Costituzionale. Lei condivise questa idea e quindi ha inserito in un progetto di legge governativo sul tema della semplificazione normativa proprio questo articolo 4 della legge 167 approvata qualche settimana fa dalla Camera in via definitiva che introduce il principio di valutazione dell’impatto generazionale delle nuove leggi. In altri termini si dice che tutte le nuove leggi vanno valutate per l’impatto ambientale e sociale, visto che l’articolo 81 già in qualche modo richiede la valutazione dell’impatto sulle giovani generazioni di oggi e sulle future generazioni. Quindi un passo avanti molto importante che pone veramente l’Italia all’avanguardia, realizzando in Italia il patto sul futuro che è stato firmato dalle Nazioni Unite a settembre del 2024 in cui sono elencati 56 impegni di ogni governo, di ogni paese, tra cui l’idea di sviluppare una governance anticipante, cioè un sistema non solo legislativo, ma anche esecutivo, per prendere decisione che guardino al futuro e non all’immediato, come invece spesso accade. L’articolo 4 comma 1 in realtà si spinge anche oltre, perché dice, questo primo comma: «Le leggi della Repubblica promuovono l’equità tra generazioni». Una frase molto forte. La mia impressione, non sono un costituzionalista, è che questo potrebbe aprire un contenzioso costituzionale non banale sulle leggi, sulle pensioni o qualsiasi altra legge, per questo è così importante che il Governo nei prossimi 6 mesi al compito di emanare un DPCM, un Decreto attuativo, fissi bene le procedure, i metodi con cui fare queste valutazioni. Qui ci sono due buone notizie. La prima è che noi in attesa dell’approvazione della legge stiamo lavorando da mesi insieme alla Banca Italia, Save the Children e i migliori esperti italiani su queste tematiche per immaginare come si possa fare questo tipo di valutazione, quali dati siano necessari, quali modelli siano necessari. E il 2 dicembre, in occasione dell’evento che si terrà al l’Auditorium dell’Ara Pacis, in occasione del della Giornata Mondiale dell’Educazione al futuro, torno nel mio secondo intervento su questi aspetti, presenteremo i primi risultati di questa riflessione che poi sarà l’oggetto di un documento più avanti all’inizio dell’anno. A febbraio del 2026 ci attendiamo che venga pubblicata anche la strategia europea sulla giustizia intergenerazionale, perché c’è un commissario della Commissione von der Leyen che ha proprio il compito di occuparsi di giovani, di giustizia intergenerazionale. Quindi in questi mesi abbiamo lavorato a livello europeo con la mobilitazione di tutti coloro i quali si occupano di queste tematiche per capire che cosa l’Europa può raccomandare agli Stati membri. E, per una volta, la tempistica è perfetta, perché se questa strategia uscisse a febbraio, saremmo ancora nei 6 mesi di tempo per fare il Decreto attuativo della legge, quindi potremmo anche beneficiare come Paese di questo tipo di valutazione. Ultima considerazione: è chiaro che per avere dei Ministeri in grado di fare questa valutazione d’impatto bisogna formare le persone, ed è per questo che da un po’ di tempo la Scuola Nazionale di Amministrazione, dall’anno scorso in realtà, quest’anno lo ripeteremo, ha avviato i corsi proprio per la valutazione dell’impatto intergenerazionale delle leggi. Altra buona notizia: vari Comuni stanno andando in questa direzione, Parma, Bologna, Piacenza, tutte concentrate, diciamo, in una particolare area del territorio, ma è importante che l’ANCI, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, abbia avviato una opera di formazione in giro per l’Italia fatta insieme alla LUISS, perché lì c’è un centro di ricerca su queste tematiche, proprio per favorire anche a livello locale l’adozione di questo approccio. Insomma, siamo all’inizio di una vera e propria rivoluzione. Altri paesi hanno il cosiddetto youth check per controllare che l’impatto delle leggi sia almeno valutato sulla generazione attuale. Noi siamo andati oltre, ed è qui che la ricerca ha un ruolo fondamentale, perché abbiamo appunto bisogno anche di dati, di modelli in grado di valutare l’impatto delle leggi. Ma su questo torniamo successivamente e lascio la parola anche ad Andrea. Grazie.
Benedetta Cosmi: Grazie a te. Spero che chi ci segue in questo momento stia capendo che se noi fossimo adesso un giornale dovremmo titolare a quattro colonne della grossa chance che ci stiamo creando, cioè sarebbe una notizia veramente importante da dare. Poi a volte le profezie si autoavverano, quindi darla aiuterebbe probabilmente anche a farla avverare. Tenerla così tra le tante informazioni rischia di farla diventare come una delle possibilità non colte. Noi invece vogliamo dedicare appunto nei primissimi giorni perché sono i primi periodi in cui questa legge prende piede è stata appena votata, ce lo ricordavi tu, ed è qui che appunto dicevi la formazione per chi deve ragionarci, la ricerca che deve indirizzarci su questo tipo di valutazioni. Ora, ovviamente, prima di passare ad Andrea che ci porta su temi tecnici della ricerca e volevo fare una, chiamiamola così, una boutade, ovvero se questo fosse vero fino in fondo, ad oggi verrebbe immediatamente bloccata la soluzione italiana per la quale ogni due pensionati che vanno forse se ne assume uno, allora diventerebbe per l’impatto generazionale l’opposto; non posso mandare in pensione fino a quando tu azienda non me ne assumi due, no? Questo sarebbe forse il primo impatto generazionale sull’occupazione.
