Atti del webinar “Dialogo sulla misurazione della corruzione”

Atti del webinar

“Dialogo sulla misurazione della corruzione”

promosso dall’Eurispes – 27 gennaio 2022

 

L’incontro dal titolo “Dialogo sulla misurazione della corruzione” si è svolto online il 27 gennaio u.s. I lavori sono stati introdotti dal Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara.  Hanno partecipato alla tavola rotonda: Nikolas Giannakopoulos, Presidente del Comitato Scientifico Global Risk Profile – Grp  Italia srl, Mario Carlo Ferrario, Vice Presidente Transparency International – Italia , Giovanni Tartaglia Polcini, Magistrato, Consigliere giuridico MAECI e componente del Comitato Scientifico dell’Eurispes, Maria Giuseppina Muratore, Primo ricercatore Istat. Le considerazioni conclusive sono affidate al Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), Giuseppe Busia. L’incontro è stato moderato da Paolo Mazzanti, Direttore editoriale dell’agenzia di stampa Askanews.

A seguire gli atti del webinar. Disponibili anche in inglese.

Paolo Mazzanti: Sono stato invitato a moderare questo dialogo sulla misurazione della corruzione organizzato dall’Eurispes, che ringrazio, con illustri ospiti che presenteremo. Prima di dare la parola a Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes per l’introduzione, voglio solo dire che il tema della corruzione ha accompagnato le nostre carriere. Da giornalista, ho seguito le vicende di Tangentopoli (all’epoca facevo il cronista al Comune di Milano) e so benissimo come questo tema abbia condizionato le vicende politiche di questi decenni. Sull’onda di Tangentopoli e dei referendum di Mario Segni sul sistema elettorale abbiamo avuto una sorta di cambio di regime con il passaggio dal proporzionale al maggioritario, che è stato votato unanimemente dai cittadini sull’onda del discredito politico di allora, azzoppato proprio dalla corruzione. Quindi, il tema della corruzione e di come misurarla – rispetto a valutazioni controverse, per esempio sull’Indice della Corruzione di Transparency, che misura una percezione della corruzione, non la corruzione in sé – è un tema molto importante perché incrocia argomenti economici di prima grandezza (ad esempio l’appetibilità di un paese verso gli investimenti esteri). Mi fermo e passo la parola a Gian Maria Fara.

Gian Maria Fara: Buongiorno a tutti, vorrei ringraziarvi per la presenza e la partecipazione a questa riflessione comune su di un tema che ci sta a cuore ormai da diversi anni. “Provocati” dall’amico Tartaglia Polcini negli scorsi anni, l’Eurispes ha deciso di approfondire le valutazioni sull’argomento della corruzione nella consapevolezza che del tema si discutesse anche tanto, ma spesso con una certa superficialità. C’erano poi dati che, in qualche maniera, erano in conflitto tra di loro e che proponevano del nostro Paese un’immagine distorta. L’impegno dell’amico Tartaglia Polcini ha guidato l’Istituto nell’affrontare questo tema e ci ha consentito di ricostruire attorno al tema della corruzione un minimo di verità, di plausibilità. Quindi grazie a Tartaglia Polcini, che è il padre dell’evento di oggi, ma ringrazio anche Mario Carlo Ferrario che è il Vice Presidente Transparency. Con Transparency, in passato, abbiamo anche polemizzato, però garbatamente, perché alla fine l’obiettivo è comune, ossia quello di tutelare l’immagine del nostro Paese, ma allo stesso tempo mettere sotto la lente fenomenologie che possono essere dannose per la vita stessa del nostro sistema e delle Istituzioni. Ringrazio anche Maria Giuseppina Muratore, primo ricercatore ISTAT, per il contributo che potrà dare. Non posso non segnalare la partecipazione del Presidente dell’ANAC, Giuseppe Busia; grazie anche a Paolo Mazzanti, Direttore editoriale dell’agenzia di stampa Askanews, che si è prestato a guidare questa mattina la discussione e il dibattito. Mi limiterò ad alcune riflessioni di carattere generale. La prima considerazione è che l’Italia è indiscutibilmente caratterizzata da un significativo tasso di corruzione; però, nello stesso tempo, dipingere un paese come più corrotto di quanto realmente può essere può avere effetti negativi sull’economia ed incidere sulla fiducia nelle Istituzioni e sui mercati. Per questa ragione, con Giovanni Polcini, nel 2017, abbiamo deciso di verificare la fondatezza di questo giudizio espresso nei nostri confronti da più comuni indicatori di natura percettiva diffusi sul piano globale. All’epoca, risultavamo essere tra i paesi più corrotti in assoluto. Siamo convinti che il rating attribuito all’Italia è stato, nel corso degli anni, spesso ingeneroso e a tratti anche errato, con notevoli conseguenze sul piano macro-economico. Nell’ultima classifica stilata a livello internazionale la nostra posizione sembra essere notevolmente migliorata, abbiamo fatto un balzo in avanti di 10 posizioni: pare, insomma, che le cose stiano, in qualche modo, cambiando anche perché si sta passando, finalmente, da indicatori di carattere soggettivo all’osservazione di indicatori di carattere oggettivo. Questo ci pare un bel passo in avanti, ed è quello che noi auspicammo fin dal primo convegno che dedicammo a questa tematica. Insomma, l’indice percettivo al quale tutti ci siamo affidati nel corso degli anni è quello stilato da Transparency e che è diventato uno strumento di comparazione di ranking, l’unico al mondo al quale tutti nel corso degli anni abbiamo fatto riferimento. Però questo indice più che finalizzato a conoscere la corruzione nelle sue forme più insidiose e moderne, nelle sue interrelazioni con il crimine organizzato ed il riciclaggio, nella sua pericolosità effettiva, soprattutto laddove la corruzione viene sottovalutata, si manifesta soprattutto come funzionale all’attribuzione di rating. Noi riteniamo questo uno dei principali problemi collegati agli indici meramente percettivi, anche per l’uso che si può farne e degli effetti che i questi possono causare. Anche per questi motivi abbiamo concluso, con la nostra Ricerca realizzata nel 2017, che vi sono ampi margini di miglioramento per le tecniche di misurazione della corruzione e che metodiche sempre più ampie, comprensive di elementi oggettivi, ben potrebbero aiutare a comprendere l’evoluzione della corruzione. Noi abbiamo cercato di affinare le tecniche di osservazione e di rilevazione e siamo arrivati a risultati che sono in aperta contraddizione con quelli che nel corso degli anni sono stati proposti dalle agenzie internazionali. Siamo felici del fatto che, finalmente, si è presa in considerazione l’idea di modificare l’approccio al tema e di procedere nell’analisi attraverso indicatori diversi più credibili, più attendibili. Certo, c’è ancora molto da fare e il sistema della corruzione continuerà ad interessare il nostro Paese, così come molti altri paesi, come diceva qualcuno «C’è del marcio in Danimarca». Sono convinto che studiando in maniera seria e con un approccio scientifico e obiettivo il fenomeno potremo arrivare ad una visione complessiva e anche a considerazioni e giudizi più benevoli nei confronti del nostro Paese che spesso viene maltrattato, o non trattato come meriterebbe. Non mi dilungo oltre. Confermo l’idea che l’Istituto continuerà a seguire questo tema con grande interesse e sostenere tutti quei ricercatori che hanno intenzione di impegnarsi in questa direzione. Vi ringrazio, come Presidente dell’Eurispes, per la vostra partecipazione e vi ringrazio soprattutto per le vostre osservazioni, che produrranno sicuramente delle nuove valutazioni su di un tema di grandissima rilevanza che interessa sicuramente noi ma anche molti altri paesi, economie, sistemi istituzionali.

Paolo Mazzanti: Grazie Presidente Fara per le sue considerazioni, c’è sicuramente il tema di integrare elementi e fattori soggettivi con elementi e fattori oggettivi per dare un quadro sempre più attendibile del fenomeno corruttivo. È un tema molto, molto importante. Basarsi esclusivamente sulla percezione rischia di dare un segnale distorto, perché la percezione significa la consapevolezza che un paese ha del proprio tasso di corruzione, e questo può essere dovuto a molti fattori: per esempio, al grado di notorietà delle notizie relative alla corruzione; al fatto che il nostro Paese ha una Magistratura indipendente che non dipende dall’Esecutivo e quindi semmai è portata ad accentuare l’attenzione su determinati fenomeni; dal fatto che c’è una stampa libera che è disposta a dare ampio risalto a queste notizie (citavo prima Tangentopoli, vicenda che ha contribuito a dare del nostro Paese un’immagine probabilmente molto più accentuata sul tema della corruzione rispetto forse alle sue dimensioni reali). Il fatto che la corruzione resterà con noi è indubitabile: vi segnalo che proprio stamattina è stato arrestato un piccolo imprenditore in procinto di consegnare una mazzetta in Piazza in Lucina, peraltro con una scelta alquanto discutibile sul luogo, di fronte al Comando dei Carabinieri. Questo fatto è anche indice di un fenomeno positivo, perché a denunciare questo imprenditore e questo tentativo di corruzione è stato il funzionario oggetto della corruzione. Quindi questo è un indicatore, a suo modo, positivo, perché vuol dire che si sta creando una barriera di impermeabilità rispetto ai fenomeni corruttivi. Entrerei, adesso, nel merito del dibattito, con Nikolas Giannakopoulos, Presidente del Comitato Scientifico Global Risk Profile – Grp Italia, un’organizzazione che lavora proprio sulla misurazione della corruzione.