Enrico Giovannini: Se posso permettermi, la Costituzione dice anche nell’interesse delle future generazioni ed è una valutazione di bilanciamento, perché non è che da adesso in poi le attuali generazioni perdono tutti i diritti, non è questo il punto. Quel comma 1 in realtà fa un passo avanti e parla di equità tra generazioni come obbligo in qualche modo delle leggi e questo apre un terreno molto delicato. Proprio per l’esempio che tu facevi, capire come questo si realizza non sarà banale.
Benedetta Cosmi: Grazie. Allora Andrea, tu invece come la vedi questa nuova dinamica? Quasi un paletto, ma un paletto etico, morale, di visione e forse anche un paletto di giustizia sociale, come si si diceva.
Andrea Lenzi: Grazie. Guarda, fammi dire, a parte che sentire Enrico Giovannini è sempre un piacere, invece di leggerti un libro, senti lui per 10 minuti, hai risolto il tuo problema. Forse è meglio anche leggersi il libro, però detto questo è veramente unico nel suo genere di spiegazione e di semplificare le cose complicate e le cose difficili perché la giurisprudenza, la costruzione della legge e la loro interpretazione è sempre una delle discipline più difficili, tant’è che abbiamo bisogno di tanti organismi fino ad arrivare al Corte Costituzionale, come lui ci ha appena detto. Detto questo, intanto fammi dire che più che un paletto io quello che ha raccontato Enrico lo vedo come una spinta, un abbrivio che viene dato a tante Istituzioni e a tanti luoghi di riflessione. Questa grande opportunità che ci ha dato questa spinta proveniente da persone come Enrico che riflettono sulla cosa da tanto tempo, ma poi dall’Europa, poi dalla Carta Costituzionale che in uno dei suoi primi articoli ha fatto questa modifica fondamentale, da una norma scritta e da un Decreto attuativo di che è stato in parte lanciato, in parte verrà proposto e poi dalla contemporanea idea che l’Europa riprenda l’argomento e ci dia una raccomandazione un suo statement mette in campo tante forze che devono agire in maniera equa, Enrico lo ha detto molto bene, in equilibrio fra le generazioni attuale e futura in modo che portino a risultati. Tra queste forze in campo ce ne sono due di cui io sono profondamente innamorato, cioè l’università e la ricerca, cioè l’istruzione in generale e quella superiore e di terzo livello in particolare e la ricerca scientifica. Perché dico questi due asset sono fondamentali? Perché tutta questa roba qui la devi anche, non solamente applicare come norma, ma la devi anche insegnare alle generazioni che verranno, perché deve essere da un lato fonte di riflessione per ognuno di noi quando ancora è piccolo e diventa grande, quando ancora è maturo e diventa e diventa una delle future classi dirigenti, perché sennò non avremo mai persone capaci. Adesso parlo da medico per un istante, visto che sono tale. Tra l’altro, una piccola parentesi, sono il primo medico clinico alla presidenza del Consiglio Nazionale Ricerche, nella mia battuta, quando il Ministro Bernini mi ha nominato, ho detto «Forse c’è bisogno di qualcuno che lo sappia curare», ma poi ne parliamo dopo se vogliamo anche di questo. Io vedo la cosa anche da medico come un qualche cosa di estremamente necessario, perché facendo l’esempio della medicina, fino a qualche generazione fa non sapevamo tante cose ora che tutti i medici, quindi anche la cittadinanza in qualche maniera addestrata dal proprio medico, impara alcune cose, riesce ad applicare alcuni sistemi di igiene, di protezione molto meglio. Lo stesso dicasi per quanto riguarda quello che ci indica, non impone, attenzione, ma indica questa norma, cioè il dover pensare sempre: «Sì, va bene, questo è il mio vantaggio immediato, ma che succede poi?»; questo poi è vero che impatta sulle future generazioni, ma impatta anche sulla nostra. Io sono abbastanza grande per anagrafe da poter dire che molte cose che io ho fatto quando ero giovane, molte cose che si facevano quando eravamo giovani, io ed Enrico, perdonami se ti accomuno in questo, non sono certamente adeguate non tanto all’impatto sulla prossima generazione, quanto all’impatto sulla nostra generazione. Guardate che la maggior parte delle cose sbagliate che si sono fatte negli anni Cinquanta del Secolo scorso le stiamo pagando noi stessi, anzi direi quasi tutti. Pensiamo alle nostre città, di cui voi sapete io sono un cultore della materia dell’health city e della salute nelle città, beh posso dire che sono diventate da un posto dove si andava per stare meglio a un posto dove si vive certamente peggio e sarà sempre peggio vista la numerosità e le dimensioni delle nostre città. Quindi ricerca scientifica. Perché la ricerca scientifica è fondamentale? Perché, come diceva Enrico, è una delle maniere per approcciare e impattare su innovazione, quindi innovazione sostenibile; su approccio al clima, quindi approccio al clima in maniera sostenibile; su mobilità, quindi mobilità sostenibile; su modalità di trasmissione dei beni inalienabili (penso all’acqua, tanto per dire uno dei beni che noi sprechiamo, sprechiamo perché i nostri acquidotti perdono acqua, perché la adoperiamo male, perché non la portiamo nei posti giusti). E qui, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, permettetemi un attimo, non il momento della pubblicità, ma il momento della proposta dell’Ente che ricordo a tutti quanti è il garante nazionale della ricerca, questo è il uno degli statement dei soci fondatori diciamo, il Consiglio Nazionale delle Ricerche mette in campo tutto questo sia per la nostra nazione, sia per il nostro Continente, un nostro, come io ritengo, luogo di reale residenza, perché io mi considero un cittadino europeo residente in Italia, insomma, o domiciliato in Italia, se vogliamo, ma anche per il resto del mondo. Pensiamo a tutto quello che il CNR sta facendo per tutti quanti per il piano Mattei, cioè quella nostra esposizione che abbiamo fatto per dire non aiutiamo l’Africa in maniera assistenziale, ma diamo un rapporto reciproco di interscambio col Continente Africano, perché dobbiamo aiutarli a raggiungere certi scopi, ma anche ricevere e scambiare le nostre tecnologie con le loro capacità e con le loro capacità anche ideative, perché tutto sommato una popolazione giovane è sempre utilissima a proposito di giovani e questo è quello che il Consiglio Nazionale Ricerche fa giornalmente, cioè giornalmente noi dedichiamo tutta la nostra attività, ognuno dei nostri sette Dipartimenti, anche quello meno dedicato all’ambiente invece in realtà si occupa di sostenibilità, si occupa di generazioni successive e si occupa di addestramento, ancora una volta, ritornando a quello che dicevo prima nell’università, di giovani ricercatori che siano in grado poi di gestire un futuro sostenibile. La sostenibilità, fatemela dire così, è insita nella ricerca scientifica del terzo…, cioè è inalienabile questo principio, questo principio, che adesso è diventato un principio giuridico, era un principio che i ricercatori attivi hanno già nel loro core business. Quindi, a mio avviso, viene bene un’alleanza e cito la parola alleanza perché a Enrico piace molto questo termine, un patto, se vogliamo, fra coloro che come Enrico Giovannini e coloro che lavorano con lui su questo tema e quindi producono una serie di plafond anche normativi che consentono di arrivare a una sostenibilità per la nostra generazione, ha detto molto bene prima, per la generazione attuale, per quella futura, quindi lo ribadisco anche io, noi stessi abbiamo vissuto una generazione in cui abbiamo cominciato molto bene, ma stiamo finendo piuttosto male, e quella futura. Questo sistema, il patto, può essere fra loro e coloro che sono applicativi, perché i ricercatori e i docenti universitari che insegnano alle nuove generazioni sono il necessario tramite per arrivare al risultato, perché poi non è che una cosa scritta in una legge, come noi sappiamo, deve avere il consenso di coloro che poi subiranno, riceveranno i vantaggi, ma anche le applicabilità, le modalità di applicazione di quelle norme, quindi nessuno si dovrà spaventare o stupire e la ricerca e l’alta formazione sicuramente sono due strumenti per raggiungere questo scopo con maggiore facilità. Cioè il legislatore sa benissimo, il legislatore intelligente ovviamente, sa benissimo che per applicare c’è bisogno che il cittadino sappia. Io parlo regolarmente con tutti i politici, dico bisogna che utilizziate la parola ricerca voi, che vuol dire che il cittadino ama di nuovo la ricerca, non considera la ricerca un whistler time, ma come un asset fondamentale. Senza ricerca e senza innovazione non si va da nessuna parte. Quando tutti i cittadini chiedono sicurezza, sostenibilità e salute, che sono le tre cose con la “s”, chiedono di fare qualcosa; lo sappiamo anche attraverso l’ANCI, perché abbiamo un rapporto ottimo con l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, e tutti i Sindaci ci dicono che vogliono tutti sostenibilità, sicurezza e salute. Con cosa si ottiene tutto ciò? Con la ricerca. Nessuna di queste tre cose si ottiene senza ricerca. Quindi e questa è la mia riflessione da ricercatore di vecchia data, ma soprattutto da attuale Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Benedetta Cosmi: La parola fiducia mi viene in mente quando si parla di questi temi, ovvero fiducia nella ricerca che molto spesso nel Paese non si è manifestata questa fiducia verso la ricerca, c’è il sospetto, c’è l’idea che qualcuno ci faccia affari, che poi tra l’altro gli affari li fanno anche senza ricerca e anzi di solito i danni del malcostume in questo sono ben evidenti, quindi dubito che passerebbe dalla ricerca il nostro male. Però c’è una paura magari dettata, immaginate, non so, alla scoperta, anche semi-italiana della bomba atomica, cose di questo genere, il nucleare, possono aver portato in ere passate a questo fraintendimento, a questo spavento, a questa paura, a questo no rigido verso tutto ciò che è ricerca, tra l’altro dimostrando ignoranza, perché se non sai distinguere poi rischi di bloccare cose, di non essere un facilitatore per le soluzioni, ma soltanto qualcuno che non fa parte di chi è entrato a conoscenza delle opportunità e poi le ricevi lo stesso perché è un sistema dove se non lo inventi in Italia il futuro Chatgpt te lo inventano in altri continenti, quindi non è che si può fermare la ricerca, l’innovazione. Certo, si può essere etici, si può essere morali, si può avere la visione dell’impatto generazionale, probabilmente è anche quello, cioè capire una scoperta oggi, che danni può avere. Immaginate tutta la questione su come si faranno i bambini, su come si morirà, su come si potrà vivere in eterno; sono tutte dinamiche che, comunque sia, nel bene e nel male cambierebbero l’orizzonte. Quindi sicuramente la parola fiducia è quella che mi viene in mente, avere fiducia nei ricercatori e nella ricerca. Ricordiamoci del Covid quando sulla fiducia, sull’assenza di fiducia, sulla sfiducia, ovviamente anche nei confronti della politica, si parlava quotidianamente. Quindi bisognerà avere fiducia anche nella politica, perché come fai ad aspettarti che questi abbiano visione sull’impatto generazionale se tu non ti fidi che poi non ti cambieranno la legge dopo e quindi il beneficio a cui tu rinunci pensando che andrà sulle generazioni future, sui tuoi figli, sui tuoi nipoti, su chi verrà dopo, poi alla fine in realtà, la questione dell’uovo oggi o la gallina domani, questi preferiscono prendersi il prendibile anche l’elettore, anche il cittadino, no? Quindi fa domande corte, perché preferisce avere quello che può avere adesso perché poi la ridistribuzione avviene all’interno delle famiglie che sappiamo essere il vero welfare. Che ne pensate?