Nikolas Giannakopoulos: Ringrazio molto il Presidente Fara e l’Eurispes per aver realizzato e reso possibile questo webinar e anche il Consigliere Tartaglia Polcini, il vero motore di questa iniziativa e tutti gli altri illustri colleghi. Comincerei delineando un quadro su quelle che sono le attività della nostra società e soprattutto sull’Indice, che ormai da 4 anni mettiamo online gratuitamente, cercando di fare sempre meglio. Per molti anni abbiamo avuto solo l’Indice di Transparency International per paragonare la corruzione a livello internazionale. Questo è servito molto sia per dare un impulso alle politiche pubbliche anticorruzione sia per gli investimenti internazionali e alle imprese per fare un benchmark sul costo fra investimenti in differenti Paesi. Essendo l’unico a livello internazionale si è sempre usato dappertutto ma, dall’altra parte, è stato anche criticato sulla concettualizzazione della percezione della corruzione. Si può fare meglio, ma bisogna riconoscere al team di Transparency di aver creato attenzione a livello internazionale, e di aver reso noto il problema della corruzione. Noi con Global Risk Profile abbiamo cercato di andare oltre la percezione, integrando diverse variabili che potevano dare direttamente o indirettamente informazioni sul livello di corruzione ma anche sulla capacità delle Istituzioni di contrastare i fenomeni corruttivi. E non analizziamo solo il livello di corruzione, ma anche di quello che chiamiamo il “crimine economico”, il “crimine dei colletti bianchi”, perché le due dimensioni sono molto legate. Da qui abbiamo investito su ricercatori, dati e tutto il necessario per creare un indice che fosse in grado di misurare la corruzione e il crimine economico in maniera globale. Quando si fa un indice a livello internazionale, la difficoltà è quella di trovare dati e variabili esistenti in tutti i paesi presi in considerazione e che sono paragonabili tra di loro. Una volta che le variabili sono state individuate e costruite in maniera tecnicamente e scientificamente valevole, l’indice consente di fare una comparazione fra i diversi paesi. Non è solo un modo per classificare i paesi e di dire chi è più o chi è meno corrotto, ma soprattutto per avere un’idea di dove sono prevalenti queste attività corruttive e di quale sia la capacità delle Istituzioni di contrastare questi fenomeni. Il nostro indice è dunque una fotografia dell’anno precedente su una realtà, un’immagine non troppo sfalsata del livello di corruzione e della capacità istituzionali. Le variabili, gli indicatori, le ponderazioni tra le 43 variabili che utilizziamo nell’indice si dividono tra un Corruption Index e un Index White Collar Crimes (WCC Index). La valutazione si effettua mettendo insieme delle variabili internazionali e delle variabili peculiarmente legate al paese. Nelle variabili del paese prendiamo in considerazione delle informazioni che, come detto, si possono riscontrare in tutti i paesi, dei dati relativi all’esistenza o meno di dati corruttivi, l’effettività della corruzione. Questi dati vengono raccolti e poi ponderati per dare una certa importanza ai diversi elementi, per arrivare alla fine ad un indice globale di corruzione. Noi scegliamo di partire da fonti affidabili, ricorrenti, che sono metodologicamente strutturate e disponibili nella maggior parte del mondo. Il passo seguente è quello di ricostruire queste variabili sulla base di fonti locali, facendo schede-paese o considerando solo alcuni settori economici. Uno dei problemi più importanti, che si vede bene da queste mappe, è che c’è un etnocentrismo occidentale abbastanza forte, che bisogna gestire anche integrando in questo importante sforzo contro la corruzione paesi o culture considerate, dal punto di vista occidentale, come più corrotti. Poi c’è sempre l’incognita della “cifra nera”: si può intuire o ricostruire ma mai conoscere direttamente la cifra relativa ai casi di corruzione (anche se si prendono in considerazione i casi che arrivano alla polizia si tratta sempre di casi che sono sotto inchiesta; dopo si passa alla Magistratura, prima istanza, seconda istanza e, alla fine, le condanne finali). Questa “cifra nera” si deve basare inevitabilmente su indicatori diretti, ma anche su indicatori indiretti che riescono a dirci molte cose. Oggi viviamo nell’era dei Big Data, abbiamo dati dappertutto e non li usiamo per un fenomeno così importante come la corruzione, che è diventato, negli ultimi venti anni un elemento dirimente per la gestione pubblica di tutti i paesi. Come dicevo, una serie di dati che offrono diverse possibilità. È interessante incrociare dimensione spaziale, territoriale, ma anche settoriale (su industrie, su regione, non solo su Stati); e poi c’è la possibilità, come diceva il Prof. Fara, di riequilibrare delle posizioni: c’è un certo vittimismo italiano, quando si dice “siamo il Paese più corrotto del mondo”, “siamo il Paese della mafia”, ma solo in Italia si trovano dati affidabili, ricorrenti sull’Antimafia, sull’Anticorruzione, che non esistono in altri paesi. Posso dire, da svizzero, che la Svizzera non è meno corrotta dell’Italia, è solo che non si vede. Avere più dati non significa necessariamente che il paese in questione sia più corrotto, ma vuol dire che si interessa meglio al problema della corruzione. Se si fa una comparazione tra Paesi Bassi e Italia i primi si collocano in settima posizione nell’anticorruzione mentre l’Italia si colloca alla posizione 41. Se si considera solo il WCC la classifica cambia e i Paesi Bassi si collocano alla 42esima posizione mentre l’Italia alla 34esima. Transparency ha fatto questo sforzo una volta, per dire che c’è un corruttore e c’è un corrotto, ma guardare solo il corrotto non è molto utile, bisogna guardare anche il corruttore, perché la corruzione è uno scambio almeno tra due persone o tra due attori. È molto importante questo tema non solo per le politiche pubbliche, ma anche per le imprese, per la loro attività a livello nazionale e internazionale. C’è un sovraccosto della corruzione che non si conosce ed è importante far emergere proprio questi numeri: quando si dice misurare la corruzione vuol dire anche prendere decisioni che sono efficaci e adeguate alla realtà, perché altrimenti si generano regolamentazioni, legalizzazioni, modi di fare che alla fine non sappiamo se sono realmente utili, efficaci, efficienti. Bisogna trovare il modo di calcolare quelli che sono i margini del costo della corruzione, bisogna trovare la trasparenza sui processi legali, sulle decisioni politiche, sulle informazioni relative alle società, per avere la possibilità di misurare tramite gli indici diretti l’effetto della corruzione sui finanziamenti, sugli stabilimenti ecc. Lo Stato deve essere, poi, un motore per la lotta alla corruzione, che ancora oggi rientra nel paradosso dell’azione collettiva: tutti traggono vantaggi a diminuirla ma perdono singolarmente. Come misurare meglio? Riconoscendo l’importanza della corruzione sul processo decisionale politico. Bisogna creare le condizioni necessarie per far emergere l’impatto della corruzione sulle società private e sulle decisioni pubbliche, in modo da poter calcolare, al più presto, gli investimenti sui dati reali e non più su posizioni morali. Un esempio che possiamo fare è quello degli Stati Uniti: il DoJ ha creato agevolazioni, come il plea bargain, per le imprese che sono sotto inchiesta per corruzione che permettono di diminuire anche del 75% le pene pecuniarie che possono essere emesse dalle Autorità. Per la Svizzera, adesso non esiste più, ma c’era la possibilità fiscale per le imprese di dedurre quelle che chiamavano le prime spese di facilitazione. C’è infine una grande necessità di avere dati per l’anticorruzione, perché questi sono tempi molto difficili per gli Stati e bisognerebbe dare risorse in quei settori cruciali come il Global Warming. AI e Big Data danno la possibilità di conoscere, anticipare e guidare i comportamenti umani.

Paolo Mazzanti: Grazie, Giannakopoulos, per la sua illustrazione, molto ampia e completa che dà un’idea della difficoltà del lavoro che si sta facendo per affrontare questo tema. Lei stesso ha parlato di problemi concettuali, cioè è difficile anche definire che cos’è esattamente il concetto di corruzione da un paese all’altro, da un sistema all’altro, in Occidente, in Oriente, nelle economie emergenti, in Africa. Effettivamente lo spettro entro cui si può affrontare il tema della corruzione è molto vasto. Parlando del nostro Paese si va dal traffico di influenze, che è una cosa abbastanza astratta e difficile da definire, anche se è sulle cronache di tutti i giorni. Vediamo, ad esempio, il caso di Grillo con l’armatore Onorato, ma anche raccomandare un amico è traffico di influenze, fino a cose ben più serie come la criminalità organizzata. Ci sono temi molto delicati, ed è importante incorporare in queste valutazioni non solo gli aspetti percettivi, ma anche i dati reali, come Lei diceva, la capacità di contrasto alla corruzione, l’apparato legale, i sistemi di rilevazione pubblici. È chiaro che paesi che hanno apparati legali che puniscono la corruzione la fanno emergere molto di più rispetto a paesi che questi apparati li hanno di meno. Grazie per questo lavoro che state facendo e che da una parte è complesso, ma dall’altra è molto utile. I Big Data possono effettivamente essere una strada, perché opportunamente estratti e raffinati possono dare una indicazione utile, così come sistemi più attuali come il Whistleblowing, che è stato introdotto nella legislazione italiana e che fa ancora un po’ fatica ad entrare nel costume quotidiano per esempio delle Pubbliche Amministrazioni. C’è sempre uno stigma nei confronti del dipendente che denuncia. Si è parlato molto in Italia, negli ultimi due anni, dell’inserimento dell’agente provocatore, che è in uso in altre legislazioni, per esempio negli Stati Uniti, cioè andare ad inserire gli agenti provocatori che provocano per vedere la risposta. Personalmente sarei anche favorevole, però mi rendo conto che ci sono problemi molto forti. Per proseguire su queste riflessioni diamo la parola a Mario Carlo Ferrario, Vice Presidente Transparency International.

Mario Carlo Ferrario: Ringrazio per l’invito. Vorrei fare due considerazioni di carattere generale. L’indice di CPI che è stato presentato due giorni fa ha mostrato questo trend di evoluzione nel posizionamento dell’Italia, non solo l’anno scorso, ma ormai da una decina di anni, in particolare dal 2012, cioè da quando Transparency ha adottato una riforma metodologica sul calcolo dell’indice molto importante, molto profonda di natura statistica ed elaborativa. Questo per dire che l’Italia sta cominciando a far emergere i suoi punti di forza, che non sono certamente quell’immagine percepita e diffusa basata su bias. Nella mia attività professionale ho subito per vent’ anni questa forma di bias, quindi posso essere un testimone attendibile da questo punto di vista. Sono andato in giro a raccogliere fondi da investire in Italia in capitali di rischio: un investitore, per dare fondi per capitali di rischio, deve potersi fidare di chi li riceve, dell’uso che ne farà, e di come li gestirà nel tempo, non solo sul fatto che poi produrrà nel tempo un risultato. Quindi c’è un elemento di fiducia, di analisi comportamentale molto importante. Alcuni grandi investitori (fondi pensione, assicurazione, banche) americani adottavano misure che consistevano, addirittura, nel filmare le presentazioni che andavamo a fare per far analizzare il nostro comportamento da psicologi. In tanti anni, Transparency ha cercato di mitigare queste forme negative di bias, intanto attraverso la selezione delle fonti. Sul sito è disponibile l’apparato metodologico e si può vedere che si va dai dati del Fondo Monetario, a quelli dell’Economist Intelligence Unit a quelli della Banca per lo Sviluppo Africano. Insomma, tutti dati che sono stati elaborati con un’analisi il più possibile selettiva e oggettiva. Dopodiché si sono adottate delle mitologie di tipo statistico per fare delle medie e delle differenze e del ranking che cercano di diminuire tutto questo, per arrivare alla formazione di quello che è un indice che noi consideriamo composito e sintetico basato sì su dati percettivi, perché le fonti non hanno se non indirettamente dati oggettivi, se non parzialmente. Anche i dati che sono definiti oggettivi, i dati macro-economico-fiscali sono sempre dati che vanno rivisti nel contesto specifico. Questo tipo di analisi non elimina completamente i bias, ma aiuta ad analizzare dati che sono disponibili, scalabili, quindi sono applicabili a tanti paesi in modo coerente e comparabile tra di loro, che sono reperibili con una certa regolarità, perché certamente i dati del Fondo Monetario sono reperibili anno dopo anno e sono comparabili per metodologia e affini e che, per altro verso, non sono quello che io chiamo “inaccettabili per alcuni paesi”, inaccettabili nel senso a volte oggettivo perché troppo piccoli e non sono in grado di elabora certi dati, non hanno i sistemi informativi o statistici per elaborare certi dati, o sono in via di sviluppo e hanno sistemi di tiratura amministrativa che non sono adeguati o, come spesso succede, anche per paesi importanti sono sistemi che hanno un regime di governo di tipo autocratico alcuni dati non sono disponibili o vengono addirittura rielaborati in modo oggettivo al paese. Purtroppo, poi, il contesto in cui questi dati vengono elaborati e raccolti è anche un elemento importante che si tende a sottovalutare. Pensiamo al contesto di crisi: i lavori del G20 in Italia hanno ben evidenziato quanto sia importante l’analisi dei dati in contesti di crisi (non solo pandemica, ma anche sociale). Questo per dire che il lavoro di analisi del dato sulla corruzione è un lavoro estremamente complesso, molto difficile sul piano statistico, e non è che quasi tutti gli indici oggi esistenti, che si basano soprattutto su elementi di tipo oggettivo ma in qualche modo percettivo non vogliono adottare sistemi più oggettivi, semplicemente è difficile ottenere il dato, elaborare il dato e che quindi permetta un approccio scientifico al ranking che si sta elaborando. Transparency International, a livello proprio international, anche quest’anno lo ha indicato spesso: è aperta. Non è che vuole difendere criticamente il proprio Indice, è stata per esempio accusata più volte dalla Cina che si vedeva troppo in basso nell’indice. Transparency sa che esistono problemi importanti e rilevanti in tutto questo e sta, di anno in anno, rielaborando la metodologia, sta andando avanti ed è aperta ai contributi di tutti. Sempre cercando di approfondire un approccio di tipo scientifico, e questo ci tengo a sottolinearlo, perché come sapete, soprattutto nel campo del Terzo Settore, delle associazioni e delle società civili ci sono varie anime all’interno e anche Transparency non è aliena a questo aspetto, ci sono anime più inclini al lavoro scientifico di analisi e di produzione di ricerche e studi. Per quanto riguarda la misurazione della corruzione l’obiettivo di Transparency è andare verso una contemplazione del dato percettivo con il dato più oggettivo. Sempre che riescano ad avere le due caratteristiche di cui si è discusso anche nel G20 e che siano indicatori cosiddetti “reliable”, indicatori effettivamente del fatto corruttivo e non troppo generici per indicare altre forme di criminalità o comportamenti illeciti o, addirittura come si diceva prima, di natura morale che siano anche actionable measure, che siano misurazioni implementabili. Su questi due parametri Transparency sta lavorando e sicuramente continuerà a lavorare per affinare sempre di più il dato. Credo che sia importante fare due considerazioni su quelle che sono delle tendenze che vediamo in atto. Ci sono molti indici che girano oggi nei vari centri di ricerca (ce ne sono, credo, alcune centinaia). Quali sono le tendenze che stanno emergendo e su cui dovremmo riflettere anche in virtù di quello che potremmo fare in un paese come l’Italia? La prima è quella di cui parlavo pochi minuti fa, ossia quella di avere indicatori che siano più solidi, un po’ più oggettivati anche se non oggettivi, che siano complementari ai dati macro. Spesso si usano le percezioni insieme a dei dati macro o top macro: manca qualcosa che li metta insieme e permetta di essere più focalizzato e mettere in luce in maniera specifica il singolo fenomeno corruttivo. La seconda è che la corruzione non riguarda solamente il settore della Pubblica amministrazione, ma riguarda anche il settore delle imprese, la società civile, e potremmo allargare a settori specifici della società. Quindi, c’è un problema di segmentazione importante. Giannakopoulos ha messo insieme i dati sulla corruzione nel pubblico settore con i dati del WCC: è un passo sicuramente importante e rilevante, è una tendenza su cui bisogna andare avanti a lavorare approfondendo il più possibile le misurazioni. Però questa tendenza di complementare i dati macro con i dati percettivi con qualche cosa di intermedio secondo me è un trend su cui dovremmo puntare molto perché è fondamentale per arrivare a delle misurazioni il più possibile non dico oggettive ma dico realistiche del fenomeno. Secondo punto è quello della disaggregazione: occorre essere capaci di avere degli indicatori che permettano di disaggregare i dati sulla corruzione. Cosa vuol dire? Vuol dire per settori specifici come per esempio per gli appalti pubblici il tracciamento del conflitto di interesse tra grandi imprese e settore pubblico o anche nei contratti internazionali delle grandi imprese e via dicendo, le implicazioni sono tante. Una ad esempio oggi sta emergendo nel mondo delle associazioni e della società civile ed è quella della disaggregazione per genere. Spesso è considerato un dato che non viene rilevato ma si ritiene oggi importante inserire la disaggregazione di genere il più possibile in tutti i dati. Qual è il problema di tutto questo? Il problema è che questi dati più solidi richiedono alcune condizioni di preesistenza. La prima è quella di un’infrastruttura di infrastruttura di e-government. Tutti i governi si stanno attrezzando in questo senso, anche quelli dei paesi più piccoli, però certamente c’è ancora un gap molto forte. La digitalizzazione aiuta, è importante ma l’implementazione di sistemi in grado di avere dati macro e disaggregati che siano solidi è un lavoro complesso e non semplice, e molti paesi anche del G20 purtroppo non hanno ancora quelle infrastrutture che sono necessarie per dare delle informazioni di tipo pubblico effettivamente accessibili, trasparenti, affidabili, ricorrenti e aggiornabili di anno in anno. Un’altra considerazione che vorrei fare è sul futuro, sull’evoluzione, molto importante, del settore delle imprese. Le imprese hanno fatto negli ultimi anni dei grossi passi in avanti (parliamo soprattutto delle grandi imprese, ma anche le imprese di medio livello). Coloro che operano in campo internazionale si sono trovati quasi costretti a fare evoluzione. Si è passati da quella che era una cultura che io chiamavo da cosmetica dell’anticorruzione: applicavamo le regole, le formulette, non voglio fare esempi ma tutti pensiamo al 2, 3, 1 o altre formule del genere. Si è passati, e questa è la cosa fondamentale, dal capire che questo non era un costo burocratico in più che bisognava avere perché ce lo imponeva la legge, al capire che, in qualche modo erano strumenti di gestione, strumenti utili. In particolare, proprio gli strumenti di controllo della corruzione sono stati strumenti di controllo e valutazione dei costi di investimento. Quando si fa un investimento estero molto spesso si sottovaluta completamente questo tipo di costi. Oggi le grandi imprese cominciano a capirlo e a ragionare in questi termini, e sono diventati uno strumento di competitività, perché ormai nei grandi appalti e nei grandi contratti internazionali c’è la richiesta specifica che ci siano queste forme in pratica. Per esperienza personale posso dire che anche nel modo dei grandi fondi sovrani, dei grandi fondi pensioni si richiede espressamente l’evidenza che l’impresa possa avere sistemi di controllo della corruzione adeguati. Dall’interazione fra il mondo pubblico e il mondo del legislatore e il mondo delle imprese e della società civile si può cominciare ad affinare la comprensione di quali possono essere gli impatti dei vari strumenti di misurazione, delle tendenze di misurazione, per arrivare infine ad una comprensione e ad una analisi anche numerica e quantitativa del fenomeno corruttivo, che sia più oggettiva e meno percettiva.

Paolo Mazzanti: Grazie Ferrario, mi sembra molto interessante la sua esposizione, non solo perché ha dato conto del fatto che Transparency sta affinando progressivamente i suoi strumenti di analisi, ma anche perché ha indicato le quattro caratteristiche che devono avere i dati sulla corruzione (devono essere significativi, sostenibili, confrontabili e scalabili, per essere buoni). È poi interessante questa valutazione e questo confronto fra settore privato e settore pubblico (nel settore privato si percepisce un aumento di interesse nei confronti del contrasto ai fenomeni di corruzione). Forse da una felice collaborazione fra pubblico e privato possono nascere anche strumenti nuovi: me ne viene in mente uno, quello dell’unione fiduciaria – che come sapete è l’organizzazione nata dalle banche popolari che si occupa di servizi al mondo finanziario – che ha istituito un server dedicato per raccogliere le denunce dei whistleblowers per garantirne la riservatezza, perché uno dei grossi problemi di chi denuncia dall’interno dell’azienda è la garanzia della riservatezza. Avere un server esterno, che non sta dentro l’azienda al quale si possono rivolgere queste denunce, può essere un passo in avanti e potrebbe rappresentare uno strumento utile anche per la Pubblica amministrazione.

Ferrario: Se posso intervenire, come Transparency abbiamo implementato proprio questo aspetto in collaborazione con ANAC: noi filtriamo il whistleblower, gli diamo una protezione, gli garantiamo l’anonimato con sistemi crittografici e portiamo avanti le denunce. Proteggiamo il whistleblower e la sua denuncia la trasferiamo ad ANAC.