Enrico Giovannini: Ma è molto vero e lo vedrete il 2 dicembre quando pubblicheremo una ricerca che stiamo facendo con l’Istituto Piepoli proprio sugli italiani e il futuro nell’ambito del progetto “Ecosistema futuro” e invito chi ci ascolta a guardare il progetto sul sito ecosistemafuturo.it in cui proprio vogliamo provare a inserire il futuro, mettere il futuro, meglio i futuri, al centro del dibattito culturale, politico, provando a spazzar via i pandori, gli occhiali con le telecamere, insomma, sapete queste cose che occupano il dibattito pubblico italiano, mentre il resto del mondo corre. “Ecosistema futuro” è una partnership, se volete l’Agenda 2030 sta ad ASviS come il patto sul futuro sta ad “Ecosistema futuro”, quindi segue lo stesso approccio partecipativo di collaborazione per fare fondamentalmente quattro cose: la prima è la divulgazione. Stiamo lavorando con la RAI e non solo perché i programmi, i lavori che riguardano il futuro vengano maggiormente diffusi. Il secondo aspetto riguarda la ricerca ed è per questo che abbiamo firmato e ringrazio Andrea Lenzi per un accordo con il CNR, ma abbiamo già l’Istituto italiano di tecnologia, i Politecnici di Torino, Milano, Bari e poi altri Istituti, perché, come è stato detto prima, i futuri vanno indagati, plurale, perché il futuro va scritto. Ma abbiamo bisogno di utilizzare, come dice esattamente il patto sul futuro, tecniche di strategic foresight e altri strumenti che abbiamo a disposizione per scandagliare i futuri possibili e provare a orientare il nostro lavoro in quella direzione. L’Italia purtroppo non ha un istituto di studi sul futuro come hanno altri paesi. Io avevo provato con il Governo Conte da fuori e con il Governo Draghi da dentro a realizzarlo, ma non c’è stata sensibilità su questi aspetti, quindi creiamo una rete nello stile ASviS di Istituti di ricerca per lavorare in questa direzione. Poi anche educazione, cultura, per cui stiamo definendo con il Ministero dell’Istruzione un progetto per portare i futures literacy, futures plurale, in Italia, come ci suggerisce l’UNESCO e poi con ICOM, l’Associazione dei Musei Italiani, abbiamo creato, in attesa di creare un vero e proprio fisico museo del futuro, come c’è a Dubai, a Rio de Janeiro, a Berlino, una rete di musei, oltre 40 musei italiani hanno aderito, stiamo facendo formazione su queste tematiche e il 2 dicembre, appunto, parleremo anche di questo. Infine il coinvolgimento, perché la fiducia nel futuro è bassa. Altri sondaggi precedenti ci dicono che solo il 20% degli italiani o di chi risponde ai sondaggi ha una visione positiva del futuro, tra i paesi del G20 siamo i più pessimisti del mondo e dunque abbiamo bisogno di cambiare, invertire quest’ordine non per essere stupidi, ma perché si può essere più ottimisti se ci si lavora. Questo è un messaggio particolarmente importante per i giovani che sono quelli che hanno di più questo orientamento. Per questo l’ultimo filone di attività prevede la creazione di piazze sul futuro, grandi mobilitazioni per discutere magari nelle università, nei centri di ricerca, nei musei, cioè luoghi di accoglienza, di dibattito, questo tipo di iniziative e poi visto che abbiamo il parlamento più anziano della storia repubblicana, perché con il taglio dei seggi secondo voi chi è rimasto nel Parlamento? I più anziani o i più giovani? Bene, la risposta è evidente, i più anziani e quindi abbiamo un Parlamento molto vecchio. La nostra proposta è di creare una nuova istituzione, l’Assemblea Nazionale sul futuro, con un po’ lo stile dell’Assemblea Nazionale sul clima francese, in cui però avere una sovra presenza di giovani per dare loro la parola, per dare loro la spinta, per immaginare come potrebbe essere il futuro e magari raccomandare alla politica, ma anche alle imprese, alle Istituzioni come operare. Ecco, come vedete un progetto ad ampio spettro, chi ne vuole sapere di più, come dicevo, può visitare il sito e magari prepararsi a partecipare perché chiederemo l’aiuto di tutti.
Benedetta Cosmi: Questo mi fa pensare anche alle governance nelle aziende perché c’è un’apertura almeno simbolica sulla questione oltre che di genere anche di generazioni all’interno appunto dei CdA perché anche quello crea altrimenti un freno, una visione parziale e anche di prospettiva all’interno delle stesse aziende e quindi diciamo questo è uno dei temi. Ovviamente senza dimenticare le generazioni che nel passato recente non sono state coinvolte, perché rischiamo di fare in quel caso anche lì un’ingiustizia, cioè pensiamo solo ai giovanissimi come se l’idea fosse a questo punto viene soppressa la generazione di mezzo, no? Questo è un problema per un motivo, perché fa … invece, cioè ci sono alcune generazioni che hanno colto cosa era il passato e hanno sentito per primi dove andava il futuro. E questi invece sono entrati tardi nel mondo del lavoro, sono entrati male, con contratti precari e quindi è venuto meno all’ecosistema anche per parlare in termini di capitale umano, quindi anche del mercato del lavoro eccetera, una serie di persone, di punti di vista che avrebbero fatto da ponte.