Paolo Mazzanti: Passiamo a Tartaglia Polcini, che ci racconta gli ultimi aggiornamenti su questo tema, del quale si è parlato anche durante il G20 che si è tenuto a Roma. A lei la parola.

Giovanni Tartaglia Polcini: Grazie Dottor Mazzanti e grazie all’Eurispes per avere permesso la realizzazione di questo webinar. Ringrazio e saluto tutti i colleghi relatori ed il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, che è la massima autorità in questo settore. Partirei, in questo mio intervento, dalla spinta motivazionale, dal perché, dalla ratio di questo sforzo italiano, originato da una ricerca dell’Eurispes. C’è una singolare cadenza temporale in quello che si verifica nei fori multilaterali, nello sviluppo delle attività di diplomazia giuridica: tutto nasce nei think tank, dove la ricerca è libera, indipendente, può proporre e può sottoporre all’attenzione politica, nazionale e internazionale determinate tematiche. Ciò è avvenuto anche con riferimento alla misurazione della corruzione, perché il primo impatto forte con il tema degli indici percettivi lo ha posto, appunto, l’Eurispes. Perché si misura la corruzione? Qual è la ratio di questo esercizio? Possiamo sperimentare due approcci distinti per rispondere a queste domande. Il primo approccio, tipicamente giuridico, trova la sua massima espressione nelle fonti. La fonte principale di riferimento, in questo settore, è la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, la convenzione di Merida, strumento multilaterale fondamentale, diffusa e dettagliata, che copre il tema della prevenzione della corruzione, della criminalizzazione e repressione, della cooperazione internazionale e del contrasto patrimoniale. Detta Convenzione internazionale ha una previsione specifica dedicata alla misurazione della corruzione e spiega le ragioni per le quali si misura il fenomeno. Un metodo funzionale alternativo a quello del giurista muove dal punto di vista dell’economista: al metodo “giurimetrico” si aggiunge un metodo “econometrico”, che tende invece ad evidenziare aspetti diversi circa l’utilità per la misurazione della corruzione sul piano della ratio. Qual è quindi il valore aggiunto dell’esercizio della misurazione? Abbiamo ascoltato nei primi due interventi, la relazione del rappresentante Global Risk Profile, e quella dell’esponente di Transparency International, termine di riferimento fondamentale a livello internazionale in materia. Pregevoli proprio nell’illustrare una finalità specifica della misurazione, quella del rating. A ben riflettere senza grande sorpresa ci rendiamo conto che questi due approcci possono convergere sulla stessa direttrice, è solo una questione di percorso. La UNCAC, la Convenzione di Merida contro la corruzione, all’art. 61 indica la strada per la comprensione dello scopo della misurazione della corruzione, che è la raccolta, l’interscambio e l’analisi delle informazioni sulla corruzione per comprenderne le dimensioni e i trends nei singoli territori di ciascuno Stato parte, anche in considerazione delle circostanze che fanno da cornice alla commissione dei delitti di corruzione. Lo scopo non è solo epistemologico o di approfondimento scientifico-culturale: soggiunge, infatti, l’art. 61 che tutto questo sforzo serve a raffinare le strategie di prevenzione e di repressione e a far circolare le buone prassi sia nella prevenzione, sia nella repressione della corruzione. Questo esercizio è fortemente utile anche per verificare l’efficienza del lavoro che viene svolto dagli Stati e dalle Istituzioni di prevenzione e serve anche, capitolo non secondario, a sviluppare le iniziative di capacity building, e non è un caso che l’articolo 61 di questa Convenzione è inserito nel capitolo dedicato all’assistenza tecnica internazionale, alla capacity building internazionale, allo scambio di informazioni. L’articolo 61 non fa alcun riferimento a rating o ranking, non mira alla comparazione tra i sistemi giuridici o addirittura tra sistemi economico-sociali o tra interi paesi. La nostra prima conclusione è quindi presto disponibile: essa è ontologicamente ineccepibile ed è documentalmente provata; misurare la corruzione serve a comprendere meglio il fenomeno in tutti i suoi aspetti e ciò tende alla migliore prevenzione del fenomeno criminale e alla migliore repressione di quel fenomeno. Del resto, la stessa Convenzione è dotata di un meccanismo di verifica del rispetto delle disposizioni degli impegni assunti dai paesi che l’hanno firmata e ratificata: si tratta di un meccanismo di revisione reciproca che non conduce all’attribuzione di scores, di punteggi, di rating e non stila graduatorie tra i Paesi. È un meccanismo di reciproca valutazione tra pari al quale sempre di più partecipano con un ruolo crescente il business sector e la società civile e rapporti di peer review sono pubblicati e sono consultabili. Questa è la prima conclusione che poi è un po’ alla base del nostro sforzo. È inutile nascondere che quando abbiamo avviato la ricerca con il Presidente Fara, al quale devo tantissimo proprio per la fiducia che ha avuto in questo dossier, eravamo mossi da una difesa degli interessi nazionali. È noto che l’Italia non veniva premiata dagli indici di misurazione di natura percettiva. Abbiamo cercato di dimostrare attraverso la teorizzazione scientifica – il cosiddetto paradosso di Trocadero – che più si contrasta la corruzione più la si rende percepibile e che, dunque, avere una forte percezione della corruzione non equivale necessariamente ad essere più corrotti in termini comparativi rispetto ad altri sistemi. Questa attività ha iniziato a mettere in discussione il tema e a ridurre una distanza che a volte è sembrata siderale tra la realtà del nostro sistema nazionale e la sua rappresentazione all’estero. Riconoscere che la scaturigine, che la motivazione iniziale nel nostro sforzo era di difesa dell’interesse nazionale è un atto di onestà intellettuale; ma è anche vero che, nel corso di questo sforzo di ricerca, ci siamo resi conto e abbiamo compreso che questo esercizio può essere fondamentale per la rule of law globale. Non è un caso che la ricerca di indicatori di seconda generazione, più completi che inglobino indicatori percettivi, che aggiungano indicatori anche di tipo oggettivo sia divenuto uno dei temi più condivisi a livello globale. La prova è presto data dalla storia: immaginate che eravamo soli all’inizio in questa attività durante la Presidenza del G7, nel 2017, subito dopo quella ricerca l’Italia pose il tema che fuoco dai paesi del G7 e sviluppato per la ricerca di indicatori più completi, di un roster di indicatori, per verificare come combinare quella che poteva sembrare una distanza tra il risultato dell’approccio percettivo rispetto a quella che era una valutazione di tipo oggettivo. Il G7 fu seguito dal gruppo degli Stati contro la corruzione del Consiglio d’Europa, che il 25 giugno del 2019 ha evidenziato l’esistenza di una distanza, di un disallineamento tra la percezione pubblica di bassi livelli di corruzione che si aveva in alcuni paesi e la sottovalutazione della necessità di misure di prevenzione e contrasto che corrispondeva ad un mancato rispetto delle stesse raccomandazioni del GRECO, affermando dunque alla necessità di completare quell’approccio basato esclusivamente sugli indici percettivi. Nella Conferenza degli Stati parte delle Nazioni Unite della Convenzione di Merida – quella dalla quale ha preso inizio questo discorso – nel 2019 l’Italia ha presentato e ottenuto l’approvazione di una Risoluzione sulla misurazione della corruzione (la risoluzione numero 10 nell’VIII Conferenza degli Stati parte che praticamente è una pietra miliare che ha impresso una svolta a livello multilaterale su questo esercizio). Il Gruppo dei Venti, il G20, nel suo anti-corruption working group, il gruppo di lavoro anticorruzione, ha inserito la necessità del completamento del miglioramento degli indici di misurazione della corruzione nel suo piano d’azione del 2019 che ha coperto il triennio 2019-2021. Siamo giunti alla Presidenza italiana nel 2021 nella quale abbiamo adottato un importantissimo documento attraverso un percorso complesso. È doveroso, da parte mia, ricordare che questi sforzi sono corali e quando l’Italia fa sistema effettivamente è competitiva. Non è stata una Istituzione, tutte le Istituzioni italiane che sono inserite in una filiera, che potremmo definire di prevenzione e di repressione della corruzione, hanno contribuito, coordinandosi tra loro, alla migliore riuscita di questo esercizio. È stata costituita addirittura una task force che ha, riunendosi con una cadenza anche a volte pesante in considerazione del periodo pandemico, attivamente preparato la strada. Se si lascia, dunque, questa linea di ricostruzione storica e si torna alla questione della ratio, di cui all’articolo 61 della Convenzione delle Nazioni Unite, rispetto a quanto detto in passato, è doveroso ammettere che il nostro Paese è fatto oggetto di numerosissime richieste di assistenza tecnica in materia di lotta alla corruzione. Riceviamo, non solo dai cosiddetti paesi in via di sviluppo, ma addirittura dai paesi del G7 e del G20, richieste per condividere i nostri modelli normativi, i nostri modelli istituzionali e addirittura per contribuire alla formazione dei magistrati e dei funzionari che sono impegnati nella prevenzione alla corruzione. I nostri modelli normativi sono considerati standard globali, un esempio: la nostra Autorità Nazionale Anticorruzione ha ispirato la più importante riforma della vicina Francia nella costituzione di una Autorità francese anticorruzione che si ispira al modello italiano e non è stata solo una forma di “plagio legislativo” – mi si passi questa espressione – quanto un avvicinamento costante, in un dialogo costante perché l’Autorità francese anticorruzione guarda la nostra Autorità nella dinamica della sua esperienza e aggiusta il suo essere, il suo divenire, sulla base delle nostre esperienze. Possiamo anche fare riferimento all’indipendenza del Pubblico ministero come membro della giurisdizione, come il giudice, caratteristica specifica del nostro sistema cui tende tutta la comunità dei paesi dell’OCSE. Possiamo evocare la legge che disciplina la responsabilità degli Enti derivante da reato, il decreto legislativo 231 del 2001, in ordine al quale ben 11 Paesi, che hanno uno strumento normativo sulla liability of legal person, hanno letteralmente copiato il testo italiano, addirittura nei titoli e nei capitoli, non sono nel contenuto normativo. E non parliamo solo di paesi lontani: la Spagna ha una Ley organica sulla responsabilità degli Enti che è identica alla nostra; ma possiamo richiamare l’Argentina, il Brasile, il Messico, il Perù, il Cile e da ultima la Costa Rica. Come si fa a comparare e a rendere compatibile una visione del Paese come tra i più corrotti al mondo e, nel contempo, raggiunto dalla maggiore quantità e qualità di richieste di assistenza tecnica? C’è un autolesionismo diffuso, a livello globale, nella ricerca di modelli che non funzionano? Forse è il caso di ripensare distanze che a volte sono frutto di approcci che non sono inconciliabili. Sotto questo profilo anche l’andamento di questo webinar fa comprendere che siamo a metà dell’opera e che registriamo un gran passo in avanti nel dialogo. Il titolo del webinar “Dialogo sulla misurazione della corruzione” e il dibattito che ne è scaturito ha dimostrato con l’intervento del Dott. Giannakopoulos, l’importanza di come si vede il tema dal punto di vista del business sector; con l’Avvocato Mario Carlo Ferrario, ha ripercorso interessantissimi approfondimenti e la relazione intercorrente tra investimenti e corruzione, tema che sta entrando nell’agenda globale sempre con maggiore attenzione. Dunque, l’Italia non ha mai voluto mettere la polvere sotto il tappeto, non ha mai voluto nascondere l’esistenza del fenomeno corruttivo come un fenomeno endemico che è presente nel nostro Paese è che, in alcuni casi, è addirittura talmente pervasivo da avere delle conseguenze negative sullo sviluppo socio-economico della nostra collettività nazionale. Ma, nel contempo, l’Italia è anche un termine di riferimento, come ho cercato di illustrare brevemente, a livello globale. Nella Presidenza del G20, l’anno scorso, l’Italia non si è limitata a dire “misuriamo meglio la corruzione”, ma ha detto, coerentemente con l’articolo 61 della convenzione delle Nazioni Unite, “cerchiamo di capire com’è oggi la corruzione, come si manifesta”. È per questo che ha dato alla luce altri documenti, non solo il compendio sulla misurazione della corruzione. Con questi documenti ha dovuto convincere ed ha ottenuto il consenso dei grandi del mondo sulle nuove modalità di manifestazione della corruzione. Si fa riferimento ai princìpi di alto livello sulla corruzione correlata al crimine organizzato, sui quali noi abbiamo richiamato l’attenzione del Pianeta sulla necessità di guardare al crimine organizzato che si infiltra nell’Amministrazione della cosa pubblica attraverso la corruzione. Non abbiamo nascosto il fatto che la corruzione si sia fatta avanti e che anche le organizzazioni criminali hanno mostrato una particolare capacità di approfittare del generale bisogno creato dalla pandemia, ricordando che non è solo la pandemia ad aver mostrato questo volto e questo pericolo, ma sono stati anche altri momenti della nostra storia recente a disegnare queste modalità che però non hanno un marchio esclusivamente italiano. Semmai noi mettiamo al servizio degli altri la nostra esperienza affinata per fronteggiare quelle emergenze e quelle forme di emersione della corruzione. Dunque, la strada è tracciata, il piano d’azione che abbiamo portato alla luce per il 2022-2023-2024 prevede che il G20 continui ad occuparsi di misurazione della corruzione. Speriamo, con il vostro aiuto, di poter segnare altri piccoli passi, non soltanto per la difesa dell’interesse nazionale, ma anche per lo sviluppo di nuovi modelli di misurazioni condivisi a livello globale.