Enrico Giovannini: Molti musei stanno andando in questa direzione, seguendo l’indicazione dell’UNESCO internazionale, la nuova definizione del museo non come un luogo del passato, ma anzi un luogo proprio di laboratorio anche per il futuro.
Benedetta Cosmi: Finiamo con Andrea Lenzi. Tu come pensi di reagire a queste suggestioni? “Gli italiani del futuro” tra l’altro è una mia rubrica, il futuro come bellezza, ma addirittura al plurale, i futuri, che sicuramente passano attraverso la ricerca, soprattutto quelli che si accettano e quelli che invece poi non si accettano, quelli che arrivano tardi quando sei già passato.
Andrea Lenzi: Tu prima hai citato il termine fiducia, poi abbiamo parlato di futuro, o meglio, come ha detto Enrico, come hai detto anche tu, di futuri. Io vorrei fare intanto una battuta in premessa. Pensare al futuro non è buonismo, non è solo altruismo, ma è anche un po’ egoismo, e questo va spiegato bene a tutti quanti, perché l’hai detto tu molto bene, il sapiens pensa essenzialmente alla sua sopravvivenza e pensa essenzialmente da 100.000 anni o 150.000 o 75.000, adesso ognuno decide qual è l’esatta data del sapiens, la prima o la seconda uscita dal Cono africano verso l’Oriente e poi la passeggiata di 100.000 Km fino al Cono Sud dell’America Latina e in tutto il resto del mondo, ma quel sapiens lì è sopravvissuto anche per un po’ di egoismo, parliamoci chiaro, perché ogni generazione di sapiens doveva camminare e raccogliere, scappare di fronte al leone con le zanne lunghe e inseguire la gazzella quando aveva scoperto il sistema per cacciare. Il pensiero alla generazione successiva è venuto essenzialmente per avere poi, parliamoci chiaro, all’inizio era essenzialmente forza-lavoro e produzione di governance della casa, dell’agricoltura, del castello, della città, eccetera, eccetera, cioè per avere manovalanza, diciamola brutalmente. Questo era purtroppo fino a non più di un centinaio di anni fa, diciamo al massimo 150 per voler essere ottimisti. Oggi con la nostra generazione attuale che ha visto, come il sottoscritto, le Topolino più o meno finire, ma neanche troppo, e ha visto sbarco sulla Luna e vede oggi Internet funzionare e devastarci i neuroni, questo significa che pensare bene al futuro significa essere anche un po’ egoisti, quindi non solamente buonismo e altruismo, ma anche in questo senso. Lo dico proprio da ricercatore come d’altronde voglio continuare ad essere considerato, non solo governatore di un’Istituzione che fa ricerca, ma ricercatore e come d’altra parte Enrico ha più che dimostrato come persona che o persone che assieme riflettono su cos’è che è più utile alla specie umana e a quel sapiens di cui sopra in questo momento storico, in questo momento generazionale. Sicuramente la cosa più utile è evitare di crearci un mondo dove non si può vivere, ma non per buonismo nei confronti delle future generazioni, ma come ha detto mi pare proprio il Commissario all’equità generazionale della Comunità europea che è stato appointed a questo giro, non c’era mai stato prima, mi pare che si chiami Glenn Micallef, bisogna avere una visione ampia del momento per poter pensare ai futuri. Quindi tu hai detto fiducia, tu hai detto che la fiducia è un qualche cosa che è utile per poter giustificare la possibilità di avere un futuro.
Benedetta Cosmi: Ti faccio un esempio. L’altro giorno sono andata a pranzo con il futuro, se così vogliamo dire, ovvero con un ricercatore che cerca di mettere su un’impresa; stanno realizzando già i prototipi, cercando clienti eccetera, eccetera, e loro produrrebbero i contenitori, pensa in particolare a quelli per la frutta, quindi quello nero che porta le fragole e altri tipi di verdure, quindi il contenitore che li tiene, anziché con la plastica con la buccia di patate. Perché le patate e non per esempio il kiwi? Loro mi hanno detto perché pensa a quante patate si consumano, a quanta buccia viene buttata, all’industria che c’è dietro. Quindi avrebbero questo scarto notevole anche per l’impatto ambientale, comunque tolgono dal mercato una scoria, uno scarto abbondante che invece per loro diventa una materia prima preziosa. Che rapporti può avere innanzitutto e che tipo di fiducia può avere un ricercatore che scopre studiandola, questo tipo di proprietà di cui comunque grosso modo si sa, poi lo applica, lo trasforma, uno che rapporti può avere un ricercatore base, un imprenditore base di questo genere, di startup, eccetera, col CNR? Due, che tipo di problema trovi, perché una cosa è inventare, neanche l’idea non siamo all’idea, capiamo che il concept è una cosa lontana, ma nel momento in cui c’è già un prototipo, l’unica cosa che lo rende fattibile o no in realtà è la capacità economica di investire e compresa anche la fiducia di investire. Perché quindi l’unica differenza è se sei in un paese enorme dove girano velocemente soldi e uno scommette su di te, se quella stessa disponibilità noi la mettessimo con la stessa facilità, senza timori, paure, su idee del genere saremmo un Paese più veloce. Ovvio che noi, essendo pochi investendo poco e chi può investire investe altrove eccetera, per persone così che probabilmente non sarà l’unico, saranno tantissimi, diventiamo un po’ lenti e quindi di conseguenza anche quel tipo di innovazione e di sostenibilità la stiamo rallentando, perché se questo ricercatore lo ha fatto e poi verrà qualcuno sul mercato più forte, avrà un prodotto migliore, però se noi facilitassimo la realizzazione di prodotti…
Andrea Lenzi: Benedetta il tema è questo, quello di cui tu parli, dei capitali di rischio, della high risk, high gain, cioè di alto rischio, alto guadagno, per cui alcune persone, alcuni entità, soprattutto in paesi più dinamicamente ricchi e con maggiore quantità di possibilità di investimento economico sono disponibili a mettere una parte del loro capitale su capitali di rischio, perché tutti sanno che la ricerca di base è quella che ti dà, uno su mille ce la fa, come diceva Gianni Morandi per tornare all’antico, ma quello che ce la fa è Steve Jobs e fa Apple voglio dire. È chiaro che la ricerca scientifica è anche quello, è anche una scommessa, è anche una possibilità di guadagno molto alto. Da noi, nella nostra Italia, se parli d’Italia, un po’ meno nella nostra Europa, ma certamente è più difficile trovare molti investitori in questo senso, perché qui però non è solo un problema di fiducia nella ricerca, qui è anche problema di disponibilità di capitali a rischio e tu devi essere uno che ha tanto capitale da poter mettere un tot. in capitale sicuro che rende e un Tot. destinarlo a questa tipologia, passami il termine che non è esattamente giusto, ma può far capire, di gioco, di scommessa, è quasi un tavolo verde a questo punto la ricerca scientifica, perché è chiaro che di queste negli Stati Uniti, tanto per parlare della patria che per noi è sempre high risk, high gain, dice che se tu non hai fatto almeno tre startup e non hai fallito almeno tre volte, io non ti do retta, perché vuol dire che non sei capace neanche di darmi un qualche cosa che sia utilizzabile, quindi è un altro tipo di mentalità. Però anche noi, in Italia e in Europa riusciamo a fare cose di questo genere, forse un po’ più lente, forse però anche un po’ più solide. Torno un attimo a parlare del mio CNR, dico mio in questo momento storico. Stiamo investendo tantissimo, per esempio, dove? In Umbria, in Lombardia, in Puglia? No, in Artide e Antartide e questo non è poco, perché siamo una delle Nazioni di punta in questi due straordinari ecosistemi, parlo dell’Artide e dell’Antartide, dove primo si trovano cose straordinarie e secondo si capiscono molto meglio che da altre parti i cambiamenti climatici e si fa sperimentazione su come influenzarli molto più rapidamente, perché se in un posto dove non c’è nessun altro, prima cosa, e nient’altro e ti posso anche dire che siamo arrivati prima noi ad occuparci delle terre rare che c’erano sotto le Svalbard ancora prima che qualche Presidente americano cominciasse a pensare alla Groenlandia, tanto per capirsi. Poi altra cosa, se guardi, io sono sempre stato molto curioso oltre che della storia di sapiens, della conformazione del nostro mondo. L’Italia l’ho sempre vista come un pontile, come un enorme tir in disteso nell’Adriatico, no? Perché sembra fatta apposta, sembra quasi che chi ha avuto l’idea di mettere l’Italia proprio lì piazzata così, come un enorme braccio proteso verso il Continente africano o anzi verso il Continente africano e il Continente asiatico perché poi è subito lì a sinistra, o a destra a secondo da che punto guardi l’Italia, è incredibile. Bene, noi siamo sullo studio del Mediterraneo e ricordo che il Mediterraneo è una pozzanghera rispetto al resto, cioè è l’1% della parte acquea dell’orbe terraqueo. Eppure, nell’1% passa il 20% di comunicazioni fra sopra e sotto, fra le comunicazioni che passano sopra, fra Suez e Gibilterra, fra il Mar Nero e noi e che passano sotto, cioè tutti i cavi sottomarini di comunicazione fra Europe, Africa e Asia, passano tutti qua sotto. La nostra nave oceanografica, che peraltro sta nel Mediterraneo, quindi è più Mediterraneo-grafica che oceanografica ha i robottini che curano che non ci siano buchi negli oleodotti, buchi nei gasdotti, che non ci siano danni sui cavi di Internet, eccetera. Quindi diciamo che la ricerca scientifica è anche ricerca applicata. Oltre che di ecosistema futuro noi parliamo anche di ecosistema presente, ma ne parliamo pensando ad un ecosistema futuro, perché questi tre ecosistemi di cui vi ho parlato, perché poi abbiamo anche una piramide di studio sull’Himalaya che è il cosiddetto terzo polo, perché tutto sommato dal punto di vista climatico è assimilabile. Noi facciamo moltissima ricerca anche applicata e ricerca di stabilizzazione delle conoscenze attuali oltre che creazione di prototipi e di innovazione, perché poi abbiamo anche ovviamente i ricercatori di punta che fanno brevetti. Abbiamo un unico grande problema, se vogliamo parlarne e che è un po’ anche futuro, perché io sto cercando di modificare fortissimamente questo aspetto deficitario, cioè l’ultimo miglio. La nostra ricerca scientifica dal punto di vista del futuro non è in grado di trasformare e di portare il prototipo a produzione. Poi in generale noi siamo stati primi, in una parte d’Italia di cui adesso non voglio fare reclame, ad avere i vaccini mRNA, però non c’era nessuno in Italia capace di produrli in serie e infialarli, per cui poi una startup li ha presi e se li è portati in un paese europeo un pochino più, diciamo, smart da questo punto di vista, lì hanno prodotto la startup che era diventata talmente una “startupona”, uso questo termine anche se non esiste, e poi le grandi major del farmaco americane se la sono presa e hanno salvato l’umanità. È andata benissimo comunque perché ci siamo salvati le piume, come direbbe Paperino, però l’idea è partita dal solito Galileo Galilei, diciamo per dire il genio dei geni italiano, perché non ci dimentichiamo neanche la ricerca scientifica, la maniera di far ricerca, avendo una certezza del risultato, provando e riprovando, è tutta italiana. A parte che abbiamo sempre la storia che ci difende, ma anche guardando al futuro, sempre per essere fiducioso, non sono affatto pessimista sulla nostra ricerca scientifica, perché lunedì e martedì prossimo, mentre Enrico sarà all’Ara Pacis a raccontare l’ecosistema futuro, io sono a Barcellona a parlare coi sei più grossi Enti di ricerca del mondo e mi hanno invitato loro.