Paolo Mazzanti: Grazie mille Tartaglia Polcini per questa esauriente relazione sugli aspetti più internazionali, ed è interessante sapere che oltre al record dell’export nel 2021 con quasi 600 miliardi di esportazioni dal nostro Paese siamo anche esportatori netti di tecniche anticorruzione. Questo fa molto piacere, perché effettivamente anche questo dovrebbe entrare nella valutazione complessiva dell’indice di corruzione di un paese. Speriamo che queste possibilità di collaborazione internazionale proseguano effettivamente. Con la Dottoressa Maria Giuseppina Muratore dell’Istat facciamo un passo avanti e affrontiamo un altro capitolo. Quanto effettivamente questa percezione della corruzione influenza il business? In realtà le analisi sulle multinazionali che investono nel nostro Paese – è uscito proprio poche settimane fa il rapporto dell’Istat sulle multinazionali relativo ai dati del 2019 – indica che c’è una costante crescita di attenzione nei confronti del nostro Paese da parte delle multinazionali. L’ultimo esempio è la volontà di acquisire TIM da parte del fondo americano KKR. Apparentemente non ci sarebbe una reale influenza da parte della percezione della corruzione sulla volontà del business internazionale di investire nel nostro Paese. Segnalo, ultimi dati dell’Istat, appunto, che nel nostro Paese operano quasi 16mila multinazionali, in costante crescita negli ultimi anni, con quasi 2 milioni di dipendenti diretti, con l’8% del Pil, con il 30% di spese in ricerche e sviluppo, con il 50% dell’export. Quindi, le multinazionali in Italia sono una realtà enorme, bilanciata, ovviamente, dalle aziende straniere a controllo italiano che sono, più o meno, lo stesso numero, anche se fatturano di meno perché sono mediamente più piccole. Si può sempre dire “se non ci fosse la corruzione sarebbero molte di più”, però non c’è la controprova, e infatti negli ultimi 5, 6, 7 anni le multinazionali sono sempre cresciute e vogliono crescere ancora. Sarà, anche in parte, l’”effetto Draghi”, come si dice, però è chiaro che c’è stata anche negli ultimi due anni una ripresa di attenzione da parte delle imprese internazionali nei confronti del nostro Paese. Prego Muratore.