Benedetta Cosmi: Nominaceli pure.
Andrea Lenzi: Sono il CSIC che è il corrispettivo al CNR spagnolo, il CNRS che corrispettivo del CNR francese e poi ci sono forse i più noti perché identificano dei nomi di ex grandi scienziati che sono il Max Planck, il Leibnitz e l’Humboldt che sono prevalentemente concentrati in Germania. Però attenzione, sempre per fare un po’ il cittadino europeo domiciliato in Italia, per fare un po’ il reclamo del nostro domicilio o meglio del mio domicilio, noi se ci mettiamo, come ho già detto all’inizio della nostra chiacchierata, a normalizzare con il numero di ricercatori, diventiamo i primi, in produzione scientifica, in produzione di brevetti, in produzione di tutto quanto. Io non sono mai soddisfatto, quindi da questo parto per migliorare l’efficienza, perché ecosistema futuro significa anche lavorare noi oggi, perché funzioni meglio domani. Quindi miglioramento della produzione, miglioramento della rete scientifica, facilitazione della produzione, facilitazione del lavoro. E, ancora una volta, lo ripeto, Benedetta, tu che sei una grande comunicatrice, mi raccomando, fate entrare nella testa del cittadino medio la parola “ricerca” come uno dei beni inalienabili. Senza ricerca scientifica non lo dico per reclamizzare il prodotto, lo dico perché non saremmo passati dal calesse all’automobile, non avremmo Internet. Ripeto, sostenibilità si fa con la ricerca; sicurezza si fa con la ricerca; salute si fa con la ricerca. Ditemi una cosa che non si fa con la ricerca e io dico caspita, non ci avevo pensato. Io non ne conosco una.
Benedetta Cosmi: Credo che sia il claim in Eurispes la ricerca è il nostro bene comune.
Andrea Lenzi: Sicuramente è il nostro bene comune. Studiando le città come bene comune mi sono imbattuto in almeno 10 cose in cui la ricerca scientifica può fare tanto.
Benedetta Cosmi: Intanto ringrazio sia te che Giovannini per aver dato subito l’ok al mio orario e al mio giorno. Siete stati bravissimi e gentilissimi, carinissimi e tutto, però, ci tenevo tanto che fosse oggi perché ieri appunto c’è stato questo simposio sul bene comune, stasera partecipo qui a Roma al Premio “Italia Giovani” e mentalmente mi sembrava perfetto avere in mezzo sul capitale umano il tema dell’impatto generazionale e della ricerca in mezzo appunto tra bene comune e Italia giovane, cioè mi sembrava proprio un connubio perfetto.
Andrea Lenzi: Bene comune per tutte le generazioni, per la nostra, per la futura e anche, come hai detto tu prima, per la passata, perché non ci dimentichiamo i nonni o coloro che ci hanno garantito questo immane benessere che abbiamo nella nostra generazione e che non si era mai visto.
Benedetta Cosmi: Su questo fronte secondo me è difficile da riuscire a dire perché è più una percezione emotiva, però ci provo. Il fatto che io sentissi il bisogno che fosse una cosa completa, diciamo così, che quindi non partecipi soltanto al bene comune, poi chiudi la sera, hai finito, poi vai a risentire questi giovani trentenni che hanno appunto inventato cose, che hanno ideato, che sono come rappresentanza nel mondo anche delle Istituzioni come Stato hanno fatto la loro parte nella società e poi in mezzo un buco che è il buco fatto appunto di dove si orienta la ricerca, se c’è qualcuno che la spinge, è l’altro problema su cui ora torniamo, o semplicemente se c’è una visione di insieme. Questa mia idea che fare le cose a spot, cioè partecipi a tanti seminari, a tanti festival e poi torni nella tua solitudine, io credo che sia un po’ il problema che percepiamo adesso anche le future generazioni, un po’ tutti in realtà, anche intergenerazionale come quesito, cioè il fatto che manchi poi il senso, fai la tua piccola parte, ma l’indomani arriva in scena una nuova giornata che ha forse persino perso traccia di quella precedente. E invece questo bisogno di senso e quindi di continuità e quindi l’idea che al bene comune mettiamo poi la valutazione dell’impatto generazionale, poi mettiamo chi dei trentenni sta facendo la sua parte generazionale per la società, mi sembra sia in modo personale di aver dato un contributo un po’ più unitario, però anche quello che forse ci serve, cioè abbiamo comunque messo in relazione voi e vi chiedo, in questo caso a te nello specifico, sentite quella solitudine di senso, seppur fate un bellissimo lavoro che vi impegna, vi lascia anche una certa libertà, perché comunque c’è la libertà di indirizzare la ricerca su determinate cose, di avere curiosità, non c’è qualcuno dall’alto in un sistema totalitario che vi impone su cosa fare ricerca. Però a volte non vi sembra che ci sia un po’ troppo abbandono a sé stessi? Cioè, dov’è il confine tra libertà di ricerca, nel senso che hai la voglia di indirizzarla da una parte e il fatto che ti sembra che nessuno sia interessato in fondo a dirti dove vogliamo, anche come politica, indirizzare invece la soluzione. Cioè vorreste avere un obiettivo come Paese (cioè vorremmo essere i primi a fare questa cosa), qualcuno che vi dia una missione ogni tanto non vi sembra che vi alleggerirebbe da questa altrimenti solitudine o libertà?