Maria Giuseppina Muratore: Grazie per questo incontro e per questa interessante prospettiva che avete offerto e dando un inquadramento molto approfondito alla dinamica. La relazione che ho preparato è legata all’attività che si è svolta all’interno dei paesi del G20 durante la Presidenza italiana, ma non solo, perché ovviamente come diceva prima il Dottor Polcini questa attività è frutto di un lavoro di anni cui si è arrivati con un percorso interessante e condiviso. L’idea che è partita dal G7 del workshop del 2017 in realtà è stata già il frutto di un gruppo di lavoro che, a livello nazionale, univa moltissimi soggetti di matrice diversa, sicuramente con competenze diverse, però l’obiettivo era quello di andare a capire come si potesse porre attenzione al fenomeno della corruzione dal punto di vista della sua misurazione. Non abbiamo delle prove di situazioni migliorate, ma è già il fatto che l’Italia da anni ha iniziato a porre la problematica sulla misurazione della corruzione o a rendere noto il rischio derivante da una percezione del paese come fra i più corrotti – cosa che comporta, come si è detto, problematiche per gli investimenti – è un fattore già di per sé di primaria importanza. Ma, in realtà, la situazione è molto complessa, perché come avete già detto tra pubblicizzazione delle attività della magistratura, una libera stampa e altri diversi fattori, anche in negativo, come la lunghezza dei processi e tutta una serie di cose che sono messe in modo molto trasparente sul piatto, ebbene, tutto questo probabilmente ha permesso anche di far crescere una sensibilizzazione diversa nelle varie Istituzioni, da un lato, ma anche delle imprese e dei vari soggetti che determinano la competitività del Paese. Mi piaceva partire dal dire “i dati sono essenziali perché”, cioè è solo grazie alla conoscenza del fenomeno che poi si possono fare delle politiche – interventi sia politici che legislativi – e poterle valutare, sempre attraverso i dati. Nell’idea che abbiamo dobbiamo costantemente tenere presenti i diversi aspetti e poter immaginarci un dato che viene monitorato e viene creato per scopi ben precisi. Inoltre, sono dati che in qualche modo verranno usati, quindi il problema è anche come andare a veicolare un dato. Lo produco per un obiettivo, lo vado a monitorare, vedo l’azione se migliora e, necessariamente, devo imparare anche a veicolarlo, perché devo stare attento a fare in modo che vengano capiti dei concetti. Su questo si cresce, crescono le Istituzioni, io parlo come Istat, la capacità di erogare i dati, ma cresce anche la stampa nell’imparare a capire i dati e a saperli leggere. In questo senso se il Sistema-Paese agisce lo fa a tutto tondo, a 360° quantomeno come obiettivo. Sicuramente sono stati molto importanti alcuni punti fondamentali per la corruzione. Gli SDGs sono sicuramente un momento molto importante e Nazioni Unite, da un lato, ma anche l’OCSE, dall’altro sono uno stimolo costante per la misurazione, così come l’approdo al 2019 all’adozione della risoluzione. In particolare, cosa ci chiede la risoluzione? Giovanni Tartaglia Polcini già ha evidenziato molti aspetti, ma vediamo concretamente cosa significa. Vuol dire una richiesta di metodologie oggettive, dati affidabili – proprio per valutare in modo più completo la corruzione – e si inizia, proprio nelle parole della risoluzione, a vedere qualcosa di molto concreto, viene citata l’ampia gamma di fonti statistiche-amministrative di risposta alla giustizia penale. Dati basati sull’esperienza derivati da indagini di popolazione su imprese e famiglie, indicatori di rischio e vulnerabilità. Anche in questo caso è come se si facesse strada l’idea che un sistema per la corruzione, per la misurazione della corruzione, è sicuramente utile per sconfiggerla e permette, in qualche modo, di porre già le basi per collaborazioni internazionali. In qualche modo i paesi devono essere aiutati, e in questo senso ad esempio molto stanno facendo le Nazioni Unite, l’OCSE, una serie di entità di e soggetti internazionali che si stanno impegnando in questa direzione. Come si misura la corruzione nei paesi del G20? Tra i paesi del G20, quando ci si è seduti al tavolo la Presidenza italiana ha avuto una grande fluidità di lavoro, perché nessun paese o quasi nessuno si è opposto all’idea di questo esercizio. Questo che vuol dire? Che sicuramente già i tempi erano pronti per fare un esercizio di questo tipo sulla misurazione e i paesi hanno collaborato, hanno aperto le porte al dire “vi diciamo cosa facciamo” e questo è anche un elemento importante che ci fa riflettere che c’è una grossa attenzione a muoversi su questi aspetti. I quesiti principali vertevano proprio su come si misura la corruzione, quesiti che abbiamo inserito nel primo questionario e che abbiamo proposto ai vari paesi, che loro a loro volta hanno commentato e ampliato, proponendo una serie di ampliamenti e nuovi argomenti. Quindi, come viene misurata la corruzione, quali sono le esperienze nazionali, se esistono delle buone pratiche. Questo era il nostro obiettivo da capire insieme. Quali sono gli stakeholders coinvolti nel processo di misurazione, quindi ministeri, agenzie nazionali, uffici di statistica, ma anche enti di ricerca, associazioni. Quali fonti vengono utilizzate, quali le metodologie scelte. Quello che emergeva era l’idea che fosse necessario un approccio multidimensionale, per cogliere la versatilità della corruzione. Come avete accennato ampiamente c’è un problema di definizione della corruzione e c’è un problema di riflessione nell’andare a capire come meglio raccogliere alcuni elementi. Tra l’altro, ogni paese ha la sua definizione, quindi alcuni reati come ad esempio la concussione, che è parte della corruzione in Italia, in alcuni paesi non viene definita così. Su questo è sicuramente stata di grande aiuto l’esperienza internazionale della classificazione internazionale dei dati, che dà uno sfondo comune. La corruzione, allo stesso tempo, è un fenomeno principalmente sottostimato, quindi in questo caso è importante andare intervistare direttamente imprese, popolazioni, andare a capire quali sono i settori di maggiore esposizione del rischio di corruzione e la metodologia delle indagini, quali sono gli indicatori forniti. In questo senso, le indagini di popolazione sulla corruzione e sulla corruzione nel settore delle imprese sono una delle fonti essenziali. È vero che in alcuni casi si parla più di piccola corruzione e non della grande corruzione, però è chiaro un cammino che viene fatto su questi elementi fondamentali. L’altro aspetto, invece, sono gli studi che lavorano sulla parte emersa della corruzione, quindi le attività di contrasto o il percorso giudiziario del fenomeno. Abbiamo cercato di capire quali sono le rilevazioni su reati, persone arrestate, indagate, persone portate in giudizio, condanne, persone detenute e, in questo caso, a provare anche di capire come viene implementata la International Classification of Crime for Statistical Purposes (ICCS) che è il primo passo verso la comparabilità tra paesi. Inoltre l’altro aspetto molto importante e anche emergente, in questo periodo, è l’identificazione dei rischi di corruzione, quindi dati, studi, metodi, che esplorino la corruzione e tutte le problematiche correlate che possono essere indicatori di quello che può avvenire nel mondo della corruzione (registri pubblici e Big Data sugli appalti, beneficial ownership, sanzioni amministrative, dichiarazioni patrimoniali o di clienti, costi standard e così via). L’obiettivo del tavolo di coordinamento del G20, per quanto riguarda la misurazione, era creare questo compendio dove andare a raccogliere le esperienze dei paesi e cercare di dare da un lato il punto di vista dell’esistente, ma anche trovare delle buone pratiche. Quindi il compendio è fatto proprio per riuscire a cercare, per ogni situazione, la risposta che il paese ci fornisce. Come dicevo prima i paesi sono stati profondamente collaborativi quando abbiamo presentato la proposta dello studio e lo sono stati anche nella risposta, perché ben 18 paesi hanno collaborato. Con le risposte ai questionari è stato creato un database di queste risposte, sono stati analizzati i dati, anche dal punto di vista qualitativo, finché è stato steso un compendio. Tutto ciò è stato fatto con una stretta collaborazione tra ANAC, OCSE, Ministero degli Affari Esteri, Istat, ma ribadisco con la profonda collaborazione e disponibilità dei paesi del G20. Anche nel commentare il compendio, nell’aggiungere buone pratiche nel momento della revisione. Questi sono dei dati che mi piaceva mostrarvi per farvi cogliere – spero di avere tradotto sufficientemente bene i reati della International Classification of Crime for Statistical Purposes – quanto questi vengano adottati. Che vuol dire questo? Ci sono paesi che dicono di rilevare questi reati con indagini di tipo amministrativo, giudiziario, penale (quindi quello che noi chiamiamo le statistiche di Polizia sui procedimenti, sui condannati, sui detenuti). Però, vedete come su alcuni reati, per esempio la malversazione, l’abuso di ufficio, ci sono molte più corrispondenze con l’ICCS, mentre ci sono delle situazioni molto più critiche per quanto riguarda la corruzione attiva e passiva; oppure, la colonnina relativa all’arricchimento illecito mostra chiaramente come questo sia un tipo di reato che ha meno dati disponibili tra i paesi. Questo legame tra la produzione del dato statistico e l’allineamento con la comparabilità internazionale garantita dall’ICCS è qualcosa che abbiamo anche cercato di cogliere rispetto alle varie rilevazioni. Le rilevazioni che vengono meno effettuate sono quelle legate alle persone giuridiche, sia da fonte di Polizia, sia da fonte Procura e non soltanto, quindi, delle persone segnalate arrestate dalla Polizia. Molti, però, non hanno implementato l’ICCS, le rilevazioni magari esistono, ma non sono necessariamente comparabili tra i paesi, e in questi casi è molto utile nel compendio andare a capire chi sono i paesi che hanno svolto questo grande lavoro di allineamento dei loro codici alla Classificazione Internazionale e quali, invece, sono ancora in una fase di cammino. Molti paesi però si stanno piano, piano allineando, quindi anche da questo punto di vista esiste un forte cammino verso la sensibilizzazione statistica, verso l’armonizzazione. La cosa che emerge è che le situazioni sono molto diversificate tra paesi e sono molte le Istituzioni che raccolgono informazioni. Vi faccio un esempio le rilevazioni effettuate su “persone detenute e condannate” sono fatte da diversi autori e non solo dal Ministero di Giustizia o le autorità giudiziarie, ma anche dalle corrispettive autorità Nazionali Contro la Corruzione, dai vari Istituti di statistica, ma anche dal Ministero dell’Interno (Polizia e Forze dell’ordine). Nel 50% dei paesi i dati sono gestiti da più di un Istituto quando si parla di reati denunciati, vuol dire che c’è quella pluralità di informazioni, che non è detto che sia continua, non è detto che raccolga tantissime informazioni, tantissime variabili, però garantisce comunque una presenza di dati che si possono utilizzare tra i paesi e iniziare a ragionare anche sui confronti, con le dovute attenzioni, perché ovviamente non è solo la definizione che rende comparabili dati, bensì come sappiamo anche la metodologia di raccolta che nei vari Istituti è profondamente diversa. L’aspetto su cui si è più indietro di tutti sono le indagini su popolazione e i dati sulle imprese. Anche qui c’è una pluralità di Istituzioni, sono 11 i paesi che fanno questa indagine, ma alcuni paesi ne fanno più di una e con più regolarità, quindi sono la best practice. Ci sono dei paesi che guidano, in questo senso. Sono tantissimi i temi rilevati, considerate che sono 11 i paesi ma, come vedete, sono più di 11 i temi trattati. A parte la percezione, vi è l’esperienza diretta di corruzione, ma anche l’esperienza personale di avere avuto richiesta di tangenti nel settore pubblico, nel settore privato e la percezione della qualità dei servizi pubblici. Che significa settore a rischio? Ho considerato qui un dato del 2016 tratto dell’indagine Istat che ci fa capire meglio. Questo esempio è relativo all’indagine sui cittadini, i quali rispondono anche per quota parte della propria vita professionale non solo personale; possiamo qui vedere direttamente alcuni indicatori proposti e i settori di rischio (in questo senso il settore di rischio è essenziale). È ovvio che per l’Italia era importante il voto di scambio. Ci sono dei quesiti sulle raccomandazioni, ad esempio, se ne è stato fatto uso e se è stato chiesto alla persona di raccomandare qualcuno o la corruzione indiretta, ovvero quando conosci qualcuno a cui è stato chiesto di pagare, di fare regali in cambio di beni o servizi, mentre invece questi dati 7,9%, 2,7%, 1,2%, sono proprio indicatori di persone a cui è stato chiesto direttamente di pagare una tangente. Quindi, anche nell’ambito di un’indagine, sono diversi gli aspetti che si possono andare a sondare (la prossima indagine è nel 2022). Per quanto riguarda, invece, l’aspetto sulla corruzione delle imprese vedete, anche qui, emergono le diverse tipologie di richieste: esperienze personali di tangenti nel settore pubblico, percezione ed esperienza indiretta della corruzione; efficacia dell’integrità aziendale per contrastare casi di tangenti. Sono 9 i paesi (ancora meno) quelli che conducono questi tipi di indagine; alcuni le fanno su tutte le imprese, alcuni, invece, su imprese appartenenti solo alcuni settori potenzialmente a rischio. Per ognuna di queste indagini, veniva chiesta la regolarità, l’informazione sulla diffusione dei risultati, sulle garanzie offerte al rispondente, in modo da avere un piccolo quadro sulle Istituzioni che le conducono e sulle rilevazioni. Quali erano le altre fonti? Abbiamo detto elementi utili per identificare i fattori di rischio. Mi spiego meglio: andare a cercare quei contesti e trovare àmbiti, fonti che possono essere di aiuto per capire quali sono i contesti in cui si può verificare una situazione di corruzione. Ad esempio il 78% dei paesi conduce rilevazioni sugli appalti pubblici, in particolare sono 14 paesi, e su questi cosa viene chiesto la procedura utilizzata per l’appalto o se è stato pubblicato o meno un appalto, il numero dei giorni, il numero di offerenti, il prezzo pagato, le caratteristiche dell’offerente. Su questi ci sono tantissimi studi che si possono fare. Abbiamo l’esperienza dell’utilizzo dei dati ANAC, che vengono analizzati moltissimo sia a livello nazionale sia a livello internazionale. Di recente nell’ambito di un accordo Istat-ANAC è stato ad esempio fatto un aggancio tra le caratteristiche delle imprese che hanno vinto gli appalti  e devo dire che sono usciti dati molto positivi, nel senso che appare come siano le imprese che hanno dei buoni profitti a vincere gli appalti, imprese che sono quindi anche particolarmente solide. Sono dati molto interessanti che possono legare anche le criticità dell’appalto alle tipologie di impresa.

Come vedete, ci sono molti studi nei paesi sui costi standard per beni e servizi, l’analisi dei dati della trasparenza delle Pubbliche amministrazioni o le sanzioni per condotte illecite, pochissimi sono, invece, i paesi che lavorano sul procedimento della Corte dei Conti, la titolarità effettiva delle società, i registri sui conflitti di interessi, e così via. In alcuni paesi non esistono, ma non c’è neanche la definizione di queste tipologie di situazioni. Ci sono paesi in cui, invece, queste stesse attività vengono condotte da più Istituzioni di cui sono responsabili più stakeholders, sono anche continuative nel tempo  o hanno una frequenza annuale che permette una analisi buona del dato.

In conclusione, ovviamente emergono luci ed ombre, però gli aspetti positivi emergenti sono importanti: sicuramente una maggiore sensibilizzazione sull’importanza dei dati statistici; un’attenzione alla comparabilità internazionale – che non è soddisfacente, ma comunque sta indicando un cammino –; un buon approccio interistituzionale alla misurazione della corruzione all’interno dei paesi; emergono tanti studi che analizzano le problematiche connesse alle situazioni della corruzione. Alcuni paesi sondano diverse modalità, non si accontentano di progettare, da esempio, un’indagine, ma ne fanno diverse, cercano di andare a capire qual è l’obiettivo e andare a cercare di misurarlo. In particolare, fra questi, lo devo citare, il Messico fa veramente un grandissimo lavoro su quasi tutti i fronti. L’obiettivo è, quindi, andare a creare dei sistemi complessi di misurazione, che non è un indicatore, ma che è la pluralità delle fonti che mi garantiscono una buona misurazione. Sono, queste, tutte sfide molto persistenti, inclusa la scarsa regolarità delle statistiche, lo scarso sviluppo soprattutto delle indagini basate sull’evidenza (un po’ perché sono costose, un po’ perché ci sono una serie di pregiudizi e di stereotipi su queste fonti) e, di conseguenza, anche la mancanza di un sistema integrato per misurare la corruzione a livello internazionale. Sono pochissimi i paesi che ci stanno lavorando anche a livello nazionale.

Paolo Mazzanti: Grazie mille Muratore, mi è sembrata molto interessante questa analisi che ha fatto un po’ un compendio delle cose che ci siamo detti questa mattina. Mi interessava particolarmente quella statistica sulle famiglie che sono state toccate da fenomeni di corruzione: se non ho capito male sono il 7,9% degli intervistati. Questo vuol dire che proiettando sulla popolazione 4,7/8 milioni di cittadini sono stati toccati dal fenomeno 1,5/6 milioni di famiglie. Ciascuno valuti se sono cifre grandi o piccole. Sono molto interessanti anche i settori in cui si verifica di più la corruzione. Mi pare il settore sanità/assistenza da una parte, il settore lavoro dall’altro. A me è capitato di fare il Capo ufficio stampa al Ministero della Salute per un anno e avevo proposto al Ministro di proporre alle Regioni di nominare degli ufficiali dei Carabinieri alla testa delle Asl che ricevessero i fornitori in divisa e con la pistola sul bavero. Se vogliamo fare brevemente un giro di tavolo per raccogliere qualche suggestione prima dell’intervento finale del Presidente dell’ANAC Busia.

Giannakopoulos: Cercherò di essere breve. Mi è piaciuto molto lo sforzo statistico delle agenzie di recupero di dati, perché anni fa ho fatto il primo studio statistico sulla corruzione in Svizzera, che ha portato ad una ridefinizione completa della maniera dell’Istituto Federale della statistica nel raccogliere i dati e organizzarli per capire cos’era il fenomeno. Questo succedeva, più o meno, venti anni fa; adesso vedo che tutti i paesi stanno cercando di collaborare, sono nel trend, anche se ancora molte sono le differenze anche tra le agenzie anticorruzione. È prassi oggi creare agenzie di corruzione in tutti i paesi, ma purtroppo, io ne ho avuto un’esperienza personale, ogni tanto questi responsabili di agenzie anticorruzione usano la loro posizione per commettere atti corruttivi. Questo si deve capire, si deve far emergere. C’è una volontà da parte dell’Italia, delle Istituzioni italiane di portare una metodologia a livello europeo. L’Italia è membro dell’Unione europea e da anni si prova a far passare a livello europeo le metodologie, le strutture amministrative che l’Italia ha messo a punto da anni (che portano dati e risultati). Però ci sono alcuni paesi europei che non ne vogliono sentir parlare, perché c’è la consuetudine per cui se non si parla di corruzione non c’è corruzione e, dunque, si è ad una posizione più alta nelle classifiche. Questa è l’altra faccia di questi indici, che consiste appunto nel favorire quei paesi che non parlano di corruzione. Ogni poliziotto, ogni magistrato sa che nel momento in cui si va a contrastare un fenomeno corruttivo inevitabilmente lo si fa emergere. Quindi a livello internazionale, degli investimenti internazionali bisogna avere l’intelligenza di capire che il fenomeno o i dati non significano una maggiore presenza di corruzione. Bisogna pensare a come reintegrare questi fatti, queste percezioni per bilanciare i propri ranking.

Ferrario: Anche io vorrei sottolineare questo aspetto molto rilevante che è emerso sia dai dati riportati dalla Dottoressa Muratore sia come Istat sia dai discorsi delle esperienze multilaterali di Tartaglia Polcini. L’elemento multilaterale secondo me è fondamentale per fare dei passi in avanti nella misurazione, il più possibile oggettiva, della corruzione. Credo che sia anche il compito dei paesi più avanzati in questo senso stabilire quali sono delle metodiche e quali sono delle best practices, magari anche semplici e limitate, da portare avanti almeno a livello europeo e a livello di G20. Certamente pensare di fare un discorso che interessi 180, 190 Stati è molto difficile e non è molto realistico in tempi brevi. Ancora per un certo tempo dovremmo ricorrere ad elementi di natura percettiva e quindi soggettiva e quindi con tutti i problemi del caso. Però se almeno a livello di spettro di azioni si comincia a stabilire, a mettere in pratica e a far vedere come funziona in modo semplice e replicabile anche in altri paesi che non hanno le infrastrutture avanzate di questi paesi si potrebbe almeno cominciare a compensare integrando i dati soggettivi con questi indici. Credo che questo sia l’obiettivo più perseguibile in tempi relativamente brevi e oggettivamente più utile. 

Tartaglia Polcini: Il lavoro è a metà strada, non ancora compiuto. La nostra Presidenza – ho avuto il piacere di presiedere il gruppo di anticorruzione del G20 – si è conclusa con l’adozione di un piano di azione. Questo prevede tra le questioni trasversali nelle quali il gruppo di lavoro anticorruzione del G20 può aggiungere valore. Il primo nella lista dedicato alla misurazione della corruzione, la sensibilizzazione sull’importanza di promuovere una discussione collettiva sul miglioramento della misurazione della corruzione concentrandosi su indicatori affidabili e basandoti sull’evidenza sia nel settore pubblico sia in quello privato. Naturalmente, evitare di duplicare i lavori già svolti, ma completare gli indici esistenti in modo da renderli più affidabili. Ci siamo anche permessi di tradurre i documenti del G20 che erano tutti in inglese, e verranno messi a disposizione della collettività attraverso una pubblicazione del tavolo di coordinamento interistituzionale. Il problema è definitorio, per questo comparare, dare rating non è facile. Tempo fa ho letto un volumetto realizzato da un ufficiale dei Carabinieri che definì il livello di export, quindi di presenza, di proiezione internazionale della ‘Ndrangheta a livello globale. Se noi pensiamo alla corruzione per infiltrazione, quindi non alla petty corruption, le modalità di infiltrazione della ‘Ndrangheta nel mondo sono identiche, non è che cambiano da un paese all’altro. Solo che in Italia danno origine ad una serie di istituti giuridici e di azioni ordinamentali che sono ignoti altrove. Il volume si intitola “Il canone e le proiezioni internazionali della ‘Ndrangheta”. È evidente che se noi veniamo a conoscenza per via giudiziaria, ufficialmente, dell’esistenza di una infiltrazione vera e propria di una persona appartenente ad una organizzazione criminale di tipo mafioso in una Istituzione, abbiamo una serie di strumenti, che vanno dallo scioglimento per infiltrazione di quel governo locale, fino a tutta un’altra serie di attività, comprese le misure di prevenzione personali, patrimoniali e così via. Siamo convinti che i paesi in cui si verifica questo tipo di infiltrazione, sia ad opera della nostra criminalità organizzata di export che della loro organizzazione criminale autoctona, perché le modalità sono identiche, siano perfettamente in grado di fare lo stesso? Ed emerge, viene misurato il fenomeno nella stessa maniera? È chiaro che a leggere i numeri ci si spaventa (i milioni delle persone o delle famiglie), ma è molto importante comprende come si rileva quella statistica e come viene posto il quesito. Ricordo che quando iniziai questo tipo di lavoro cercai di tradurre, in sede di ricerca, dall’inglese la domanda che veniva posta nel questionario o nella raccolta di dati. E il discorso cambia se si dice “lei ha una esperienza diretta di corruzione” oppure “nell’ambito della sua famiglia ci sono state esperienze (dirette o indirette) in materia di corruzione”, questo è fondamentale. Così come è fondamentale la grandezza del termine di riferimento temporale, perché a volte ridurre temporalmente dà la fotografia. Se alla domanda “nella sua vita ha mai avuto un’esperienza di corruzione” il risultato dà una fotografia della realtà; se “negli ultimi sei mesi” la fotografia della realtà è totalmente diversa. Se poi si utilizza quella statistica per una rilevazione annuale a fini comparati, il rischio di distorsione è evidente.

Mazzanti: Mi pare che in quella statistica comparisse anche il voto di scambio, quindi ampliamo la platea delle fattispecie. Prego Dottoressa Muratore.

Muratore: Sono 250mila le famiglie in cui si è verificata almeno una volta una esperienza di corruzione negli ultimi 12 mesi, quindi non sono tantissime. Sono 597mila negli ultimi tre anni e 1 milione e 642mila nel corso della vita. E sono vari i settori. Ovviamente questa è la corruzione diretta, chi l’ha subita tende a subirla più volte magari. Vi invito a vedere quei dati perché se la corruzione diretta è un àmbito su cui avevamo fatto delle domande molto esplicite, per capire se “ti è stato chiesto o hai percepito una situazione in cui stanno chiedendo denaro o regali e così via”, a questa purtroppo, si aggiungono altre situazioni (quando non è capitato a te ma ai tuoi familiari e il voto di scambio). Ovviamente dipende anche cosa si intende per corruzione. Noi rileviamo, per esempio, un comportamento che non abbiamo messo in quel conteggio ma che, invece, a livello internazionale è corruzione: ad esempio il medico che lavora in una struttura pubblica, e propone di fare la visita privatamente per poi operare opero nel pubblico. Questa, per noi, non è corruzione; a livello internazionale, invece, se dovessimo fare confronti dovremmo inserire anche questa parte. È ovviamente una situazione complessa, che non deve spaventare, però bisogna riconoscerla.