Andrea Lenzi: Guarda, non so se perché ci conosciamo tanto tempo o se perché esiste veramente la trasmissione del pensiero, però hai detto delle cose che sono nel mio non programma, perché non ho fortunatamente un programma elettorale, però nella mia riflessione. Non so se ti ricordi che all’inizio della nostra chiacchierata ho detto che il CNR è stato il mio primo Ente finanziatore quando c’erano i progetti finalizzati. Ora l’Italia si è trovata ad avere, come altre nazioni europee, i megafinanziamenti, anche un po’ di doping finanziamenti, se vogliamo, di innovazione e ricerca col PNRR. Col PNRR noi abbiamo fatto tutta una serie di cose piuttosto belle – parlo dal punto di vista della ricerca scientifica, lascio stare gli altri tipi di applicazioni – e particolarmente buone. Queste cose hanno prodotto dei centri nazionali straordinari, hanno prodotto dei partenariati estesi straordinari, i centri nazionali, ci sono quello delle terapie mRNA e c’è quello, per esempio, che è proprio innovato qua dentro al CNR che è quello della biodiversità. È un grossissimo centro nazionale che sta studiando la biodiversità. In quel senso ritornano un po’ i vecchi progetti finalizzati. Cioè, a un certo punto Mamma Italia ha detto: «Ma questi fondi enormi che ci sono arrivati per progetti nazionali, resistenza e resilienza li applichiamo su 4, 5, 10 particolari aspetti». Uno di questi particolari aspetti è la biodiversità che poi entra assolutamente fitta perfettamente con la sostenibilità futura. Tutta questa narrazione ve la faccio perché hai ragione tu, la ricerca scientifica deve avere un pezzo di curiosity driven di ricerca di base assolutamente libera perché la penicillina si scopre così. Per caso Fleming ha inquinato la sua cultura batterica e per caso ha scoperto che c’era qualche cosa di strano, il penicillium flavum che produceva questa sostanza stramba che si chiama penicillina che è stato il primo antibiotico. Bene, quello serve, un n per cento va lasciato a questo. Ma il Consiglio Nazionale di Ricerca come garante nazionale della Ricerca intende sponsorizzare anche con la politica l’utilizzo del PNRR, utilizzarlo come dei progetti finalizzati per cui l’Italia dice perché gli altri sono poi mobilità, Intelligenza Artificiale, farmaci mRNA, quindi farmaci d’avanguardia, biodiversità appunto, e impatto generazionale, impatto sull’età. Insomma, a questo punto noi potremmo, e così vengo a rispondere definitivamente alla tua cosa, spaccare la ricerca nazionale e quindi parlo da Ente di ricerca multidisciplinare, quello che più potrà influenzare questo tipo di scelte anche della politica, dicendo un Tot. è ricerca libera – ed è vero, il ricercatore un po’ si sente solo perché dice: «Ma poi chi utilizzerà questa cosa? A chi la do? Cosa serve? Effettivamente è utile questa mia fatica o è solamente un gioco per poi finire con una pubblicazione e finisce lì?» – assieme però ad una ricerca finalizzata al bene del Paese, bene della generazione presente, bene generazione futura. Visto che siamo il Paese con maggiore biodiversità al mondo, un centro nazionale per la biodiversità che si studi la biodiversità per il resto del mondo e per il resto del futuro funziona benissimo, come funziona benissimo quella sulla mobilità, come funziona benissimo quella sull’Intelligenza Artificiale, quella sui farmaci avanzati e quant’altro. Quelli sono asset nazionali di ricerca. Allora, se la Nazione, se il sistema Paese chiede di fare della ricerca, dall’altra parte però mi deve garantire che la ricerca e l’innovazione sono un bene comune. Così ti riprendo e ti rilancio la palla che tu mi hai appena lanciato per la nostra e per le future generazioni.
Benedetta Cosmi: Perfetto, io ti ringrazio e allora non lasciamo soli i ricercatori, lasciamo la ricerca libera e finalizzata.
Andrea Lenzi: Sì, libera e finalizzata. La ricerca libera qualche volta poi diventa una finalizzazione se è buona.
Benedetta Cosmi: Esatto. Ovviamente per far questo serve che ognuno, compreso la politica, sappia appunto dove finalizzare in modo così legato all’interesse generale la propria influenza, la propria capacità, le competenze e il capitale umano.
Andrea Lenzi: Le leggi di cui ha parlato Enrico prima sono un buono scopo per fare una buona legge sulla ricerca che impatti sulle prossime generazioni.
Benedetta Cosmi: Tu aggiornaci, facci sapere il capitale umano del CNR dove sta portando innovazione.
Andrea Lenzi: Abbiamo un sacco di giovani dentro il CNR, veramente tanti…
Cosmi: Sì. Quindi ogni tanto raccontaci ancora. E grazie ancora e a prestissimo. Ricordiamoci questo filo che abbiamo creato con bene comune, ricerca e forse quell’ultimo miglio che hai chiesto tu, che è quello del passare dal prototipo alla produzione. Grazie ancora a chi ci ha seguito.