Paolo Mazzanti: Grazie, passo la parola a Giuseppe Busia per l’intervento conclusivo. Avrei due quesiti da porre. Il primo è: quali azioni positive si possono fare per indurre a comportamenti virtuosi? È anche possibile inserire un qualche incentivo positivo? Con tutti i rischi del caso, perché poi magari è chiaro che uno viene indotto a fare denunce infondate. Il secondo: si dice spesso, anche in riferimento a Tangentopoli, la corruzione è aumentata o diminuita? Per la mia esperienza di giornalista posso valutare che è un po’ diminuita, nel senso che ai tempi di Tangentopoli arrivava ai piani alti, altissimi – ci ricordiamo le valigette di denaro depositate nell’ufficio di Craxi o nell’ufficio di Forlani. Invece, oggi, queste cose pare che non avvengano più, il fenomeno sembra più endemico, più ai piani bassi e comunque molto diffuso.

Giuseppe Busia: Grazie dell’invito e per questo dibattito. Ho l’impressione che siano venuti fuori elementi importanti su che cosa si può fare e su dove si può andare. Il primo punto che mi pare accomuni tutti è l’evidenziazione di come la misurazione sia indispensabile e svolga un ruolo essenziale e sia una misura di prevenzione e di contrasto della corruzione. Cioè, siamo tutti convinti che la misurazione serva a comprendere cos’è la corruzione, ad individuare le strategie migliori per progettare come si previene e come si combatte (strategie sia organizzative – come si organizzano le Amministrazioni per rispondere al fenomeno della corruzione – sia operative). La misurazione della corruzione è il presupposto, è essa stessa una misura per prevenire e combattere la corruzione. Questo è importante dirlo, spiegarlo, perché nel momento in cui si misura si sta agendo in modo coerente in questa direzione. La misurazione della corruzione conviene e questa è l’altra cosa che dobbiamo imparare a dire. Sappiamo che la corruzione costa e avere buoni strumenti per misurala fa risparmiare denaro, conviene. Noi lo vediamo in particolare per quel che riguarda i contratti pubblici, nei quali il rischio di corruzione è più alto: una cosa buona da parte del Legislatore è stata quella di mettere insieme l’attività di prevenzione della corruzione con l’attività e l’Autorità unica, che previene la corruzione su basi di trasparenza, e dall’altra si occupa di regolare e vigilare sui contratti pubblici; è una buona intuizione, perché lì ci sono i soldi per i quali vale la pena dare una mazzetta. Metterle insieme è utile e in quel modo si risparmia del denaro, nel senso che se c’è buona concorrenza, se c’è trasparenza, se le imprese competono in modo lecito, si risparmia denaro perché si spendono meglio le risorse pubbliche e poiché misurare in modo corretto aiuta a combattere, investire sulla misurazione ha un senso per risparmiare. Quindi, primo elemento, la misurazione è una forma di prevenzione e di contrasto; secondo elemento la misurazione conviene perché una buona misurazione incide sull’immagine del Paese, sugli investimenti internazionali ed è doveroso che ci sia un’immagine veritiera del Paese. Non dobbiamo né giocare all’edulcorazione dell’immagine né a restituire una immagine peggiorativa. Dobbiamo puntare – e dobbiamo farlo a livello internazionale perché è un elemento essenziale – a dare una immagine corretta e condivisa ed è una responsabilità dei paesi più avanzati. Passo a due elementi più attinenti alla misurazione in quanto tale. Uno: la corruzione è un elemento complesso, sfuggente, poco definito. Ci sono molte meno valigette e molti più fenomeni in cui si dà una consulenza, si fanno contratti paralleli, si hanno molti più mezzi anche a livello internazionale. La corruzione è diventata più complessa e la misurazione stessa è un fenomeno complesso, per cui dobbiamo attrezzarci con strumenti più complessi. Abbiamo visto, e conosciamo tutti, i pregi della misurazione fatta su elementi di percezione, quella di Transparency International: come è stato detto è un metodo che ha garantito una certa universalità, conformità, facilità, ma anche i limiti, che oggi sono stati indicati, che sono quelli che ovviamente in un paese con maggiore libertà di stampa, con maggiore attenzione all’azione nei confronti alla corruzione la percezione può essere influenzata. Arrivo qui all’altra risposta, ossia come si percepisce la corruzione. Posso darvi un parere: sono convinto che sia diversa, perché sicuramente è cambiata rispetto a Tangentopoli, però aggiungerei una impressione soggettiva e preferisco, per tutto quello che ci siamo detti, rispetto alla domanda cercare di lavorare alla percezione oggettiva. La misurazione è un fenomeno complesso ma la misurazione, oggi, ha bisogno il più possibile di elementi oggettivi. Quindi dobbiamo, tutti insieme, cercare di riempire di elementi che abbiano quanto più possibile e ci sappiano dare quanto più possibile un riscontro sull’oggettività. Questo risponde a quanto dicevo poco fa, perché dobbiamo condividerla e restituire da noi in Italia e nel mondo fotografie fedeli di quella realtà (ovviamente pur con la difficoltà che comporta la corruzione come fenomeno complesso di misurazione). Quello che sta facendo Anac è il progetto “Misurazione territoriale del rischio di corruzione e promozione della trasparenza” finanziato dai fondi europei del programma operativo Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020, al quale partecipano anche l’Istat, le Università, le Istituzioni. Nell’ottica della collaborazione abbiamo coinvolto diversi soggetti per garantire ed arrivare ad identificare i rischi di corruzione. Quello che ci interessa e ci serve, nell’ottica di chi vuole prevenire la corruzione e avere una buona misurazione basata su elementi oggettivi, è una grande infrastruttura del Paese che è la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici. Noi raccogliamo tutti i dati dei contratti pubblici che vengono stipulati per lavori, servizi, forniture, beni acquistati, raccogliamo tutti questi dati e stiamo migliorando, investendo. Siamo riusciti ad inserire nel PNRR l’elemento centrale della digitalizzazione delle gare che accelera, fa rispettare i tempi delle procedure e, allo stesso tempo, consente di accrescere e semplificare la raccolta delle informazioni. Attraverso le informazioni si può fare una misurazione. Gli esempi che venivano fatti: quanti soggetti partecipano alle gare; quanto dura il bando; e così via. Avere una infrastruttura importante come la Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici che è una best practices europea che è stata premiata e che altri paesi ci invidiano e che ad altri paesi dobbiamo e stiamo proponendo come modello è fondamentale. Nel nostro progetto abbiamo coinvolto e raccolto non solo i dati della nostra banca dati, ma abbiamo chiesto ad Istat, al Ministero della Giustizia, ad una serie di soggetti di incrociare i dati con i nostri proprio per avere il più possibile dati oggettivi combinati insieme e uniti insieme attraverso esperti, Università, che hanno individuato sulla base della letteratura scientifica quali sono gli indicatori più ampi per arrivare ad indicatori tendenzialmente oggettivi. È questo il lavoro che abbiamo proposto al G20 utilizzando l’occasione della Presidenza italiana. Allo stato attuale, abbiamo ottenuto 71 indicatori di misurazione, suddivisi in tre aree tematiche che riguardano anche il contesto. Presenteremo a breve quelli che sono i risultati di questo lavoro. È un lavoro importante e voglio sottolineare che è un lavoro che porterà alla realizzazione di un sito web dedicato nel quale si potrà interagire, utilizzare i dati e ricavare i dati. Questi quattro punti sui quali ho insistito – misurazione indispensabile; misurazione contro la corruzione essa stessa; conviene; elemento complesso da arricchire anche di elementi oggettivi salvaguardando l’importanza che comunque ha avuto la percezione – ci fanno capire quanto sia importante convergere su di una grande alleanza per la misurazione della corruzione, che è un modo per realizzare tutto insieme un pezzo essenziale, importante, per prevenire la corruzione. Vuol dire che dobbiamo, come in parte stiamo facendo, mettere insieme le forze per far sì che non ci sia concorrenza, ma complementarietà, per trovare quelle che sono anche le migliori pratiche. Questa alleanza è un’alleanza interna per proporre però all’esterno un metodo buono, una buona pratica che abbia l’ambizione di diventare universale. Bisogna individuare degli elementi oggettivi che siano misurabili altrove, che garantiscano l’universalità nel senso anche di implementabilità, cioè nel senso che dobbiamo essere in grado, in tutto il mondo, di raggiungere uniformità. C’è un punto debole in tutto questo che mi ha stupito da quando sono arrivato in Anac: l’Europa è un po’ indietro su questi aspetti. Il luogo massimo di aggregazione, che è l’Unione europea, è rimasto indietro, e noi stiamo lavorando per questo con le Autorità consorelle, con il ministero degli Esteri che ci dà una mano, per arrivare a una regolamentazione europea e mostrare le buone pratiche soprattutto ora che l’Europa ha fatto uno sforzo straordinario con Next generation Eu e ha la necessità di controbilanciare la fiducia data ai paesi, anche e soprattutto al nostro paese, con strumenti di verifica della corruzione e di come vengono spesi i soldi. Qui ritorno a quello che dicevo prima, ossia all’importanza della Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici che deve diventare una buona pratica, una infrastruttura non solo nazionale, ma europea. Quindi, abbiamo bisogno all’interno di creare un’alleanza, proporla all’esterno arricchendo di elementi oggettivi questa misurazione. Se saremo capaci di questo saremo veramente un grande passo in avanti, anche di crescita scientifica. Per avere anche dell’Italia una fotografia giusta, che la collochi nella giusta posizione. L’ANAC è disponibile e fa, istituzionalmente, proprio questo; quindi, ancora grazie all’Eurispes per questa occasione che ci ha offerto.

Paolo Mazzanti: Grazie, Presidente Busia. Se posso aggiungere, c’è anche un aspetto relativo alla comunicazione pubblica. Penso che si debba fare anche uno sforzo ulteriore di comunicazione verso l’esterno. Con la mia agenzia sono a disposizione per studiare forme ulteriori di comunicazione verso l’esterno che possano valorizzare al meglio tutte le cose che sono state dette oggi.

 

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